Casa di lavoro e colonia agricola: cosa sono e come funzionano
Le case di lavoro e le colonie agricole permettono davvero agli internati di reinserirsi nella società o sono un mero reperto di archeologia giudiziaria? Vediamo come stanno effettivamente le cose.
Tra le strutture nelle quali possono essere trattenuti i soggetti internati, ci sono anche le cosiddette case di lavoro e le colonie agricole. Si tratta di due diverse misure di sicurezza personali, che si differenziano per la differente tipologia di lavoro che gli internati si trovano a svolgere: di natura industriale/artigianale nel primo caso, di natura agricola nel secondo.
Queste misure sono di tipo detentivo (ci sono anche misure non detentive, come la libertà vigilata) e si affiancano alle altre misure di sicurezza personali detentive previste all’art. 215 cp, ovvero il ricovero in:
- una casa di cura e di custodia;
- un ospedale psichiatrico giudiziario (OPG);
- un riformatorio giudiziario.
Gli OPG, in realtà, sono stati aboliti nel 2013 e chiusi definitivamente il 31 marzo 2015. Dal 2015, gli internati con disturbi mentali, autori di reati, devono essere ospitati nelle REMS (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza), dove dovrebbero ricevere supporto terapeutico e socio-riabilitativo.
Cosa sono le misure di sicurezza detentiva
Le misure di sicurezza detentiva sono state inserite nel nostro ordinamento giuridico dal Codice Rocco (promulgato il 19 ottobre 1930), dal nome dell’allora Ministro di grazia e giustizia del Governo Mussolini, Alfredo Rocco.
L’obiettivo era quello di introdurre mezzi legislativi più adeguati di lotta contro la delinquenza, dato che i mezzi più repressivi e propriamente penali si erano rivelati insufficiente a combattere i fenomeni della:
- delinquenza abituale;
- delinquenza minorile;
- delinquenza degli infermi di mente pericolosi.
In pratica, le case di lavoro e le colonie agricole furono create per riadattare gli internati alla vita sociale: prima venivano puniti con la pena del carcere, poi veniva applicata la misura di sicurezza per evitare la reiterazione del comportamento criminale. Il lavoro era considerato una seconda modalità di espiazione.
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Come funziona l’assegnazione a una casa di lavoro o una colonia agricola
Oggi, ai sensi di quanto previsto dall’art. 216 cp, vengono assegnati a una colonia agricola o a una casa di lavoro:
- i soggetti dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza;
- coloro che, dopo essere stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza e aver terminato la misura di sicurezza, commettono un nuovo reato, non colposo, dal quale emerga la loro effettiva abitualità, professionalità e tendenza a delinquere;
- le persone condannate o prosciolte, negli altri casi espressamente indicati dalla legge, ovvero quando è previsto il ricovero (per i minori dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza) in un riformatorio giudiziario, ma il minore nel frattempo ha compiuto 18 anni, o nei casi di trasgressione degli obblighi imposti in stato di libertà vigilata.
Essendo riservati ai soggetti internati, questi periodi di detenzione si aggiungono alla pena già scontata. Il lavoro diventa, così, un mezzo per rieducare il reo, per riabilitarlo. Almeno in teoria.
A partire dal 2014, la misura non può essere disposta a tempo indeterminato, ovvero fino a quando il soggetto interessato venga considerato socialmente pericoloso. Può invece essere prorogata per un tempo che non può superare il massimo della pena detentiva collegata al reato commesso (in presenza di più reati, si prende in considerazione il reato di maggiore gravità).
Se un detenuto ha trascorso 10 anni in carcere, quindi, può trascorrere fino a un massimo di 10 anni nella condizione di internato.
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Quanto dura l’assegnazione
L’art. 217 cp prevede che l’assegnazione a una casa di lavoro o a una colonia agricola abbia una durata minima di 1 anno. Tuttavia:
- per i delinquenti abituali, la durata minima è di 2 anni;
- per i delinquenti professionali è di 3 anni;
- per i delinquenti di tendenza è, invece, pari a 4 anni.
È il Giudice a stabilire l’assegnazione a una casa di lavoro o a una colonia agricola, tenendo conto delle condizioni e attitudini del soggetto al quale si rivolge il provvedimento – che potrà comunque essere modificato nel tempo dal magistrato di sorveglianza.
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Nelle case di lavoro si lavora davvero?
Nonostante il nostro codice penale sottolinei la differenza tra la pena carceraria e la casa di lavoro, le case di lavoro rappresentano una sorta di prolungamento del carcere, dato che, di fatto, non c’è lavoro – o comunque ce n’è poco e in genere si limita al funzionamento della struttura.
In aggiunta, con la riforma dell’ordinamento penitenziario dell’ottobre 2018, è stato cancellato il comma 3 dell’art. 20, nel quale si prevedeva che il lavoro fosse “obbligatorio per i condannati e per i sottoposti alle misure di sicurezza della colonia agricola e della casa di lavoro”.
Di casa, poi, hanno solo il nome, considerato che sono solitamente collocate all’interno degli istituti penitenziari (o ex) e negli ex istituti psichiatrici. Nelle case ci sono le celle e, dunque, chi le abita vive dietro le sbarre.
Prendendo in esame il numero degli internati nel periodo compreso tra il 1991 e il 2022, c’è stata una progressiva riduzione. Nel 1991, erano 1252, nel 2009, 1837 (il numero più alto raggiunto), mentre il 28 febbraio 2022, erano soltanto 280. I dati relativi alle loro assegnazioni, però, non sono del tutto chiari, né la fragilità delle loro condizioni.
In alcune case di lavoro, gli internati sono dichiarati inabili a lavorare per la presenza di problemi psichiatrici: psicosi, gravi disturbi della personalità, depressioni, disturbi bipolari. Così, si aggirano in questo limbo come fantasmi. Col rischio di riabbracciare finalmente la libertà a 70 anni (o più), senza casa, documenti né pensione.
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