Suicidio assistito in Italia: il primo caso pagato interamente dal Servizio sanitario nazionale
Quali sono i passi avanti che sono stati fatti in merito al suicidio medicalmente assistito in Italia e quali le differenze rispetto alla pratica dell'eutanasia.
Anna è il nome di fantasia scelto da una donna di 55 anni affetta da sclerosi multipla. La ricorderemo sempre per essere stata la prima donna a ottenere il suicidio assistito pagato per intero dal Servizio sanitario nazionale.
Il 28 novembre 2023 la donna è morta nella sua abitazione, a Trieste, con la somministrazione di un farmaco letale, con il supporto del SSN ai sensi di quanto previsto dalla sentenza Cappato/Antoniani, dopo un anno dalla sua richiesta.
È la quinta persona a morire in Italia di morte volontaria assistita, seguita dall’Associazione Luca Coscioni. Come dichiarato da Filomena Gallo, avvocata e Segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, Per la prima volta inoltre in Italia una persona ha avuto accesso all’aiuto alla morte volontaria interamente nell’ambito del Servizio sanitario pubblico a seguito dell’ordine di un Giudice”.
Cos’è il suicidio assistito
Il dibattito sulla scelta di morire con dignità quando le proprie condizioni di vita dipendono dall’utilizzo di macchine non ha ancora trovato una risposta positiva che sia accolta da tutti, mettendo la tutela del malato al primo posto.
In Italia, il 14 dicembre 2017 è stata approvata la legge sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), ovvero la legge n. 219, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 16 gennaio 2018.
La nostra Costituzione prevede poi che non si possa obbligare una persona a ricevere un trattamento sanitario contro la propria volontà – il rifiuto e la sospensione delle cure sono garantiti in Italia dall’art. 32 Cost. – e che la libertà individuale sia inviolabile (art. 13 Cost.).
La svolta è arrivata con la sentenza 242/2019 – cosiddetta Cappato/Antoniani – con la quale è stato riconosciuto il diritto al suicidio medicalmente assistito alle persone che ne facciano richiesta in totale lucidità, qualora abbiamo una patologia irreversibile, vivano sofferenze fisiche e psichiche insopportabili e siano tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale.
Il primo italiano a ottenere il suicidio medicalmente assistito dopo tale sentenza è stato Federico Carboni, conosciuto con il nome di fantasia “Mario”. Nel nostro Paese manca però una legge che dia la possibilità di ricorrere alla morte volontaria quando non si dipenda da trattamenti di sostegno vitale.
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Il caso di Anna
Anna è stata la prima persona a completare la procedura prevista dalla sentenza Cappato/Antoniani, ricevendo l’assistenza completa da parte del Servizio sanitario nazionale, in seguito all’ordine del Tribunale di Triste. Più nello specifico, sono stati forniti il farmaco letale, la strumentazione necessaria e un medico che, su base volontaria, ha supportato Anna nell’azione richiesta.
Il periodo precedente al suicidio assistito è stato preceduto dalle verifiche, da parte i medici incaricati dal SSN, delle condizioni di salute della donna, la quale viveva in una condizione di assistenza continua vitale e di dipendenza meccanica da un supporto ventilatorio (CPAP) durante la notte.
Per riuscire a far rispettare la sua volontà, Anna si è rivolta alla giustizia civile e penale, presentando un esposto contro la ASUGI (Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina), la quale, dopo 215 giorni dalla presentazione della relativa richiesta, non aveva ancora eseguito le verifiche delle condizioni mediche della donne previste dalla sentenza Cappato.
Dopo aver ricevuto un’ordinanza di condanna da parte del Tribunale di Trieste, ASUGI si è fatta carico del rispetto della procedura, mettendo a disposizione:
- il farmaco;
- la strumentazione;
- il personale sanitario.
Questo è il messaggio lasciatoci da Anna prima di morire:
“Anna” è il nome che avevo scelto e, per il rispetto della privacy della mia famiglia, resterò “Anna”. Ho amato con tutta me stessa la vita, i miei cari e con la stessa intensità ho resistito in un corpo non più mio. Ho però deciso di porre fine alle sofferenze che provo perché oramai sono davvero intollerabili. Voglio ringraziare chi mi ha aiutata a fare rispettare la mia volontà, la mia famiglia che mi è stata vicina fino all’ultimo. Io oggi sono libera, sarebbe stata una vera tortura non avere la libertà di poter scegliere.
Suicidio assistito e opinione pubblica
Il diritto di poter scegliere liberamente di poter porre fine alla propria vita, quando si è affetti da sofferenze troppo grandi da sostenere, si sta diffondendo sempre più, accogliendo l’accettazione da parte dell’opinione pubblica.
Un sondaggio dell’Osservatorio sul Nord Est ha per esempio messo in evidenza che 8 persone su 10 (quindi l’82% degli intervistati) è favorevole al suicidio assistito poiché quando una persona ha una malattia incurabile, e vive con gravi sofferenze fisiche, è giusto che i medici possano aiutarla a morire se il paziente lo richiede.
Quello che manca e sul quale bisognerebbe lavorare sono i tempi: far aspettare un anno (o più) una persona che soffre e impedirle di esercitare il suo diritto a morire con dignità il prima possibile non fa altro che acuire un dolore già di per sé devastante.
Differenza tra eutanasia e suicidio assistito
Nonostante, in apparenza, possano sembrare due concetti sinonimici, eutanasia e suicidio assistito non sono la stessa cosa. L’eutanasia comprende quegli interventi che si basano sulla somministrazione di un farmaco letale al paziente che ne faccia richiesta e che rientri in determinati requisiti. In Italia non è legale. Ne consegue un elevato rischio di ricorrere all’eutanasia clandestina.
Il suicidio assistito, invece, consiste nell’aiuto indiretto a morire da parte di un medico, quindi è il malato che si autosomministra il farmaco letale.
Per riceverlo, devono essere presenti 3 requisiti:
- chi ne fa richiesta deve essere perfettamente in grado di intendere e di volere;
- si deve avere una patologia irreversibile, che provochi gravi sofferenze fisiche o psichiche;
- si deve essere nella condizione di sopravvivere solo grazie a trattamenti di sostegno vitale.
Grande assente, oggi, una legge che renda l’eutanasia legale e il suicidio medicalmente assistito in grado di garantire la piena libertà di scelta e autodeterminazione della persona gravemente malata.
In Italia, in questo momento l’eutanasia, si può configurare:
- nel reato di Omicidio del consenziente (art. 579 cp);
- nel reato di Istigazione o aiuto al suicidio (580 cp).
Il suicidio medicalmente assistito – noto anche come eutanasia passiva – è oggi invece un diritto inviolabile grazie alle già citate legge 219/2017 e sentenza 242/2019 della Corte costituzionale.
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Come si ricorrere al suicidio assistito
Per ricorrere al suicidio medicalmente assistito è necessario:
- rivolgersi, tramite il medico di base o in autonomia, a una struttura pubblica del SSN;
- la stessa procederà alla verifica dei requisiti previsti dalla legge e ad avere la certezza che la volontà di morire sia stata manifestata dalla persona malata senza coercizioni, in modo chiaro e univoco.
Il paziente dovrà essere comunque informato su eventuali soluzioni alternative, quali le cure palliative e la sedazione profonda continua, che ha lo scopo di ridurre il dolore intrattabile, attraverso la riduzione progressiva della coscienza.
La procedura culmina con l’invio del fascicolo del paziente al comitato etico, la cui funzione è proprio quella di verificare la conformità della richiesta ai parametri previsti della sentenza della Corte costituzionale.
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