Gli orfanotrofi esistono ancora in Italia?
Come funzionavano gli orfanotrofi in Italia e qual è stata la loro evoluzione nel tempo: ecco cosa succede ai bambini orfani o abbandonati oggi.
- Gli orfanotrofi in Italia non ci sono più.
- Sono stati infatti chiusi del tutto nel 2006.
- La loro funzione viene oggi svolta dalle case famiglia.
Capita spesso, guardando un film o una serie TV, di vedere scene di bambini che vivono in orfanotrofi. Bambini tristi, di solito, che vedono questa sottospecie di casa come un posto dal quale sperano di andare via il prima possibile.
Gli orfanotrofi sono stati delle strutture di accoglienza in cui venivano accolti ed educati i bambini abbandonati oppure orfani, quindi rimasti senza genitori. Il termine deriva dal greco orphanotrophêion, composto dalle parole orphanós (orfano) e tréphein (allevare).
“Sono stati” perché oggi gli orfanotrofi non esistono più, e non solo in Italia: vediamo qual è stato l’iter normativo che ha portato alla loro abolizione e da cosa sono stati sostituiti.
Orfanotrofi: la nascita
Da quello che sappiamo, il primo orfanotrofio europeo fu creato a Napoli, nel 1343, ma già da prima erano presenti altre strutture note con il termine “brefotrofio“, istituti nei quali venivano accolti e allevati i neonati illegittimi abbandonati o che si trovavano in pericolo di abbandono.
Negli anni, ci furono diversi ospedali e istituti pediatrici specializzati che si occuparono della cura di minori orfani e abbandonati, assieme ad alcuni ordini religiosi cristiani (tipo di Somaschi).
Nel periodo compreso tra il XVII e il XVIII secolo si diffusero in tutta Europa grandi istituti di accoglienza per gli orfani e i bambini abbandonati, che, però, spesso si trasformavano in sistemi legalizzati di sfruttamento dei minori – un po’ quello ci ha raccontato Charles Dickens in Oliver Twist.
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Seconda guerra mondiale
Il numero degli orfanotrofi in Europa e negli Stati Uniti crebbe nel corso del ‘900, in particolare tra la prima e la seconda guerra mondiale.
L’Olocausto fu al contempo un momento di orrore e di protezione per tanti bambini:
- quelli che si trovavano negli orfanotrofi ebraici, per esempio, furono tra le prime vittime dello sterminio nazista;
- in alcuni casi, gli orfanotrofi furono, invece, luoghi di rifugio e accoglienza.
Dopo la fine del conflitto, le grandi strutture sono state piano piano abolite, sia in Europa, sia negli Stati Uniti.
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Quando sono stati eliminati gli orfanotrofi in Italia?
Negli anni, gli orfanotrofi si sono occupati della cura e alla crescita non solo di bambini orfani, ma anche di bambini di strada e di minori che erano stati maltrattati o abusati dai propri genitori – e per questo allontanati dalla propria famiglia di origine.
La regola prevedeva che il minore restasse ospite della struttura:
- fino al raggiungimento della maggiore età;
- oppure, fino al momento dell’affido familiare o dell’adozione.
In Italia, gli orfanotrofi sono stati definitivamente chiusi nel 2006, con l’approvazione della legge n. 149 del 28 marzo 2001. Oggi i bambini orfani o abbandonati vengono trasferiti in una casa famiglia o una comunità di recupero, nell’attesa di una famiglia alla quale essere affidati o da cui essere adottati.
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Dove si trovano oggi i bambini orfani in Italia?
Come si chiamano adesso gli orfanotrofi? Oggi ci sono le cosiddette case famiglia (o case di gruppo), molto diverse dalle grandi strutture affollate e inefficienti del passato, nelle quali può essere accolto un numero massimo di 6 ospiti.
In queste realtà operano diverse figure – quali assistenti sociali, educatori/educatrici, psicologi/psicologhe – che hanno l’obiettivo di creare un ambiente simile a quello domestico, occupandosi della cura non solo fisica, ma soprattutto psicologica dei bambini che vi abitano.
Proprio per rendere questo istituto molto più simile a una vera famiglia, anche le sua caratteristiche architettoniche sono quelle di una qualunque abitazione familiare, nella quale convivono poche persone.
Non tutti i bambini che si trovano nella case famiglia possono essere adottati: alcuni di loro vengono infatti ospitati in modo transitorio, nell’attesa che la situazione familiare torni alla “normalità”.
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