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Licenziamento per rappresaglia o per ritorsione

Cosa si intende con l'espressione licenziamento per rappresaglia, chiamato anche licenziamento ritorsivo, come fare a riconoscerlo per tutelarsi e qual è la differenza con il licenziamento discriminatorio.

licenziamento per rappresaglia

Tra i casi di nullità del licenziamento rientra anche quello motivato da antipatia, vendetta o ritorsione nei confronti del lavoratore. 

Si tratta di una tipologia di licenziamento illecito noto come licenziamento per rappresaglia o ritorsivo

Vediamo di seguito di cosa si tratta, tra esempi e conseguenze, e quali sono le differenze rispetto al licenziamento discriminatorio

Significato

Il licenziamento per rappresaglia – noto anche come licenziamento ritorsivo – è quello che viene eseguito come una vera e propria vendetta. Nonostante il lavoratore non abbia fatto niente di sbagliato, il datore di lavoro ha una reazione ingiusta e arbitraria

Nella pratica, un licenziamento può essere considerato ritorsivo nel momento in cui:

  • non vi siano motivazioni valide alla base, quindi non rientri nei casi di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo o oggettivo;
  • si basi unicamente sulla vendetta nei confronti del lavoratore a causa di un suo comportamento lecito, ma non gradito dall’azienda (come può essere quello di aizzare i dipendenti contro il datore di lavoro per i pagamenti degli stipendi in ritardo), o motivata da ragioni personali

Leggi anche: Cosa sono le dimissioni per giusta causa

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Come impugnare il licenziamento per rappresaglia

Il primo elemento per poter impugnare un licenziamento di tipo ritorsivo consiste nel riuscire a dimostrarlo. L’onere della prova è a carico del lavoratore e non sempre è facile provare di essere nel giusto. 

La giurisprudenza è intervenuta in tal senso a sostegno dei lavoratori che subiscono questa forma di licenziamento ingiusto e arbitrario dando loro la possibilità di poter dimostrare l’intento ritorsivo anche partendo da semplici indizi, che prendono il nome di presunzioni.

Considerato che le circostanze di ogni singolo licenziamento possono davvero essere infinite non è possibile elaborare un elenco completo che sia valido in ogni occasione. Tuttavia, ci sono degli indizi ai quali si può fare sempre riferimento

LEGGI ANCHE Licenziamento per giustificato motivo soggettivo e oggettivo: presupposti, differenze, esempi

Presunzioni da individuare

Una prima presunzione per capire se il lavoratore sia stato vittima di un licenziamento per rappresaglia è rappresentata dalla fondatezza delle motivazioni presentate dall’azienda per giustificare il recesso dal contratto lavorativo. Qualora siano inesistenti è molto probabile che il vero fine sia di tipo vendicativo

Un classico esempio di licenziamento per rappresaglia è quello il cui un lavoratore che è stato assente per malattia per un lungo periodo – non gradito dall’azienda – venga licenziato al suo rientro con la scusa della chiusura del reparto in cui è impiegato. In assenza di un giustificato motivo oggettivo il licenziamento avviene quasi sempre per scopi ritorsivi. 

Una seconda presunzione è quella per cui la ritorsione rappresenta il motivo esclusivo per il quale un lavoratore viene licenziato, l’unica ragione del recesso da parte dall’azienda, che non potrà motivare il licenziamento in nessun altro modo. 

Leggi anche: Licenziamento categoria protetta

cos'è il licenziamento per rappresaglia

Conseguenze

Il licenziamento ritorsivo fa parte, come anticipato nelle prime righe, dei licenziamenti illegittimi: essendo nullo il lavoratore dovrà obbligatoriamente essere reintegrato in servizio e dovrà ricevere anche le mensilità non pagate tra la data effettiva di licenziamento ritorsivo e il momento di ripresa dell’attività lavorativa. 

Cosa cambia nel caso del licenziamento discriminatorio

Spesso si tende a fare confusione tra il licenziamento per rappresaglia e il licenziamento discriminatorio, che in realtà sono motivati da ragioni ben diverse. 

Com’è facile, infatti, intuire il licenziamento discriminatorio può essere dovuto alle proprie convinzioni politiche, religiose, razziali, di lingua, di sesso, di età o di handicap. Un lavoratore potrebbe rischiare di essere licenziato, in tale ipotesi, anche in relazione al proprio orientamento sessuale.

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Gregorio Gentile
Consulente del lavoro
Appassionato di scrittura per il web e di diritti dei lavoratori, collabora con la redazione di deQuo per alimentare il suo desiderio di giustizia nel mondo.
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