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Paesi sicuri e protezione internazionale: cosa dice la sentenza della Corte di Giustizia UE

Secondo l’UE, i Paesi sicuri sono gli Stati che garantiscono un minimo grado di tutela a tutta la popolazione. In attesa di una normativa comune, gli Stati membri potranno stabilire quali sono i Paesi sicuri, ma il giudice può decidere diversamente

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  • I Paesi sicuri sono quegli Stati che garantiscono alla totalità della popolazione il rispetto dei diritti umani.
  • La protezione internazionale può essere revocata nel caso in cui il Paese di origine di migranti è considerato sicuro.
  • A stabilire se un Paese è sicuro è in ultima battuta il giudice, anche nel caso in cui vi sia una apposita normativa statale, che individua specificamente le Nazioni sicure.

Nelle ultime settimane, la bocciatura dell’Italia da parte dei giudici del Lussemburgo sulla questione relativa alla autorità competente alla individuazione dei c.d. Paesi sicuri sta dominando la scena politica internazionale. Il Paese sicuro è uno stato considerato rispettoso dei diritti umani, dove non sussistono persecuzioni, torture o minacce gravi alla vita o alla libertà.

Il Paese di provenienza dei migranti non è da considerarsi un Paese sicuro, se tale non è per determinate categorie di persone che, ancorché in minoranza, sono in qualche modo a rischio. A giudicare se un Paese di origine sia effettivamente un Paese sicuro è, in ultima battuta, la magistratura nazionale e ciò anche nel caso in cui vi sia un apposito atto legislativo emanato e vigente nello Stato membro.

È questo, in estrema sintesi, il principio affermato dalla Corte di Giustizia UE, con la sentenza 1 agosto 2025 C-758/24 e C -759/24, con la quale ha di fatto affermato di non condividere l’impostazione dell’attuale Esecutivo. 

Immediate le reazioni della maggioranza politica, che ha interpretato tale pronuncia come una ulteriore compromissione della funzione legislativa dei Parlamenti e dei Governi nazionali e una intromissione della magistratura su “materia politica”. Ma vediamo meglio cosa è accaduto.

La normativa italiana in materia di Paesi sicuri

Il disconoscimento della protezione internazionale, riservata ai migranti, è una procedura in alcuni casi molto veloce, attivabile presso le frontiere, quando si ritiene che uno Stato sia sufficientemente sicuro. In altri termini, se un migrante proviene da uno Stato che garantisce protezione a tutta la popolazione, questi viene trasferito presso i c.d. Centro di permanenza temporanea (CPR).

Si tratta di una procedura costosa che, tuttavia, secondo il Governo, dovrebbe consentire una più ragionata regolamentazione e gestione dei flussi migratori. In attesa di una normativa uniforme e comune per tutti i Paesi europei, l’Italia ha individuato i Paesi che assicurano tutela con un apposito atto legislativo (D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25). 

Fra tali Paesi sicuri vi sono il Bangladesh (Stato oggetto della decisione della Corte di Giustizia) e, fra gli altri, anche Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia.

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Il caso CPR Albania

La vicenda oggetto della decisione della CGUE trae origine da un ricorso di due cittadini del Bangladesh, soccorsi nel Mediterraneo, fermati e successivamente trasferiti presso i CPR in Albania per decisione del Governo italiano, che aveva ritenuto i Paesi di origine (Egitto e Bangladesh) Paesi sicuri.

In particolare, il Governo aveva dato attuazione all’accordo fra il nostro Stato e l’Albania, che prevede il trasferimento presso i CPR albanesi di immigrati illegali, se il Paese di provenienza di questi è inserito nella lista dei c.d. Paesi sicuri.

Il Tribunale di Roma, ravvisando un possibile contrasto fra la normativa italiana sul diritto di asilo e le direttive UE in tema di Paesi sicuri per i migranti, ha rinviato la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Motivazioni del rinvio alla CGUE

Secondo i giudici nazionali, la normativa italiana non rende note le fonti giuridiche sulla base delle quali il Governo ritiene un Paese come sicuro. 

Sempre a parere del giudice romano, posto che il diritto di contestare una decisione di allontanamento è da considerarsi un diritto del richiedente asilo, non contestabile, l’omessa indicazione dei principi, sottesi alla normativa nazionale, non consentirebbe alla magistratura di valutare, caso per caso, la legittimità del provvedimento assunto dal Governo.

