Dimissioni per fatti concludenti: cosa sono e come funzionano
L’art. 19 del Collegato Lavoro (Legge n. 203 del 2024) ha introdotto la possibilità per il datore di lavoro di comunicare l’avvenuta cessazione del rapporto di lavoro per volontà del lavoratore in caso di prolungate assenze ingiustificate. In questa guida scopriamo le modalità operative di questo nuovo strumento.
- L’art. 19 della Legge n. 203 del 2024 consente di comunicare le dimissioni per fatti concludenti del lavoratore dopo il verificarsi di prolungate assenze ingiustificate.
- La durata dell’assenza ingiustificata deve essere superiore a 15 giorni.
- Se il lavoratore riesce a dimostrare di essere stato impossibilitato a comunicare l’assenza, oppure che la mancata comunicazione è dipesa dal datore di lavoro, oppure se la comunicazione risulta essere non veritiera, il rapporto di lavoro viene ripristinato.
Tra le diverse norme del Collegato Lavoro (Legge 13 dicembre 2024, n. 203), quella stabilita nell’art. 19 in materia di dimissioni per fatti concludenti ha avuto sicuramente un grande impatto. In particolare, l’art. 19 inserisce il comma 7 bis all’art. 26 del Decreto Legislativo n. 151 del 2015, che disciplina le modalità telematiche con cui rassegnare le dimissioni.
La norma prevede che, in caso di protratta assenza ingiustificata del lavoratore, il datore di lavoro possa comunicare all’Ispettorato del lavoro che la cessazione del rapporto è avvenuta per volontà del lavoratore. Si tratta di un’ipotesi che viene parificata dal legislatore a quella delle dimissioni volontarie, e la risoluzione del rapporto non necessita l’intimazione di un licenziamento da parte del datore di lavoro.
In questo articolo analizziamo dopo quanti giorni di assenza possono verificarsi le dimissioni per fatti concludenti e come funziona il procedimento.
Come funziona la procedura di dimissioni per fatti concludenti?
Il nuovo comma 7 bis del Decreto Legislativo n. 151 del 2015 dispone che:
In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima.
Pertanto, in primo luogo, il datore di lavoro deve verificare se l’assenza ingiustificata si protrae oltre il termine previsto dal CCNL, oppure da oltre quindici giorni.
Tuttavia, è molto importante notare che il Ministero del Lavoro, con la Circolare n. 6 del 27.03.2025, ha chiarito che nel caso in cui il CCNL applicato preveda un termine diverso da quello contemplato dalla norma in esame, lo stesso troverà applicazione solo qualora sia superiore a quello legale (oltre 15 giorni di assenza ingiustificata). Ciò in ossequio al principio generale per cui l’autonomia contrattuale può derogare solo in melius le disposizioni di legge.
La procedura di dimissioni per fatti concludenti non si applica in caso di maternità, paternità o adozione, in quanto permane l’obbligo di convalida delle dimissioni presso l’INL ai sensi dell’art. 55 del D.Lgs. 151/2001.
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Come avviene la comunicazione all’Ispettorato del Lavoro
La disciplina delle dimissioni per fatti concludenti non prevede l’obbligo di una specifica comunicazione al lavoratore, ma di una comunicazione all’ultimo domicilio conosciuto circa il superamento del limite che ha portato a tale forma di dimissioni, potrebbe essere consigliabile anche per “coprirsi” da eventuali future, azioni in altra sede.
Ciò che il datore di lavoro deve fare obbligatoriamente, invece, è comunicare (possibilmente a mezzo PEC) all’Ispettorato del Lavoro competente che si è proceduto a ritenere il lavoratore dimissionario per fatti concludenti.
A proposito, con la nota n. 579 del 22 gennaio 2025, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito un facsimile di modello nel quale sono riportati i dati da inserire in tale comunicazione.
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Cos’è la comunicazione UNILAV
Una volta decorso il termine contrattuale o legale dell’assenza ingiustificata, ed effettuata la comunicazione all’Ispettorato, il datore di lavoro può procedere con la comunicazione UNILAV della cessazione del rapporto di lavoro. Quest’ultima decorrerà dalla data indicata nel Modello Unilav, che non può essere anteriore alla comunicazione all’Ispettorato.
In caso di dubbi sulle modalità di esecuzione del procedimento, è consigliabile rivolgersi a un avvocato specializzato in diritto del lavoro.
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Dimissioni per fatti concludenti: cosa succede dopo
L’Ispettorato può effettuare, entro 30 giorni dalla comunicazione datoriale, controlli sulla veridicità della stessa. Si tratta di un controllo facoltativo e non obbligatorio. Il controllo prevede il coinvolgimento del lavoratore e di eventuali altri soggetti informati dei fatti.
Laddove, all’esito dell’accertamento, sia riscontrata la non veridicità della comunicazione datoriale, o il lavoratore dia prova dell’impossibilità di comunicare i motivi per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, l’Ispettorato procede a comunicare il ripristino del rapporto ad entrambe le parti.
Una comunicazione non veritiera o errata, inoltre, potrebbe esporre il datore di lavoro anche ad un’azione risarcitoria da parte del lavoratore che abbia per tale ragione perso la possibilità di accedere al trattamento di disoccupazione.
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Opposizione alle dimissioni per fatti concludenti
Come si è detto, il lavoratore, per evitare l’effetto risolutivo del rapporto di lavoro, deve dimostrare di essere stato impossibilitato a comunicare le assenze al datore di lavoro, oppure che la mancata comunicazione è imputabile al datore di lavoro, o ancora la falsità della dichiarazione datoriale. Il lavoratore ha la facoltà di contestare la risoluzione anche in sede giudiziaria.
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Dimissioni per fatti concludenti – Domande frequenti
No, lo strumento in esame non è obbligatorio, ma costituisce un’alternativa al licenziamento disciplinare per assenza ingiustificata.
No, il lavoratore “dimissionario” non percepisce la NASpI. Ciò in quanto le dimissioni per fatti concludenti sono considerate equivalenti alle dimissioni volontarie, che non costituiscono un’ipotesi di perdita involontaria dell’occupazione e dunque di accesso alla NASpI.
No, proprio perché le dimissioni per fatti concludenti sono considerate equivalenti alle dimissioni volontarie e non danno accesso alla NASpI, il datore di lavoro non sarà tenuto a pagare il ticket di licenziamento
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