Famiglia che vive nel bosco in Abruzzo: perché il Tribunale ha tolto i figli ai genitori? Analisi legale del caso
Il caso della "famiglia del bosco" in Abruzzo ha diviso l'opinione pubblica, tra sostenitori della libertà educativa e difensori della tutela statale. Ma cosa dice la legge? Analizziamo l'ordinanza del Tribunale di L'Aquila: dall'idoneità abitativa al diritto alla socializzazione, fino al "ricatto" sulle cure mediche.
La vicenda dei coniugi di Palmoli, che hanno scelto di vivere in un rudere isolato con i figli minori, si è conclusa (per ora) con un provvedimento drastico: la sospensione della responsabilità genitoriale e l’allontanamento dei minori. Molti hanno gridato al “processo allo stile di vita”, ma leggendo gli atti giudiziari emerge una realtà giuridica ben diversa.
Non è (solo) una questione di scelte bucoliche da parte della coppia, ma di violazione di diritti costituzionali e doveri inderogabili. Vediamo nel dettaglio le motivazioni giuridiche che hanno portato a questa decisione, analizzando l’ordinanza del 13 novembre 2025.
Perché i 3 figli della coppia sono stati portati via?
Sono principalmente tre le motivazioni che hanno portato all’ordinanza del Tribunale per i Minorenni di L’Aquila che ha portato al collocamento dei bambini della famiglia che vive nel bosco presso una casa-famiglia e alla nomina di un tutore provvisorio:
- l’inidoneità abitativa;
- la tutela della salute;
- il diritto alla socialità.

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1. L’inidoneità abitativa e la presunzione di pericolo
Il primo punto contestato non riguarda la “semplicità” della vita, ma la sicurezza oggettiva. La famiglia risiede in un immobile privo di certificato di agibilità, collaudo statico e impianti a norma (elettrico, idrico, termico). In Italia, l’art. 30 della Costituzione impone ai genitori di mantenere, istruire ed educare i figli. Questo “mantenimento” include di garantire un tetto sicuro.
Il Tribunale ha applicato l’art. 24 del TUE (Testo Unico Edilizia), che stabilisce una “presunzione ex lege” di pericolo per l’incolumità fisica in assenza di requisiti di sicurezza statica e sismica. In altre parole, non è illegale vivere senza lusso, ma è illegale far vivere minori in una struttura che, per la legge, potrebbe essere a rischio crollo o insalubre.
2. La tutela salute e il “ricatto” economico
Uno degli aspetti più gravi emersi dall’ordinanza riguarda la gestione della salute dei minori. I genitori si sono opposti alle visite mediche e i trattamenti sanitari obbligatori per legge, e e di avere persino chiesto 50.000 euro per ogni figlio per autorizzare i controlli del pediatra.
Tale condotta viola l’art. 333 c.c. (condotta del genitore pregiudizievole ai figli), per il quale si può disporre l’allontanamento dei minori dalla residenza famigliare. Subordinare il diritto alla salute (art. 32 Cost.) a una richiesta economica dimostra, secondo i giudici, una grave incapacità di discernere l’interesse del minore rispetto alle proprie battaglie ideologiche o economiche.
3. Il diritto alla socialità
La difesa ha puntato sulla legittimità dell’istruzione parentale (homeschooling): i bambini, in pratica, non andavano a scuola, ma la loro scolarizzazione era impartita direttamente dai genitori.
Tuttavia, il Tribunale ha rilevato due problemi:
- vizio formale: mancava la dichiarazione annuale al dirigente scolastico, necessaria per permettere allo Stato di vigilare sull’obbligo di istruzione;
- vizio sostanziale (deprivazione sociale): l punto giuridicamente più interessante è il richiamo all’art. 2 della Costituzione (diritti inviolabili nelle formazioni sociali). I giudici affermano che l’istruzione non è solo nozionismo. La totale assenza di confronto con i “pari” (coetanei) tra i 6 e gli 11 anni crea un danno evolutivo, impedendo lo sviluppo di skills relazionali come la negoziazione e l’empatia.
Ricordiamo che l’homeschooling è legale in Italia, ma non può trasformarsi in isolamento sociale totale. Il minore ha diritto a sviluppare la propria personalità anche fuori dalla famiglia.

L’esposizione mediatica come aggravante e il tema della riservatezza
I genitori hanno scelto di portare il caso in TV (trasmissione “Le Iene”), esponendo i figli e rendendoli identificabili. Per il Tribunale, questa è stata una violazione dell’art. 16 della Convenzione di New York e delle norme sulla privacy dei minori. Utilizzare l’immagine dei figli per ottenere consenso pubblico e fare pressione sui giudici è stato valutato come un comportamento “in conflitto di interessi” con i minori stessi, aggravando la posizione dei genitori.
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Cosa succede ora? La difesa è al lavoro per il ricorso
Alla luce di questi fatti, il Tribunale ha applicato gli artt. 330 e seguenti del Codice Civile, prevedendo:
- la sospensione della responsabilità genitoriale: i genitori non possono più prendere decisioni per i figli.
- la nomina di un tutore legale provvisorio, che è un avvocato
- l’allontanamento dall’abitazione familiare: i minori sono stati collocati in una casa-famiglia (e non con la madre, come inizialmente ipotizzato dai media), per garantire la loro sicurezza e il recupero psicofisico.
Il provvedimento è temporaneo e urgente. Per riottenere i figli, i genitori dovranno dimostrare di aver rimosso le situazioni di pregiudizio (mettere a norma la casa, collaborare con i servizi sociali, garantire la frequenza scolastica o un homeschooling controllato). La strada legale, tuttavia, è ora in salita a causa dell’atteggiamento ostativo tenuto finora.
Il legale della famiglia – Giovanni Angelucci, è pronto a fare ricorso e ad impugnare la sentenza, nella quale – sostiene – sono state scritte falsità. Nel frattempo, sono state raccolte 78.000 firme affinché i bambini possano ricongiungersi con i loro genitori.
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