In altri termini, lo Stato può legiferare, stabilendo quali siano i Paesi che tutelano tutta la popolazione, ma la magistratura ha il potere di controllare, per verificare la legittimità del provvedimento di espulsione di migranti illegali.

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Cosa significa Paese sicuro

La CGUE stabilisce anzitutto un principio alla base del proprio orientamento, ovvero che un Paese sicuro può definirsi tale solo ed esclusivamente se tutela tutta la popolazione e non solo determinate categorie

Nel consegue che, nelle ipotesi in cui una fetta del popolo sia a rischio, anche se minoritaria, il Paese non può essere incluso nella lista ed essere considerato sicuro. 

Il migrante che proviene da tale Stato non sicuro può richiedere protezione internazionale, e non può essere trasferito nei CPR.

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Chi deve stabilire se un Paese è un Paese sicuro

Sulla base di tale assunto preliminare, i giudici unionali hanno approfondito la questione individuando l’Autorità competente a esprimersi in merito alla sicurezza di uno Stato di provenienza. Secondo la Corte di Lussemburgo, ogni singolo Stato membro ha, al momento, potestà legislativa piena, potendo decidere quali Paesi considerare sicuri.

Tale scelta, precisa la Corte, è tuttavia sindacabile dal giudice nazionale, che deve esercitare un controllo giurisdizionale effettivo sul provvedimento assunto.

Ciò deve essere inteso nel senso che ogni Governo può individuare con atto legislativo, in base al proprio ordinamento, quali siano i criteri che adotta per individuare uno Stato come un Paese sicuro, ma alle magistrature nazionali deve riconoscersi il potere di valutare la legittimità caso per caso, della decisione adottata.

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I Paesi sicuri nei nuovi regolamenti UE

I giudici lussemburghesi limitano la potestà legislativa dei singoli Stati membri nella statuizione dei Paesi di provenienza sicuri, anche da un punto di vista temporale.

La sentenza della CGUE precisa a chiare lettere che i Governi hanno la facoltà di adottare eventuali provvedimenti di trasferimento sulla base della propria lista di Stati sicuri solo fino alla ormai prossima entrata in vigore di una serie di regolamenti in materia di migrazione, asilo e protezione internazionale, immediatamente esecutivi in ogni membro dell’UE.

Si tratta di un importante pacchetto composto da nove regolamenti e una direttiva, che dovrebbero entrare in vigore a giugno/luglio del prossimo anno, probabilmente secondo un diverso calendario. 

In questi nuovi regolamenti sarà contenuta la lista dei Paesi di provenienza sicuri, validi ed efficaci per tutti Governi nazionali, i quali saranno tenuti ad adeguarsi.

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Effetti della decisione della Corte sui Paesi sicuri

L’applicazione del principio stabilito dai giudici unionali comporta effetti di non poco conto. Riconoscendo al giudice nazionale il potere di decidere sulla legittimità del provvedimento di trasferimento, si attribuisce alla magistratura anche l’autorità di assumere una decisione contraria e, conseguentemente, anche il potere di disapplicare, nel singolo caso concreto, la normativa nazionale.

Solerti e prevedibili le reazioni dell’attuale Governo che, in più occasioni, per il tramite dei propri ministri, ha manifestato il proprio disappunto verso la decisione della CGUE, paventando una deriva delle garanzie e delle libertà costituzionali e lamentando una non giustificata ingerenza della magistratura su scelte politiche.

Si dovranno attendere le prossime settimane per avere reale contezza del braccio di ferro fra Italia ed Europa sulla gestione dei migranti illegali.

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Avv. Debora Mirarchi
Esperta in diritto tributario
Laureata all’Università di Bologna, sono iscritta all’Ordine degli Avvocati di Milano dal 2012. Negli anni, ho collaborato con studi operanti nel settore tributario, acquisendo una significativa esperienza nella consulenza nazionale e internazionale, con focus in materia di fiscalità. Unitamente all’esercizio della professione, ho coltivato la passione per la scrittura, collaborando, in qualità di autrice, con le principali riviste specialistiche di settore.
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