Suicidi in carcere: numeri, dati, proposte di riforma
Il numero dei suicidi in carcere tra il 2022 e il 2023 ha toccato cifre da record, ma i dati relativi al 2024 sono ancor più preoccupanti. Un fenomeno da arginare il prima possibile, attraverso una riforma strutturale degli istituti penitenziari.
Il malessere provato dai detenuti nelle carceri si traduce, sempre più spesso, nella più terribile delle conseguenze: il suicidio, diffuso anche tra gli agenti della polizia penitenziaria.
Il disagio e le conseguenti rivolte non vengono affrontati con soluzioni che permettano di alleviare trattamenti spesso degradanti, ma trattati con violenza, abusi e il silenzio più assordante.
I dati relativi ai suicidi nelle carceri sono la spia di un problema strutturale irrisolto e ignorato da troppo tempo, aggravato dal sovraffollamento delle strutture penitenziarie e dal fallimento dell’istituto del carcere nella sua funzione rieducativa.
Abbiamo scelto di raccontarvi cosa è successo negli ultimi anni tra le sbarre, partendo dal dossier “Morire in carcere”, curato dalla redazione di Ristretti Orizzonti, e dai dati del Garante nazionale dei diritti delle persone private di libertà e del DAP (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria).
Quante persone sono morte in carcere nel 2024?
Il numero di suicidi avvenuti in carcere nel 2024, tra i mesi di gennaio e aprile, ammonta a 30, un dato provvisorio, perché ci sono ancora alcuni decessi le cui cause sono da accertare – e si potrebbe effettivamente trattare di suicidi. Si tratta di un suicidio ogni 3 giorni e mezzo.
Nel 2023, i suicidi sono stati almeno 70, ma, prendendo in considerazione il periodo compreso tra il 1992 e il 2023, l’annus horribilis è stato il 2022, anno in cui le persone che si sono tolte la vita in carcere sono state 85.
Tra gennaio e aprile del 2022, si erano registrati 20 suicidi, mentre quelli di quest’anno hanno già raggiunto quota 30: se il ritmo dovesse continuare a questa velocità, i suicidi nelle carceri a fine anno rischiano di superare i dati dell’ultimo biennio.
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Tasso di suicidi in carcere
Al numero più o meno esatto di suicidi annuali in carcere, ne possiamo aggiungere anche un altro, che ci aiuta a comprendere meglio la portata di un fenomeno devastante: il tasso di suicidi, dato dalla relazione tra il numero di decessi e la media delle persone detenute in un anno.
Nel 2023, questo tasso era pari a 12 casi ogni 10.000 persone. Stando ai dati attuali, per il 2024 questo valore dovrebbe essere ancor più alto.
Guardando al tasso di suicidi del 2023, emerge che:
- quello relativo alla popolazione carceraria femminile sia più elevato rispetto a quella maschile, con un tasso pari a 16 ogni 10.000 persone, contro l’11,8 dei detenuti di sesso maschile;
- ci siano più suicidi tra le persone di origine straniera: si conta un tasso di 15 suicidi ogni 10.000 persone, che per i carcerati italiani si abbassa a 10,5.
Per rendersi conto della gravità del problema, è sufficiente un confronto con il tasso dei suicidi fuori dal carcere. Per esempio, nel 2019, il tasso di suicidio fuori dal carcere in Italia era di 0,67 casi ogni 10.000 persone, mentre dentro al carcere era pari a 8,7 ogni 10.000 detenuti. Nel 2021, il tasso dei suicidi in carcere in Italia è stato pari a 10,6 casi ogni 10.000 detenuti, contro una media europea di 9,4.
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Chi sono i detenuti morti in carcere tra il 2023 e il 2024
A conti fatti, tra il 2023 e i primi mesi del 2024, si sono tolte la vita in carcere 100 persone. Persone con storie, fragilità e condizioni psicologiche differenti, in molti casi giovani e giovanissime, molto spesso di origine straniera. Tutte accomunate da una condizione di grande marginalità.
