Chiara Ferragni condannata a un anno e 8 mesi di reclusione per il caso pandoro-gate. Cosa rischia davvero?
Durissime le parole rivolte all’influencer da parte dal procuratore aggiunto di Milano, Eugenio Fusco, e del PM Cristian Barilli sui casi pandoro-gate e uova di Pasqua. Richiesta una condanna per truffa aggravata.
Il cosiddetto pandoro-gate è lo scandalo mediatico e giudiziario scoppiato intorno a Chiara Ferragni verso la fine del 2023. La vicenda riguarda, in primis, la campagna promozionale del pandoro Balocco Pink Christmas, prodotto in collaborazione con Balocco nel 2021, a cui si sono aggiunte successive indagini anche sulle uova di Pasqua.
L’accusa principale è che la comunicazione abbia indotto in errore i consumatori. L’influencer aveva promosso i prodotti lasciando intendere che parte del ricavato delle vendite sarebbe stata destinata in beneficenza all’ospedale Regina Margherita di Torino.
In realtà, la donazione – pari a 50.000 euro – era stata effettuata in cifra fissa e prima del lancio del prodotto, direttamente dalla Balocco, indipendentemente dal successo delle vendite. La differenza di prezzo rispetto al pandoro tradizionale non era quindi legata alla donazione, ma costituiva un presunto profitto ingiusto. Da qui la svolta del Tribunale di Milano e la condanna per truffa aggravata.

Un anno e 8 mesi di carcere per Chiara Ferragni: l’accusa è di truffa aggravata
Il procuratore aggiunto Eugenio Fusco e il PM Cristian Barilli hanno chiesto una condanna di un anno e otto mesi per Chiara Ferragni nel processo avvenuto, a porte chiuse, a Milano. L’accusa mossa è di truffa aggravata.
Nonostante l’influencer abbia ribadito più volte di avere agito in buona fede e che nessuno abbia lucrato dall’iniziativa, l’accusa è che abbia conseguito presunti profitti ingiuntivi per 2,2 milioni di euro tra il 2021 e il 2022.
Finora, comunque, Chiara Ferragni non ha subito nessuna condanna definitiva per questa o altre accuse. La richiesta di un anno e otto mesi è l’atto dell’accusa e non la sentenza emessa dal giudice. La difesa degli influencer interverrà nella prossima udienza per esporre le proprie tesi. Al momento ha sottolineato che il fronte amministrativo è stato chiuso con donazioni per un totale di 3,4 milioni di euro.
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Cosa è successo dopo lo scandalo del pandoro
Come riportato in un post del New York Times, la Ferragni è passata dall’essere la cocca di grandi stilisti (Dior, Gucci, Versace) e imprenditrice di successo in grado di guadagnare milioni per un singolo post, a una donna in caduta. Una caduta vertiginosa, che l’ha portata a registrare una perdita di 6,65 milioni di dollari con la sua società (la Fenice Srl).
A nulla sono servite le scuse pubbliche, il riconoscimento dell’errore di comunicazione, la richiesta di perdono ai consumatori e la donazione di 1 milione di euro all’Ospedale Regina Margherita di Torino. Le sue ultime dichiarazioni sono un modo per dimostrare la mancanza di dolo, elemento chiave per poter parlare di truffa.
Nello specifico, la truffa aggravata (art. 640, comma 2 del codice penale) prevede:
- la reclusione da un minimo di 1 a un massimo di 5 anni;
- la multa da 309 a 1.549 euro.
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Quali sono gli elementi tipici della truffa presenti nel pandoro-gate?
Analizzando più da vicino la vicenda, il caso Ferragni non è stato etichettata come mera pubblicità ingannevole, ma come vera e propria truffa, perché presenta tre elementi tipici della fattispecie:
- artifici o raggiri, cioè l’uso di mezzi ingannevoli per far cadere la vittima in errore;
- induzione in errore – la vittima compie una data azione perché ingannata;
- ingiusto profitto con altrui danno, in quanto l’autore della truffa ottiene un guadagno a discapito della vittima (danno patrimoniale).
Nel contesto del Pandoro-Gate, gli elementi che secondo l’accusa configurano la truffa sono:
- artificio/raggiro – la comunicazione ambigua e ingannevole che legava l’acquisto del pandoro/uovo alla beneficenza. Il consumatore è stato portato a credere che, comprando il prodotto a un prezzo maggiorato, stesse contribuendo direttamente all’iniziativa benefica;
- induzione in errore – i consumatori, motivati da un intento etico e solidale, hanno acquistato il prodotto a un prezzo superiore;
- ingiusto profitto – i 2,2 milioni di euro ai quali abbiamo accennato in precedenza costituirebbero un profitto “ingiusto” perché non legato al valore intrinseco del prodotto, ma a un premio di prezzo generato dall’inganno sulla destinazione benefica dei fondi, a danno dei consumatori.
La difesa dovrà quindi essere in grado di mostrare l’assenza del dolo, ovvero l’intenzione specifica e consapevole di ingannare il pubblico per ottenere un ingiusto profitto. Basterà un look sobrio e poco trucco da parte dell’influencer a convincere i PM?
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