La Corte costituzionale riconosce il diritto all’affettività dei detenuti
La Corte Costituzionale ha riconosciuto i colloqui intimi in carcere: ecco qual è stato l'ter che ha portato al raggiungere questo importante traguardo, quello all'affettività dei detenuti.
- La Corte Costituzionale ha riconosciuto il c.d. diritto all’affettività dei detenuti, inteso come diritto a mantenere una relazione ordinaria con il proprio partner.
- L’art. 18 dell’ordinamento penitenziario escludeva la possibilità di incontri intimi, prevedendo l’obbligo di controllo a vista.
- La Corte Costituzionale è intervenuta sulla norma, al fine di garantire i diritti fondamentali del detenuto e dei suoi cari.
Recentemente è stata riproposta all’attenzione la questione della tutela del diritto all’affettività del detenuto. La questione è stata a lungo considerata un vero e proprio tabù giuridico per la Corte costituzionale.
L’art. 18 ord. pen. è stato a lungo un ostacolo al concretizzare il diritto del detenuto ad incontri privati con il proprio partner. In altri ordinamenti, tale eventualità è ammessa e anzi tutelata, tramite apposite disposizioni e un’organizzazione di mezzi e strutture.
Nel seguente articolo, ci concentreremo sulla recente pronuncia della Corte Costituzionale, depositata il 26 gennaio 2024. Nella sentenza in esame, la Corte ha riconosciuto il diritto all’affettività del detenuto, individuando anche le modalità per consentire l’esercizio del diritto, in attesa dell’intervento del legislatore.
- Diritto all’affettività e intervento della Corte Costituzionale
- Cosa ha sostenuto il giudice di merito?
- Diritto all’affettività dei detenuti: la precedente pronuncia della Corte Costituzionale
- Cosa ha affermato la Corte Costituzionale
- Dimensione affettiva e finalità rieducativa della pena
- Diritto all’affettività del detenuto: modalità del colloquio
- Soggetti ammessi ai colloqui
Diritto all’affettività e intervento della Corte Costituzionale
Di recente la Corte Costituzionale è intervenuta su una questione particolarmente interessante, ossia il diritto dei detenuti all’intimità, quindi, il diritto del detenuto all’affettività e ad avere rapporti sessuali anche durante l’esecuzione della pena in carcere.
Infatti, l’art. 18 ord. pen. vieta di svolgere gli incontri con i familiari in assenza di uno specifico controllo da parte della polizia penitenziaria. La norma in questione, secondo la Corte, limita ingiustificatamente il diritto del soggetto detenuto.
Dunque, la pronuncia ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma, nella parte in cui non consente i colloqui con il partner senza controllo a vista. La pronuncia, dunque, interviene su una questione di vecchia data: già alcuni anni fa, infatti, la questione era stata sottoposta alla Corte Costituzionale, ma in quella occasione non si giunse ad una presa di posizione.Vediamo quali sono state le motivazioni della Corte.
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Cosa ha sostenuto il giudice di merito?
Le questioni di legittimità costituzionale sono, in genere, a carattere incidentale, cioè un giudice di merito procede a sottoporre un quesito alla Corte Costituzionale, rispetto a una norma che deve essere applicata nel giudizio innanzi a lui pendente.
Dunque, il giudice di merito motiva le ragioni dell’illegittimità costituzionale. Nel caso di specie, la questione è stata sollevata dal giudice del Tribunale di sorveglianza, a fronte di un reclamo effettuato dal partner di un detenuto.
Il magistrato ha evidenziato una duplice violazione dell’art. 13 Cost.:
- l’astinenza forzata dai rapporti sessuali comporterebbe, in primo luogo, una compressione ingiustificata della libertà personale;
- l’impossibilità di vivere un rapporto di coppia si traduce in una violenza fisica e morale ai danni della persona sottoposta a restrizioni.
Inoltre, tale preclusione comporta anche l’azzeramento della dimensione di vita di coppia, che può minacciare la serenità e stabilità della famiglia, causando una lesione dei principi espressi dagli artt. 29, 30 e 31 Cost. Il magistrato ha anche riscontrato una violazione della salute psicofisica della persona detenuta.
Infine, si ravvisa anche una violazione dell’art. 27, co. 3, Cost., in quanto la misura comprime la finalità rieducativa della pena. Nell’ordinanza si evidenzia che attraverso la sottrazione di una porzione significativa di libera disponibilità del proprio corpo e del proprio esprimere affetto, si arriva ad una regressione del detenuto verso una dimensione infantilizzante.
Dunque, ad avviso del magistrato, l’art. 18 ord. pen. non supera il vaglio di ragionevolezza. La misura comprime valori costituzionali, senza che sia giustificata da concrete esigenze di sicurezza.
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Diritto all’affettività dei detenuti: la precedente pronuncia della Corte Costituzionale
La precedente pronuncia della Corte Costituzionale aveva dichiarato di non poter prendere posizione sulla legittimità costituzionale dell’art. 18 ord. pen., perché non era possibile applicare una norma sostitutiva.
Cosa significa? La Corte non aveva individuato nell’ordinamento un aggancio normativo, che avrebbe potuto sostituire la norma, nella parte dichiarata incostituzionale. La Corte Costituzionale, invece, in questo caso, ha ritenuto di potersi pronunciare, alla luce della perdurante inerzia del Legislatore nazionale.
In particolare,l a Consulta ha valorizzato alcune disposizioni che sono intervenute nel tempo, come, per esempio, alcune disposizioni introdotte per valorizzare il rapporto di coniugio e la convivenza more uxorio nell’ordinamento penitenziario.
