Cos’è una casa famiglia, come funziona e chi accoglie
Istituita a seguito della chiusura degli orfanotrofi, la casa famiglia è la nuova soluzione per accogliere quanti vivono una situazione di disagio o necessitano di ospitalità, offrendo anche validi aiuti temporanei di natura psicologica, sociale e relazionale
- La casa famiglia è una struttura istituita per accogliere minori soli e con un genitore e, in generale, persone in condizioni di disagio o con bisogno di ospitalità.
- Il livello di assistenza e di organizzazione nella casa famiglia è medio basso, sicché per accedervi occorre essere autosufficienti o lievemente non autonomi nello svolgimento delle attività primarie di vita quotidiana.
- Le case famiglia sono formate da piccoli alloggi di poche persone, dove si offre aiuto allo sviluppo delle abilità sociali, favorendo il contatto con il mondo esterno.
Per casa famiglia si intende una struttura di tipo familiare di piccola dimensione, poiché accoglie fino a circa 6 ospiti, allontanati dal proprio nucleo familiare naturale, perché temporaneamente o permanentemente in condizioni di disagio.
Caratteristica di tali luoghi di accoglienza è l’offerta di aiuto nello svolgimento di attività quotidiane, garantita dalla presenza di figure di riferimento, che assolvono a funzioni diverse, in ragione della tipologia di ospiti presenti e dell’assistenza di cui necessitano.
Nelle case famiglia il livello di assistenza e di organizzazione è, purtroppo, medio-basso, con la conseguenza che gli ospiti devono essere in grado di svolgere attività quotidiane necessarie, come sapersi alimentare in autonomia.
Unitamente a tale funzione di supporto, la casa famiglia offre la possibilità di svolgere attività occupazionali, ricreative, culturali, di mantenimento e riattivazione psicofisica. Nella maggior parte dei casi, si tratta di strutture in qualche modo collegate a enti pubblici.
Qual è la differenza tra orfanotrofio e case famiglia
Per capire con più chiarezza cosa si intende per casa famiglia è necessario distinguere tale struttura dall’orfanotrofio, di cui di fatto rappresenta una evoluzione. A causa delle situazioni di sfruttamento, che spesso i minori erano costretti a subire negli orfanotrofi, a questi è associata un’accezione negativa, in alcuni casi, più che meritata.
Istituti in epoca particolarmente risalente, gli orfanotrofi sono stati definitivamente chiusi nel 2006, per effetto della legge 28 marzo 2001, n. 149 e, in qualche modo, sostituiti dalle c.d. case famiglia, con cui condividono il fine dell’accoglienza, ma in un’ottica diversa, più assistenziale, poiché offrono un aiuto allo sviluppo delle abilità sociali, favorendo la connessione con il mondo esterno, per un futuro inserimento.
Gli orfanotrofi erano anche strutturalmente molto diversi dalle attuali case famiglia, perché caratterizzati da edifici molto ampi, dove quasi tutte le attività quotidiane (mangiare, dormire, ecc.) si svolgevano in luoghi comuni, ovvero enormi stanzoni freddi e poco accoglienti, spesso mal tenuti.
Le case famiglia, invece, si articolano in piccoli alloggi di poche persone, al fine di garantire e supportare, soprattutto nel caso di minori ospitati insieme a un genitore, il mantenimento del legame, ricreando una situazione simile a quella dei nuclei familiari.
A differenza degli orfanotrofi, in cui i bambini rimanevano in attesa di essere accolti da genitori adottivi, senza prospettive e senza seguire un percorso di crescita rispondente alle esigenze del singolo, ma solo una minima istruzione scolastica, la casa famiglia promuove un aiuto temporaneo psicologico, sociale e relazionale, finalizzato al successivo inserimento nel contesto sociale, anche attraverso un percorso mirato per il superamento delle difficoltà e per la crescita.
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Che differenza c’è tra casa famiglia e comunità alloggio?
A questo punto, per completezza di informazioni, precisiamo anche cosa cambia tra una casa famiglia e una comunità alloggio. In pratica, ci sono differenze in termini di dimensioni e servizi, in quanto:
- una casa famiglia può accogliere circa 6 ospiti;
- le comunità alloggio possono invece ospitare fino a 12 persone e prevedono anche un servizio di assistenza sanitaria.
Chi va nella casa famiglia?
La casa famiglia può ospitare diverse tipologie di persone in difficoltà, poiché si rivolge, in generale, a soggetti in situazione di abbandono o di urgente bisogno di ospitalità e protezione.
