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Licenziamento illegittimo: cos’è, esempi e tutele per il lavoratore

Come si fa a impugnare un licenziamento illegittimo? Ecco quali sono gli strumenti a disposizione dei lavoratori per tutelarsi e richiedere un eventuale risarcimento danni.

quando il licenziamento è considerato illegittimo
  • Il licenziamento di un lavoratore non è sempre legittimo.
  • In presenza di licenziamento illegittimo, comunque, il lavoratore può tutelarsi, in modi diversi.
  • Può per esempio impugnare la decisione, al fine di essere reintegrato, oppure presentare richiesta di risarcimento.

Il licenziamento illegittimo rappresenta una delle situazioni più delicate nel panorama lavorativo italiano, in quanto può compromettere non solo la stabilità economica del lavoratore, ma anche il suo equilibrio psicologico.

Si tratta di una problematica complessa che richiede un’attenta analisi delle circostanze specifiche di ogni caso. Per i lavoratori è fondamentale conoscere i propri diritti e le tutele previste dalla legge, al fine di reagire prontamente e in modo efficace.

Il ruolo della consulenza legale e sindacale è cruciale per garantire che le procedure siano rispettate e per ottenere giustizia nei casi di abuso.

Di seguito vedremo quali sono i casi di licenziamento illegittimo e ci soffermeremo sui rimedi legali a favore dei lavoratori sulla base della normativa vigente.

Quando il licenziamento è illegittimo?

Il licenziamento viene definito illegittimo quando non rispetta le disposizioni normative previste dalla legge o dai contratti collettivi di lavoro. Questo può accadere, per esempio, quando non sussistono motivi validi per il licenziamento, oppure quando la procedura seguita dal datore di lavoro non è conforme alle regole previste.

In generale è illegittimo il licenziamento in cui manchi una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo o oggettivo. Precisiamo che:

  • il licenziamento per giusta causa si verifica quando il lavoratore pone in essere un comportamento talmente grave da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro;
  • il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è legato a inadempienze meno gravi rispetto alla giusta causa, ma comunque rilevanti;
  • infine, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è quello che deriva da ragioni economiche o organizzative che rendono necessaria la cessazione del rapporto di lavoro.

Quando un licenziamento non rientra in nessuna di queste categorie può essere considerato illegittimo.

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Quali sono le tipologie di licenziamento illegittimo?

Si possono individuare diverse tipologie di licenziamento illegittimo. Il licenziamento può essere discriminatorio quando la sua motivazione sottende una discriminazione. Per fare un esempio, si pensi a un licenziamento che avviene per motivi di sesso, religione, razza di appartenenza, opinioni politiche o sindacali.

Licenziamento inefficace o nullo

Il licenziamento è inefficace se comunicato in forma orale e non in forma scritta come previsto dalla legge. Un licenziamento può essere considerato illegittimo se il datore di lavoro non segue le procedure previste dalla legge o dal contratto collettivo. È necessario, infatti, che il lavoratore riceva una contestazione scritta e abbia la possibilità di difendersi.

Il licenziamento è nullo quando è la legge stessa a prevederlo come tale. A titolo di esempio, il licenziamento è nullo se intimato a causa di una malattia o in violazione delle tutele in materia di maternità o paternità.

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Senza valida ragione

Il licenziamento, inoltre, può essere connesso all’assenza di una motivazione valida. Un lavoratore viene licenziato con la motivazione di non aver raggiunto gli obiettivi aziendali prefissati. Tuttavia, l’azienda non ha fornito al dipendente gli strumenti adeguati a conseguire tali obiettivi o non ha definito chiaramente i criteri di valutazione.

Inoltre, se un datore di lavoro licenzia un dipendente per ragioni economiche, ma non dimostra che queste ragioni sono reali e inevitabili, il licenziamento può essere impugnato. Per esempio, se l’azienda assume nuovi lavoratori subito dopo il licenziamento, potrebbe essere difficile sostenere che vi fosse una reale necessità economica.

Si può altresì citare il caso in cui il giudice accerti che il motivo oggettivo per cui il lavoratore è stato licenziato è connesso alla sua disabilità psichica o fisica.

Licenziamento ritorsivo

Ultimo caso che si può menzionare è il licenziamento avvenuto per ritorsione. Un lavoratore viene licenziato come conseguenza di un’azione intrapresa contro il datore di lavoro, come una denuncia per condizioni di lavoro non sicure o una partecipazione a uno sciopero. Questo tipo di licenziamento viene considerato ritorsivo e, quindi, illegittimo.

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esempi di licenziamento illegittimo

Licenziamento illegittimo: conseguenze per il datore di lavoro

Se il giudice accerta l’illegittimità del licenziamento, le conseguenze possono variare a seconda della gravità e delle circostanze. Vengono disposte:

  • la reintegrazione: nei casi più gravi, come i licenziamenti discriminatori, il lavoratore ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro ed a un risarcimento pari alle retribuzioni perse. Il lavoratore viene reintegrato nella stessa posizione in cui si trovava prima di essere licenziato;
  • l’indennità risarcitoria: in alternativa, il giudice può disporre il pagamento di un’indennità economica calcolata sulla base dell’anzianità del lavoratore e della gravità del licenziamento.

In caso di giudizio, il datore di lavoro che perda la vertenza, è tenuto a corrispondere le relative spese.

Tutele crescenti

Il Jobs Act ha introdotto il regime delle tutele crescenti per i lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015. Questo sistema prevede che l’indennità risarcitoria aumenti in base all’anzianità del lavoratore, con un minimo di 3 mensilità e un massimo di 36.

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Tutele del lavoratore: cosa fare in caso di licenziamento?

In caso di licenziamento illegittimo, il soggetto destinatario del licenziamento non può più recarsi sul posto di lavoro. Nella lettera che intima il licenziamento, devono essere indicate le motivazioni su cui si basa la decisione del datore di lavoro. Il lavoratore si trova così di fronte a due possibilità: accettare il licenziamento oppure avvalersi della facoltà di impugnarlo

Una volta ricevuta la comunicazione del licenziamento, iniziano a decorrere i termini indicati dalla legge per potere fare opposizione. Trascorso tale lasso di tempo, il diritto ad impugnare il provvedimento decade. Per intervenire si hanno a disposizione 60 giorni dall’intimazione da parte del datore di lavoro, nel corso dei quali il lavoratore deve, in forma scritta, esprimere le sue ragioni e contestare la decisione del datore di lavoro. 

È un esperto in materia a valutare la legittimità del licenziamento ed eventualmente a suggerire al lavoratore la possibilità di contestare il provvedimento se vi sono margini di opposizione.

Se la contestazione avviene nei termini di legge, il lavoratore, tramite l’assistenza di un legale, entro 180 giorni può presentare ricorso dinnanzi al Tribunale del lavoro competente. In alternativa, è possibile un tentativo di conciliazione o arbitrato. Solitamente si cerca, infatti, la strada che permetta di raggiungere un accordo a vantaggio di entrambe le parti coinvolte. Se quanto offerto al lavoratore non si ritiene adeguato, andare in giudizio è inevitabile.

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Avv. Manuela Margilio
Esperta di diritto immobiliare, successioni, fiscalità.
Laureata in giurisprudenza a Torino. Dopo aver lavorato presso diversi studi legali, attualmente mi occupo di assicurazioni e scrivo sul web approfondendo tematiche sulle quali nel tempo mi sono specializzata.
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