Differenza tra NASpI e DIS-COLL

Il decreto Cura Italia aveva introdotto la sospensione dei licenziamenti fino al 16 maggio 2020. Il decreto maggio, del quale è stata elaborata una prima bozza, ha portato a una novità sostanziale sul tema, introducendo il divieto relativo ai licenziamenti collettivi e individuali per motivi economici fino al 16 agosto 2020.
Restano in vigore le regole sui licenziamenti già presenti nel precedente decreto: in questa guida saranno infatti presentati i casi nei quali è possibile licenziare i dipendenti anche ai tempi del coronavirus e quali sono le procedure al quale il lavoratore può appellarsi nel caso di licenziamento.
Uno dei punti elaborati dal decreto Cura Italia, ovvero l’articolo 46, ha previsto che nel periodo compreso fra il 17 marzo 2020 e il 16 maggio 2020 i licenziamenti siano bloccati. Tale blocco di 60 giorni riguarda:
La misura sarà valida per tutte le aziende, a prescindere da loro numero di dipendenti.
Nel decreto si legge che:
“A decorrere dalla entrata in vigore del presente decreto, l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge n. 223/1991 è precluso per sessanta giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti successivamente alla data del 23 febbraio 2020.
Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604/1966”.
La bozza del decreto maggio in preparazione per contrastare maggiormente l’emergenza coronavirus ha previsto la proroga delle procedure di blocco dei licenziamenti per ulteriori 3 mesi rispetto alle disposizioni contenute nel decreto Cura Italia.
In pratica, i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo o quelli collettivi resteranno sospesi fino al 16 agosto 2020. Vi rientreranno anche:
Non
rientrano nel divieto imposto dal Governo:
Quando un’attività aziendale è costretta a sospendere o interrompere la propria produzione si rientra nei casi di impossibilità sopravvenuta della prestazione, che si verifica per cause di forza maggiore, in questo caso specifico per l’emanazione di un provvedimento amministrativo.
Nella fattispecie, la responsabilità non è del datore di lavoro né del lavoratore: cosa succede allora ai dipendenti dal punto di vista della retribuzione? Ne hanno diritto? Vengono considerati assenti giustificati o possono rischiare di essere licenziati?
In pratica, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione non è un valido motivo per licenziare un dipendente, in particolar modo se temporanea e dovuta a decisioni di tipo legislativo. Purtroppo, però, non garantisce al lavoratore il diritto a ricevere una retribuzione.
Quali sono dunque le soluzioni in un contesto del genere? I dipendenti possono:
Cosa succede quando lo smart working non può essere applicato e le assenze retribuite terminano, ma l’impossibilità sopravvenuta della prestazione continua? Il datore di lavoro dovrà fare delle valutazioni, ovvero potrà licenziare il dipendente per giustificato motivo oggettivo nel caso in cui si rendesse conto che in futuro avrebbe delle difficoltà a retribuirlo in seguito a un calo del fatturato.
In tale ipotesi, il dipendente ha comunque la possibilità di impugnare il licenziamento per impossibilità sopravvenuta, e riuscire a dimostrare:
Quando si verificherà la sospensione delle misure in vigore e, di conseguenza, la ripresa dell’attività produttiva, il datore di lavoro potrà quindi decidere di licenziare il lavoratore per giustificato motivo oggettivo (Gmo) se si rende conto di non poter più trarre vantaggio dalla sua prestazione lavorativa.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo prevede un periodo di preavviso e, ai sensi dell’articolo 3 della legge 604/1966, può essere dovuto per legge a ragioni che riguardano:
Inoltre, il Gmo è legittimo anche nei casi in cui l’azienda non stia attraversando un periodo di crisi, ma vi siano presenti delle dinamiche che investono i tre punti elencati in precedenza.
Il licenziamento, che deve essere comunicato in forma scritta e deve contenere le ragioni alla base della risoluzione del rapporto di lavoro, è legittimo se:
Il dipendente ha la possibilità di impugnare il licenziamento entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione scritta.
In base a quanto contenuto nel decreto Cura Italia, i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo sono bloccati per cause che dipendono dall’attività produttiva. Tale disposizione è stata confermata anche dal decreto maggio.
I licenziamenti sono invece possibili nei casi seguenti:
Per quanto riguarda i licenziamenti collettivi, lo stop non si applica alle procedure che erano state avviate prima del 16 marzo: i licenziamenti programmati potranno avvenire nel rispetto della normativa in vigore.
No, in quanto la loro assenza è dovuta ad una causa di forza maggiore, ovvero alla chiusura degli uffici e al periodo di quarantena obbligatorio. Inoltre, le assenze da parte dei dipendenti pubblici a causa delle misure in vigore vengono regolarmente considerate come servizio ordinario e sono dunque oggetto di retribuzione.
La quarantena per i dipendenti pubblici viene invece equiparata al ricovero ospedaliero, mentre per i dipendenti privati è equiparata alla malattia.
Assentarsi dal lavoro solo per timore di contrarre il virus non rappresenta una giustificazione oggettiva: se ci si comporta il tal senso, non solo non si ha diritto alla retribuzione, ma si rischia di incorrere in sanzioni di tipo disciplinare.
Nel caso in cui la raccomandazione provenisse dal proprio medico, per esempio perché si hanno dei sintomi assimilabili al COVID-19, allora l’assenza è giustificata e potrà essere trattata come malattia.
Tra le misure a sostegno dei lavoratori e delle aziende in questo periodo di grande difficoltà c’è la cassa integrazione in deroga, che può essere utilizzata anche dalle aziende che si servivano già della cassa integrazione straordinaria.
L’obiettivo è quello di fornire supporto alle aziende, in particolar modo le PMI, che sono state costrette a sospendere la loro attività produttiva. La cassa integrazione in deroga potrà essere richiesta per un periodo massimo di 9 settimane.
La CIGD permetterà alle banche di anticipare delle somme, che saranno poi rimborsate dall’INPS. La misura economica sarà riservata a tutte le aziende che hanno ridotto o sospeso la produzione a causa dell’emergenza epidemiologica, che potranno farne richiesta utilizzando la causale COVID-19.
L’indennità che spetterà ai lavoratori sarà pari all’80% del proprio stipendio, ai quali si potranno aggiungere eventuali ratei aggiuntivi, e che non potranno superare le 40 ore settimanali. La domanda dovrà essere presentata all’INPS entro 20 giorni dalla data della sospensione o della riduzione dell’attività lavorativa.
Sì, se la sua azienda rientra tra quelle che rimarranno aperte durante il periodo dell’emergenza sanitaria. In questo caso la sua assenza dal posto di lavoro non è giustificata perché non dipende da una motivazione oggettiva.
Sì, abbiamo visto che una delle soluzioni nei casi di sospensione o riduzione di un’attività produttiva a casa dell’emergenza sanitaria consiste nel mettere i dipendenti in ferie o in congedo retribuito.
La sospensione dei licenziamenti è applicabile dal 17 marzo al 16 maggio 2020 sui licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e sui licenziamenti collettivi. Esistono, però delle eccezioni, che sarebbe bene analizzare.
Il decreto Cura Italia ha introdotto il blocco dei licenziamenti per quanto riguarda i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo dovuti all’attività produttiva. Esistono però alcune eccezioni che legittimano il licenziamento anche in questo periodo.