In particolare, l’accoglienza in una casa famiglia può essere garantita a:
- minori soli (con target di età diverso a seconda del tipo di struttura), perché senza famiglia o con un genitore in difficoltà;
- donne in gravidanza;
- anziani senza gravose patologie;
- disabili autosufficienti o lievemente autosufficienti;
- persone affetta da AIDS;
- adulti in difficoltà;
- soggetti con difficoltà psicosociali.
In linea generale, si tratta di persone in condizioni di ridotta autonomia, oggetto di apposita valutazione da parte di un professionista del settore sanitario al momento dell’ingresso in struttura e periodicamente rivalutata qualora si renda necessario, ma certamente almeno una volta all’anno.
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Trasferimento dalla casa famiglia
Nel caso di peggioramento delle condizioni di salute fisica e psichica, tale da comportare una perdita dell’autonomia richiesta e non consentire la permanenza nella casa famiglia, l’ospite deve essere trasferito in strutture adeguate e che offrano l’assistenza di cui necessita.
La casa famiglia può tuttavia garantire la permanenza transitoria dell’ospite in attesa di trovare diversa e più adeguata collocazione, ricorrendo anche all’ausilio della rete di domiciliarità, fornita da Aziende Unità Sanitarie Locali e Comuni, con l’obiettivo di favorire l’individuazione di una soluzione appropriata rispetto ai mutati bisogni assistenziali.
In alcuni casi, qualora sia necessario attivare servizi aggiuntivi, in considerazione delle nuove condizioni dell’ospite, può essere previsto che i relativi costi siano sostenuti dai familiari, quindi previamente concordati con le famiglie.
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Chi paga la retta della casa famiglia?
Le case famiglia sono supportate economicamente dagli enti locali, in particolare dai Comuni del luogo in cui sono collocate le strutture. Non vi è un range minimo o massimo che i Comuni sono tenuti a versare, poiché l’ammontare è determinato, con apposite delibere comunali, in base a diversi fattori.
L’ammontare del contributo, per esempio, è determinato da:
- numero e tipologia di ospiti presenti in struttura e, in particolare, dalle esigenze primarie e non di cui tali soggetti necessitano;
- numero di personale necessario per lo svolgimento delle attività quotidiane, presente h 24 in struttura, in modo da garantire una corretta alternanza;
- costi di gestione e manutenzione della struttura;
- percorsi formativi individuali;
Oltre ai contributi non particolarmente generosi e tempestivi dei Comuni, in ragione dei bilanci non floridi, le case famiglia possono essere sostenute anche da donazioni (regolari o singole) volontarie offerte da privati (persone fisiche, ma anche società e aziende), sovente più cospicue.
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Casa famiglia: regole
Non esistono regole valide per qualsiasi tipologia di struttura, se non norme di convivenza primaria. Ciò in quanto ogni struttura si dota di regole proprie interne, in ragione degli ospiti presenti e delle loro esigenze – che potrebbero essere molto diverse in relazione all’età, per esempio.
Eventuali regole di vita comune possono essere rappresentate dal rispetto degli orari per lo svolgimento delle attività di gruppo (come pranzo, cena, incontri, momenti ricreativi), l’impegno ad assumere l’eventuale terapia prescritta dal personale medico, il non allontanamento dalla struttura senza previo accordo con il personale, non assumere sostanze stupefacenti e, in generale, non tenere comportamenti lesivi o irrispettosi della vita comune.
In alcuni casi, può essere proibito l’uso di mezzi di comunicazione con l’esterno, come il telefono o i computer o anche avere la televisione privata presso il proprio alloggio.
Altra importante regola, tendenzialmente vigente in ogni casa famiglia, è l’offerta della partecipazione attiva alla vita nella casa, mediante il proprio contributo in base alle proprie capacità. Questo accade non solo perché è parte integrante del percorso che il singolo deve compiere, ma anche per limitare il più possibile la necessità di un intervento esterno e, dunque, l’impiego di risorse economiche diversamente utilizzabili per altri scopi più aderenti al progetto educativo e di reinserimento.
Sei testimone di una situazione di maltrattamenti in famiglia e ritieni che potrebbe essere necessario l’intervento dei servizi sociali? Oppure conosci adulti in difficoltà che potrebbero essere accolti da una casa famiglia? Scrivi a un avvocato specializzato in diritto di famiglia che potrà darti un buon consiglio sul da farsi.
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