Infortunio sul lavoro: come ottenere il risarcimento del danno

La collaborazione occasionale consiste nello svolgere un’attività professionale in modo saltuario e non continuativo: per questo motivo chi lavora in prestazione occasionale è esonerato dall’apertura della partita IVA.
Lavorare senza la partita IVA è infatti possibile, ma a condizione che l’attività svolta sia sporadica e non sia essere un’attività di impresa. Pertanto, una collaborazione occasionale non può essere considerata un’alternativa alla partita IVA, poiché rappresenta un lavoro di tipo temporaneo.
In questa guida analizzeremo nel dettaglio chi sono i soggetti che possono svolgere prestazioni di tipo occasionale, come funziona la relativa tassazione e quali sono i limiti di guadagno che non devono essere superati, cos’è e come è fatta una ritenuta d’acconto.
Le prestazioni occasionali sono state introdotte dalla Legge n.30/2003, ovvero la “legge delega al governo in materia di occupazione e mercato del lavoro”, nel quale la prestazione occasionale è stata definita come “qualsiasi attività di lavoro caratterizzata dall’assenza di abitualità, professionalità, continuità e coordinazione”.
La legge del 2003 è confluita nella successiva legge Biagi, nella quale venivano definite le caratteristiche della prestazione occasionale, ovvero:
In seguito all’abrogazione della legge Biagi, avvenuta nel 2015, con l’introduzione del Jobs Act, le collaborazioni occasionali intese come lavoro autonomo occasionale trovano riferimento normativo unicamente nell’articolo 2222 del Codice Civile, il quale disciplina il contratto di prestazione d’opera.
In base al contenuto dell’articolo, un collaboratore occasionale è “chi si obbliga a compiere, dietro corrispettivo, un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio senza vincolo di subordinazione, né potere di coordinamento del committente ed in via del tutto occasionale”.
Non ha una durata massima di 30 giorni in un anno e non prevede un limite massimo di reddito di 5.000 euro all’anno. L’elemento che permette di parlare di collaborazione occasionale è che l’attività svolta non deve essere continuativa.
Tra le attività non abituali che possono essere svolte, esiste una differenza tra il lavoro autonomo occasionale e il lavoro occasionale accessorio. In cosa consiste?
Il lavoro autonomo occasionale è quello svolto dai soggetti che svolgono attività di tipo intellettuale: si tratta, in genere, di quei soggetti che non hanno l’obbligo di iscriversi a un albo o a un elenco professionale
Il lavoro occasionale accessorio, invece, comprende le attività non continuative di tipo subordinato, nelle quali è presente uno specifico committente. Il lavoro non è, dunque, autonomo, ma dipendente da qualcun altro.
Il lavoro accessorio è quello pagato i voucher o con i buoni lavoro: vi rientra, pertanto, anche la prestazione occasionale retribuita con i nuovi voucher, chiamati Prestò o Cpo – contratto di prestazione occasionale – oppure tramite il libretto famiglia.
Rispetto a un’attività di lavoro subordinato o parasubordinato, come i co.co.co., il contratto di lavoro autonomo occasionale di differenzia per:
Si tratta, in altre parole, di un’attività autonoma che non ha né vincoli di subordinazione, né vincoli di coordinamento, e per la quale non è richiesta l’apertura della partita IVA.
Pur trattandosi di un’attività non continuativa e saltuaria, non significa che la collaborazione occasionale non debba essere accompagnata da un contratto scritto. Ci sono tre elementi indispensabili che dovranno essere presenti al suo interno:
Il contratto di collaborazione occasionale rappresenta una tutela per i lavoratore: lavorare, anche se in modo temporaneo, basandosi unicamente su un accordo di tipo verbale, potrebbe comportare il mancato pagamento del collaboratore, e la successiva difficoltà nel pretendere la cifra spettante per l’attività professionale svolta. Si consiglia sempre di iniziare un lavoro occasionale solo quando si avrà tra le mani un contratto firmato dal committente.
Dato che chi svolge prestazioni di tipo occasionale non ha la partita IVA, deve rilasciare al proprio committente una ricevuta non fiscale, che prende il nome di ritenuta d’acconto. Tale ricevuta certifica la ricezione del pagamento, quindi non deve essere emessa prima della ricezione del compenso.
La ritenuta d’acconto, che può essere redatta a mano o al computer, dovrà contenere:
La ritenuta d’acconto deve essere rilasciata nei confronti dei sostituti di imposta, ovvero di:
La marca da bollo da 2 euro dovrà essere applicata sulla ritenuta d’acconto nel caso in cui la cifra da ricevere per la prestazione occasionale svolta sia superiore a 77,47 euro. La data di emissione della marca da bollo deve essere sempre antecedente rispetto a quella riportata sulla ritenuta: in caso contrario sono previste delle sanzioni.
A proposito della marca da bollo:
Dal punto di vista fiscale, le collaborazioni occasionali rientrano nella categoria dei “redditi diversi”, che possono essere dichiarati con il modello 730 o con il modello Redditi, indicando l’importo lordo percepito e l’eventuale ritenuta d’acconto subita.
Chi svolge prestazioni occasionali, raggiungendo un reddito inferiore ai 4.800 euro lordi all’anno, è esonerato dalla presentazione della dichiarazione dei redditi: entro tale valore è infatti prevista una detrazione IRPEF che azzera l’imposta IRPEF dovuta.
Nel caso in cui le prestazioni fossero state svolte verso un sostituto di imposta, la dichiarazione dei redditi potrebbe essere conveniente in quanto si potrebbero recuperare delle ritenute d’acconto subite, che sarebbero essere trasformate in credito d’imposta: per capire qual è la mossa più conveniente in relazione alla propria situazione, si consiglia di rivolgersi a un commercialista di fiducia.
La cifra massima che può essere incassata da chi lavora in prestazione occasionale è pari a 5.000 euro lordi l’anno, che vengono calcolati sommando tutti gli importi lordi delle prestazioni occasionali svolte nel corso dell’anno, escludendo dunque i redditi derivanti da lavoro dipendente o altre categorie.
Cosa succede nel momento in cui viene superata la soglia di 5.000 euro? Sarà necessario aprire la partita IVA? Si tratta di un argomento che genera quasi sempre parecchia confusione. La partita IVA non è legata al superamento dei 5.000 euro lordi all’anno, ma deve essere aperta nel momento in cui la collaborazione perda il carattere di occasionalità che la caratterizza e diventi di tipo continuativo.
Quello che è necessario fare, invece, nel momento in cui vengono superati i 5.000 euro lordi l’anno è di iscriversi alla gestione separata INPS per procedere con il versamento dei contributi previdenziali.
Nel momento in cui verrà superata la soglia fissata per la prestazione occasionale, il lavoratore dovrà comunicarlo al proprio datore di lavoro. Nella ritenuta d’acconto:
In base a quanto detto finora:
La prestazione di lavoro autonomo occasionale comprende ogni genere di attività di lavoro che non ha carattere di abitualità, continuità e professionalità.
La ritenuta d’acconto è una ricevuta non fiscale che viene rilasciata da chi svolge un lavoro occasionale e che non è in possesso di una partita IVA.
Si tratta di un’attività che viene svolta in modo del tutto episodico e si caratterizza per la saltuarietà e la non continuità delle prestazione.
No, si tratta di una convinzione diffusa, ma errata: in questo caso sarà necessario iscriversi alla gestione separata INPS.