Alcune erano in carcere da poco tempo. Giorni, settimane, mesi. Altre stavano per uscire e rientrare in società. Nel 2024, il picco dei suicidi è avvenuto a gennaio, mentre nel 2023 nel mese di maggio.
Genere
Di queste 100 persone, 5 erano donne. Tre suicidi sono avvenuti nella sezione femminile della Casa Circondariale di Torino, uno nella Casa circondariale di Trento, l’ultimo, a marzo 2024, nella Casa Circondariale di Bologna.
Struttura carceraria
La maggior parte dei suicidi sono avvenuti all’interno delle Case Circondariali di Roma Regina Coeli, Terni, Torino e Verona, in ognuna delle quali è presente una situazione, più o meno grave, di sovraffollamento carcerario – che non significa solo mancanza di spazi, ma anche carenza di personale.
Secondo alcune fonti di stampa, al momento del suicidio, alcune persone si trovavano in una cella di isolamento, altre in un reparto psichiatrico, altre ancora nell’area sanitaria. Le Regioni in cui si è verificato il numero maggiore di suicidi sono state la Lombardia, il Veneto e la Campania (in Lombardia e in Campania si trova rispettivamente il 14,4% e il 12,3% dei detenuti totali).
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Età
L’età media di queste 100 persone (dati rapporto Antigone) è di 40 anni:
- 33 detenuti avevano un’età compresa tra i 30 e i 39 anni;
- 27 tra i 40 e i 49 anni;
- 17 suicidi sono stati commessi da giovani che avevano tra i 20 e i 29 anni. Il più giovane, che si è tolto la vita nella Casa Circondariale di Teramo, aveva soltanto 21 anni;
- altri 17 suicidi, nella fascia tra i 50 e i 59 anni;
- le restanti 5 persone che si sono suicidate in carcere avevano tra i 60 e i 69 anni.
Provenienza geografica
Delle persone che si sono suicidate in carcere in questi 16 mesi, 38 erano di origine straniera, provenienti da:
- Marocco (10);
- Tunisia (5);
- Egitto (3);
- Libia (1);
- Ucraina (4);
- Albania (2);
- Romania (2);
- Bosnia (1);
- Macedonia (1);
- Moldavia (1);
- Russia (1);
- Slovacchia (1);
- Afghanistan (1);
- Bangladesh (1);
- India (1);
- Brasile (1);
- Ecuador (1);
- Perù (1).
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Prevenzione dei suicidi in carcere
La condizione di vita dei detenuti nelle carceri italiane è preoccupante e molto complessa, ma le proposte per cercare di lenire le sofferenze del carcere e offrire un supporto concreto al singolo di certo non mancano (solo che spesso restano parole al vento).
Per esempio, da tempo si spinge per incrementare il ricorso agli strumenti alternativi alla detenzione, in particolare per le persone che soffrono di disturbi psichiatrici o con problemi di dipendenza, e per cercare di prevenire il permeante senso di isolamento e marginalizzazione vissuto dai detenuti – contro il quale si potrebbero prevedere più attività formative, culturali e lavorative.
Per contrastare la solitudine e lo stato depressivo che ne può derivare, poi, i contatti umani non dovrebbero essere ridotti all’osso. Si potrebbe dunque:
- liberalizzare le telefonate, quindi non aumentare il numero di chiamate mensili possibili, ma dare la libertà ai detenuti di poter parlare liberamente con le persone care, soprattutto nei momenti di maggiore sconforto;
- aumentare il numero di psichiatri e psicologi a disposizione;
- garantire il diritto all’affettività, quindi creare degli spazi in cui i detenuti possano avere colloqui intimi con i loro partner, ben diversi dai luoghi fatiscenti e malandati nei quali spesso si trovano a (soprav)vivere;
- preparare i detenuti al rientro in società, tramite più collegamenti con enti e servizi territoriali esterni.
Insomma, il carcere avrebbe bisogno di una riforma che metta al centro l’interesse fisico e psicologico di ogni detenuto, in cui la cura e l’attenzione da parte delle istituzioni dovrebbero essere concetti prioritari, perché la salvaguardia dei vivi è sempre meglio del conteggio dei morti.
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