Cosa succede se la moglie rinuncia alla casa coniugale
Rinunciare alla casa coniugale non è una decisione da prendere alla leggera. La rinuncia è possibile, ma deve essere formalizzata e, soprattutto, non può ledere i diritti dei figli. È bene pertanto avere chiari quelli che sono gli aspetti pratici e legali che ne conseguono.
- Il genitore al quale è stata assegnata in sede di separazione la casa coniugale può rinunciare a tale diritto.
- È necessario formalizzare la richiesta con un accordo ratificato dal Giudice o previa nuova istanza di modifica delle condizioni.
- In qualsiasi caso, l’interesse dei figli costituisce una priorità.
Quando una coppia si separa o divorzia, uno dei temi più delicati riguarda l’assegnazione della casa coniugale, ovvero dell’immobile in cui la famiglia ha vissuto durante il matrimonio e che spesso rappresenta il principale punto di riferimento per i figli.
Una domanda frequente è: la moglie (o il marito) può rinunciare alla casa coniugale? E se sì, come funziona la rinuncia e quali sono gli effetti? Nell’articolo che segue ci occuperemo proprio di questo, esaminando in quali casi si può rinunciare e con quali modalità.
Che cos’è la casa coniugale e come funziona l’assegnazione
La casa coniugale, come dicevamo, è l’abitazione principale in cui i coniugi hanno vissuto stabilmente insieme e formato il nucleo familiare. In caso di separazione o divorzio, l’assegnazione della casa non dipende dalla proprietà dell’immobile (che può essere di uno solo dei coniugi o in comproprietà), bensì dalla tutela dei figli.
Secondo la legge italiana e la giurisprudenza costante della Cassazione, la casa viene assegnata al genitore collocatario dei figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti, al fine di garantire loro la continuità abitativa.
Se non ci sono figli, invece, la casa non viene assegnata automaticamente a uno dei due coniugi, ma resta al proprietario o ai comproprietari. Il Giudice non ha il potere di assegnarla a chi non ne abbia la proprietà se non vi siano figli minori o maggiorenni non autosufficienti. La casa può essere assegnata al genitore collocatario anche se appartiene ai suoceri o è in affitto.
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La rinuncia alla casa coniugale: è possibile?
La moglie (o il marito) che riceve l’assegnazione della casa può decidere volontariamente di rinunciarvi. Anche se l’assegnazione della casa coniugale si traduce in un vantaggio economico non è detto che il genitore collocatario voglia continuare ad abitare in tale dimora.
Non esiste, infatti, un obbligo assoluto di accettare l’assegnazione: si tratta di un diritto e non di un dovere. Può accadere che il genitore voglia trasferirsi in altro immobile per evitare magari la vicinanza con i parenti dell’ex coniuge, oppure perché debba trasferirsi altrove per motivi di lavoro o comunque perché continuare a vivere nella stessa abitazione può risultare doloroso.
La rinuncia può avvenire in diverse situazioni, cioè:
- rinuncia in fase di separazione consensuale o divorzio congiunto: i coniugi, d’accordo, possono stabilire che nessuno resti ad abitare nella casa familiare. In questo caso, l’immobile torna nella disponibilità del proprietario o viene venduto se in comproprietà;
- rinuncia dopo l’assegnazione stabilita dal Giudice in caso di separazione giudiziale: anche se il Giudice ha assegnato la casa, la moglie (o il marito) può comunicarne la rinuncia, purché la decisione non leda i diritti dei figli. In caso contrario, sarà necessario un nuovo provvedimento del Tribunale.
Come si procede con la rinuncia
In tutti i casi, la rinuncia deve essere espressa e formalizzata, non essendo sufficiente andarsene via di casa. Nel primo caso, mediante accordo scritto, nel secondo con dichiarazione del Giudice, a seguito di un nuovo ricorso o istanza di modifica delle condizioni.
Quel che conta è che la rinuncia venga ratificata dal Giudice, al fine di garantire e tutelare gli interessi dei figli.
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Quali sono conseguenze della rinuncia alla casa coniugale
La rinuncia alla casa coniugale comporta diverse conseguenze di carattere abitativo, patrimoniale e familiare. Vediamole nel dettaglio.
1. Immobile di proprietà esclusiva del coniuge non assegnatario
Se l’immobile appartiene al marito, con la rinuncia l’assegnazione viene meno e la casa torna nella piena disponibilità del proprietario. Quindi, se la casa è intestata al marito e la moglie assegnataria rinuncia, il marito potrà rientrarne in possesso.
Ne consegue che, da un lato la moglie si troverà costretta, molto probabilmente, ad affrontare una nuova spesa (per esempio il pagamento di un canone di affitto), mentre il marito conseguirà un vantaggio economico. In questi casi il Giudice potrà prevedere un aumento dell’assegno di mantenimento. Viceversa, se era il marito a pagare il mutuo o le spese della casa, la rinuncia potrebbe alleggerire i suoi obblighi economici.
Se ci sono figli minori o non autosufficienti, la rinuncia della moglie (o del marito) non può danneggiarli. In tale ipotesi, il Giudice valuterà se riassegnare la casa all’altro genitore o individuare soluzioni alternative. In altre parole, la rinuncia non deve tradursi in un pregiudizio per i figli, che restano sempre al centro della tutela.
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2. Casa coniugale proprietà di entrambi
Una volta che la casa non è più vincolata come abitazione familiare, gli ex coniugi, in qualità di comproprietari, potranno venderla, affittarla o utilizzarla liberamente. Ciò è particolarmente importante nei casi in cui l’immobile sia una voce rilevante del patrimonio familiare.
3. Aspetti fiscali
Con la rinuncia, possono cambiare anche gli aspetti fiscali legati all’IMU, TARI e altre imposte sulla casa, che tornano a gravare sul proprietario effettivo.
Da quanto esposto si evince che l’assegnazione della casa coniugale è un diritto riconosciuto ad un genitore che può rinunciarvi. Poiché è un aspetto che ha una considerevole rilevanza economica incide pure sulla determinazione dell’assegno di mantenimento.
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Perché un coniuge può rinunciare alla casa coniugale
Le ragioni per cui una moglie o un marito possono decidere di rinunciare alla casa coniugale sono molteplici:
- motivi di ordine economico: la casa può essere troppo costosa da mantenere (spese condominiali, utenze, mutuo);
- nuove esigenze abitative: il coniuge assegnatario può voler trasferirsi in un’altra zona per lavoro o vicinanza alla famiglia di origine;
- nuova convivenza: se si instaura una nuova relazione stabile, spesso si preferisce vivere altrove;
- assenza di figli da tutelare: i figli possono essersi trasferiti altrove, magari per motivi di studio.
Rinuncia e nuovo partner: cosa prevede la legge
Un aspetto delicato riguarda il caso in cui il coniuge assegnatario inizi una convivenza stabile con un nuovo partner.
Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, ciò determina la perdita automatica del diritto di abitazione sulla casa coniugale, perché viene meno il legame con la famiglia originaria. Quindi, più che una rinuncia volontaria, in questo caso la legge considera che il diritto all’assegnazione si estingua di fatto.
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