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Cosa ha affermato la Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale, come anticipato, ha accolto la tesi dell’illegittimità costituzionale della norma. Infatti, ha osservato la Corte che l’art. 18 ord. pen. contempla una modalità unica e inderogabile dei colloqui negli istituti penitenziari. La previsione di tali modalità ha la funzione di garantire, da un lato, la regolarità degli incontri, dall’altro, che questi non siano strumentalizzati dal detenuto.
Si pensi, soprattutto, ai casi di soggetti detenuti per associazione per delinquere, i colloqui privati potrebbero in qualche modo facilitare il contatto con l’associazione esterna.
Tuttavia, la Corte ha ritenuto che l’assolutezza e l’inderogabilità della prescrizione producano una compressione sproporzionata e ingiustificata della dignità della persona. In particolare, la pronuncia evidenzia che, non solo i diritti del detenuto sono compressi, ma anche i diritti del partner.
Infatti, nella pronuncia si legge che è:
inevitabile che le persone affettivamente legate al detenuto patiscano le conseguenze fattuali delle restrizioni carcerarie a lui imposte (…) tale riflesso soggettivo diviene incongruo quando la restrizione stessa non sia necessaria, e pertanto, nella specie, quando il colloquio possa essere svolto in condizioni di intimità senza che abbiano a patirne le esigenze di sicurezza.
D’altra parte, l’ordinamento consente al detenuto anche di contrarre matrimonio in carcere; tuttavia, questo matrimonio, in tal modo, sarà sempre platonico – il c.d. matrimonio in bianco.
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Dimensione affettiva e finalità rieducativa della pena
La Corte Costituzionale ha poi evidenziato che la previsione dell’art. 18 ord. pen., inoltre, può anche essere causa di una compromissione nel percorso di rieducazione del detenuto. Infatti, la privazione di una dimensione anche fisica dei rapporti affettivi può ostacolare la risocializzazione della persona condannata.
Il reo potrebbe percepire la misura come eccessiva e non proporzionata alla propria condotta. Quindi, l’impossibilità di avere rapporti potrebbe comportare delle ricadute negative sul detenuto, compromettendo l’obiettivo di rieducazione.
Tale limitazione comporta anche una violazione del diritto alla vita privata e familiare, disciplinato all’art. 8 CEDU. Però, come evidenziato, non è la misura in sé ad essere sproporzionata, ma il fatto che non sia derogabile o comunque attenuabile. Dunque, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, a fronte delle molte argomentazioni che abbiamo richiamato.
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Diritto all’affettività del detenuto: modalità del colloquio
La dichiarazione di incostituzionalità ha posto non pochi problemi applicativi, soprattutto per quanto riguarda le modalità per consentire questi colloqui privati, soprattutto a fronte dell’assenza di una disciplina apposita. La Corte ha anche invitato il legislatore ad intervenire sul punto e a introdurre una normativa puntuale in materia.
Inoltre, ha anche previsto alcune indicazioni circa le modalità da adottare, in attesa dell’intervento legislativo. La pronuncia, in primo luogo, stabilisce che devono essere individuati spazi dedicati al c.d. diritto all’affettività. Inoltre, la Consulta evidenzia anche che è necessario contingentare la durata dei colloqui in modo adeguato.
Sul punto, è possibile leggere che si deve garantire la fruizione non sporadica del diritto. L’obiettivo è quello di consentire al detenuto di preservare la stabilità della propria relazione affettiva.
La Corte precisa che tali incontri potrebbero essere consentiti in unità abitative appositamente attrezzate all’interno degli istituti, organizzate per consentire la preparazione e la consumazione di pasti e riprodurre, per quanto possibile, un ambiente di tipo domestico.
Tali incontri devono essere consentiti assicurando la riservatezza, quindi, si deve:
- escludere la sorveglianza interna;
- precludere la possibilità di accesso anche agli altri detenuti.
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Soggetti ammessi ai colloqui
La Corte Costituzionale ammette a tali colloqui solo alcuni soggetti. In primo luogo, si è esclude la compresenza di più persone, giacché il fine dell’incontro è, tendenzialmente, quello di consentire rapporti sessuali.
Inoltre, i colloqui possono svolgersi solo con il coniuge, la parte unita civilmente, il convivente. È, in ogni caso, necessario che il direttore dell’istituto o il giudice procedente valuti l’ammissibilità del colloquio.
Gli incontri possono essere vietati, in specie alla luce della particolare pericolosità sociale del detenuto, oppure in caso di irregolarità della condotta e precedenti disciplinari.
Rispetto ai detenuti per reati c.d. ostativi, la Corte ritiene che in linea di principio non sussistono impedimenti normativi che precludano l’esercizio dell’affettività intra moenia.
Tuttavia, si osserva pure che la considerevole riduzione del numero dei colloqui autorizzabili per i reati c.d. di prima fascia:
indica un chiaro orientamento legislativo nel senso di un maggiore controllo sugli incontri di queste persone, e ciò non può che tradursi in una più stringente verifica dei presupposti di ammissione all’esercizio dell’affettività intramuraria.
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Diritto all’affettività dei detenuti – Domande frequenti
Con diritto all’affettività dei detenuti si intende il diritto di costoro di preservare i propri legami affettivi, anche esercitando il proprio diritto alla sessualità.
Nell’ordinamento interno, il diritto all’affettività dei detenuti era compresso in conseguenza dell’art. 18 ord. pen., che non consentiva visite del partner in assenza della custodia a vista, precludendo, di fatto, ogni rapporto sessuale.
L’articolo 18 ord. pen. limita ingiustificatamente la libertà personale del detenuto e dei suoi cari, in modo del tutto irragionevole, incidendo anche sulla salute psico-fisica dell’individuo.
La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’art. 18 ord. pen., consentendo incontri intimi tra il detenuto e il coniuge, convivente o unito civilmente, senza custodia a vista.
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