Aumento età pensionabile: chi dovrà lavorare di più e perché la novità colpisce i redditi più bassi
Cosa cambia dal 2027 per le pensioni? La manovra 2026 ha stabilito l'aumento dell'età pensionabile a partire dal 2027, che si allungherà sempre di più nel tempo. Vediamo impatto e conseguenze reali a livello sociale.
- L’età pensionabile subirà un aumento progressivo, a partire da un mese in più nel 2027 e due mesi in più nel 2028, come stabilito dalla manovra 2026.
- I lavoratori con redditi al di sotto del minimale contributivo (fissato a 12.551 euro lordi all’anno nel 2025) dovranno lavorare settimane e mesi aggiuntivi solo per compensare l’aumento dei requisiti.
- Le simulazioni della CGIL indicano che chi guadagna 5.000 euro lordi all’anno dovrà lavorare fino a un anno e un mese in più nel 2050 per adeguarsi ai nuovi requisiti.
La manovra finanziaria per il 2026 introduce un aumento dell’età pensionabile, che scatterà a partire dal 2027. Questo adeguamento è legato al meccanismo automatico di adeguamento all’aspettativa di vita. Si vive in media di più quindi, di conseguenza, si deve lavorare di più.
La progressione dell’aumento dei requisiti per la pensione di vecchiaia è la seguente:
- 2027: un mese in più;
- 2028: + 3 mesi;
- 2029: + 5 mesi;
- 2040: +13 mesi;
- 2050: +23 mesi (nel 2067 che si andrà in pensione a quasi 70 anni).
Questa progressione è un “nuovo innalzamento dell’asticella pensionistica” che non colpirà tutti in modo uniforme, ma avrà un impatto particolarmente duro sui lavoratori con salari più bassi.
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Perché chi ha un reddito basso va in pensione più tardi
Il meccanismo previdenziale italiano stabilisce che, per far sì che un periodo di lavoro sia considerato utile ai fini contributivi, e quindi per la pensione, non è sufficiente l’occupazione fisica, ma è necessario superare una determinata soglia di guadagno, nota come minimale contributivo.
Per il 2025, il minimale contributivo è fissato a 241,36 euro lordi a settimana, che corrispondono a 12.551 euro lordi all’anno. Il minimale contributivo 2026 (stimato) si prevede che salga a 244,74 euro lordi alla settimana, ovvero 12.726,48 euro lordi annui, poiché la soglia è legata all’inflazione.
Se il guadagno annuale è inferiore a questo limite, il lavoratore non matura 52 settimane di contributi pieni, ma un numero inferiore. Questo si verifica indipendentemente dal fatto che il basso reddito sia dovuto a contratti part-time involontari, contratti brevi spezzettati, o semplicemente a uno stipendio a tempo pieno molto basso.
Secondo le stime dell’osservatorio previdenza della CGIL, basate su dati INPS:
- 5,1 milioni di dipendenti privati in Italia (circa il 29% del totale) non riescono a superare la soglia del minimale contributivo;
- la soglia del minimale contributivo è aumentata del 16,5% dal 2022 al 2026, un tasso molto superiore alla crescita media delle retribuzioni.
Facciamo un esempio di perdita contributiva: un lavoratore che ha guadagnato 10.928 euro lordi all’anno (circa 910 euro al mese) ha ‘perso’ 22 settimane di contributi in quattro anni (dal 2022 al 2026), equivalenti a oltre cinque mesi di lavoro che non contano per la pensione.
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Quanto tempo extra dovrà lavorare chi ha un reddito basso
Per un dipendente con stipendio superiore al minimale, l’aumento dell’età pensionabile di, ad esempio, tre mesi, si traduce in tre mesi di lavoro in più. Per chi è sotto la soglia, invece, il numero di mesi di lavoro aggiuntivi aumenta, perché deve prima recuperare le settimane di contributi mancanti che si accumulano ogni anno.
Il divario è evidente nelle simulazioni della CGIL, che misurano la “fatica aggiuntiva” necessaria solo per compensare l’incremento dei requisiti.
| Reddito annuo lordo | Settimane di contributi | Tempo extra di lavoro nel 2028 |
| 5.000 euro | 21 settimane | 7 settimane extra |
| 8.000 euro | circa 34 settimane | circa 5 settimane extra |
| 10.000 euro | 43 settimane | 3 settimane extra |
| 12.000 euro | 49-50 settimane | 2 settimane extra |
Come sottolinea Ezio Cigna, responsabile delle politiche previdenziali della CGIL nazionale, più il salario è basso, meno ogni mese di lavoro “pesa” ai fini della pensione, e più mesi (o anni) occorrono per risalire la china dell’adeguamento automatico”.
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Giovani e donne: le categorie più penalizzate dall’aumento dei requisiti
L’analisi evidenzia che le fasce più colpite da questi percorsi contributivi poveri, e quindi più penalizzate dall’aumento dell’età pensionabile, sono soprattutto i giovani e le donne:
- i giovani: nella fascia d’età 20-24 anni, i nuovi entrati nel mercato del lavoro spesso hanno paghe che non superano i 11.882 euro annui.
- le lavoratrici sono fortemente penalizzate dalla massiccia diffusione del part-time involontario. Il 49% delle donne ha avuto almeno un part-time involontario nell’ultimo anno, contro appena il 21% degli uomini.
Questa situazione genera carriere discontinue e contribuzione più bassa, che l’aumento dei requisiti di pensionamento rischia di allontanare ulteriormente.
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