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Quanto costa fare causa al datore di lavoro?

Quali costi comporta fare causa al datore di lavoro? Sono previste esenzioni e agevolazioni? E se l’azienda perde la causa chi paga l’avvocato? Ecco le risposte ai quesiti.

quanto costa fare causa al datore di lavoro
  • Fare causa al datore di lavoro comporta costi che comprendono il contributo unificato, vale a dire la tassa di accesso alla giustizia, le spese di notifica, e l’onorario spettante all’avvocato.
  • In tutti i gradi di giudizio, l’importo del contributo unificato cambia in base al valore della causa.
  • Per chi ha un reddito non superiore al triplo dell’importo per l’ammissione al gratuito patrocinio è prevista l’esenzione totale dalle imposte.

Si può fare causa al datore di lavoro ogniqualvolta il dipendente veda lesi i suoi diritti. L’idea di fare causa all’azienda può, tuttavia, far sorgere non pochi dubbi e preoccupazioni, non solo perché si ha il timore di possibili dispetti o ritorsioni da parte del superiore, ma anche per i costi che il giudizio può comportare.

In questo articolo ti spiego dettagliatamente quanto può costare una causa contro il datore di lavoro, se e quando vi è la possibilità di usufruire di agevolazioni, e, cosa non meno importante, chi paga le spese del giudizio se l’azienda dovesse perdere.

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In quali casi si può fare causa al datore di lavoro?

È possibile fare causa al datore di lavoro nei casi che seguono (che sono quelli più frequenti):

  • licenziamento illegittimo, che si ha, per esempio, quando il lavoratore viene allontanato per motivi discriminatori, quando l’illecito disciplinare non è grave a tal punto da giustificare il licenziamento, oppure quando il licenziamento non avviene in forma scritta;
  • demansionamento, qualora il dipendente venga adibito a mansioni inferiori rispetto a quelle per le quali era stato assunto;
  • mancato pagamento dello stipendio, quando il lavoratore non riceve la retribuzione dopo essere trascorse diverse settimane o addirittura mesi;
  • mobbing, che consiste in diversi comportamenti ostili reiterati nel tempo a danno del lavoratore, che possono causare a quest’ultimo problemi non solo professionali, ma anche di salute;
  • infortunio, nel senso che se il lavoratore si fa male in azienda può fare causa al suo superiore.

PUOI APPROFONDIRE LEGGENDO: Per cosa si può fare causa al datore di lavoro

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Causa al datore: il costo di diffida e il tentativo di conciliazione

Prima di adire l’autorità giudiziaria per agire contro il datore di lavoro, occorre tentare di risolvere la problematica attraverso una soluzione bonaria. Si inizia con una diffida contenente le contestazioni del lavoratore, che può essere inviata personalmente, da un avvocato, un consulente del lavoro o un rappresentante sindacale.

Qualora il dipendente decidesse di affidarsi a un professionista, il costo della lettera varia dai 100 ai 300 euro; il sindacato invece pretende normalmente il tesseramento. Nell’ipotesi in cui lo strumento della diffida risultasse vano, il dipendente, facendosi sempre assistere da un avvocato, può rivolgersi all’Ispettorato Territoriale del Lavoro per il cosiddetto tentativo di conciliazione.

In tal caso, se, per esempio il prestatore di lavoro volesse rivendicare la retribuzione non pagata, l’onorario dell’avvocato potrebbe variare in base al tempo impiegato e agli importi in gioco. Per esempio, per recuperare la cifra di 5.000 euro, il lavoratore potrebbe dover pagare il 10% al professionista che lo ha rappresentato in sede conciliativa.

LEGGI ANCHE: Non ricevo lo stipendio da due mesi: cosa posso fare?

Quali costi comporta fare causa al datore di lavoro?

Quando risulta necessario ricorrere al Tribunale per avviare una causa vera e propria contro il datore, occorre innanzitutto pagare il contributo unificato, che sarebbe la tassa di accesso alla giustizia. Esso è pari alla metà di quanto generalmente si paga per le altre cause e l’importo varia in base al valore della causa.

Per essere precisi, per un valore della causa fino a 1.100 euro, il contributo unificato da pagare è attualmente pari a 43 euro, mentre per un valore della causa superiore a 520.000 euro, il contributo arriva fino a 1.686 euro.

Al contributo unificato si affianca la parcella dell’avvocato; il professionista può fissare autonomamente l’onorario, fornendo dapprima un preventivo scritto al cliente.

Quanto prende un avvocato per una causa di lavoro?

L’avvocato concorda con il cliente la misura del corrispettivo e le relative modalità di erogazione; generalmente, l’onorario non è mai inferiore a 1.500 euro e può arrivare anche a 20.000 euro quando la cifra contestata supera 200.000 euro.

Da non trascurare poi le spese di notifica, per esempio quelle postali per recapitare un atto, che oscillano generalmente tra 10 e 20 euro ciascuna.

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chi paga l'avvocato in una causa di lavoro

Causa al datore di lavoro e gratuito patrocinio

È contemplata dalla legge l’esenzione totale dalle imposte per coloro che posseggono un reddito non superiore al triplo dell’importo per l’ammissione al Gratuito patrocinio, vale a dire 38.514,03 euro nel 2024, diventati 40.978,92 euro nel 2025.

Dunque, in tali casi, un dipendente che intende fare causa al suo datore di lavoro non è tenuto a corrispondere alcuna somma all’avvocato, dal momento che le spese legali sono coperte dallo Stato.

LEGGI ANCHE: Categorie protette sul lavoro: requisiti, percentuale invalidità e agevolazioni

A chi spettano le spese legali se l’azienda perde?

Le spese legali sono in tutti i casi anticipate dalla parte che agisce. Tuttavia, una volta emessa la sentenza, il giudice condanna la parte soccombente al rimborso delle spese del giudizio, che è comprensivo di tutte le spese vive e della parcella del professionista.

Ciò significa che, qualora l’azienda dovesse perdere, il datore di lavoro deve rimborsare al lavoratore tutte le spese legali e processuali.

Scopri di più su Rimborso spese legali agli imputati assolti: come funziona

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