Una persona inferma di mente può testimoniare?
Cosa dice la legge sulla capacità di testimoniare in caso di infermità mentale e come i giudici valutano l’attendibilità del teste
- Nel nostro ordinamento qualunque soggetto è dotato di capacità testimoniale se in grado di riferire su un fatto.
- L’infermità mentale non preclude la testimonianza, ma il giudice può decidere di disporre accertamenti idonei a valutare l’attendibilità del teste.
- Eventuali perizie, in caso di vizio di mente del teste, possono essere richieste dalle parti e autorizzate dal giudice o disposte da questi d’ufficio.
La testimonianza rappresenta il mezzo di prova più frequentemente utilizzato nella pratica processuale. Trattandosi di dichiarazione in ordine a fatti in cui inevitabilmente entrano in gioco altre componenti, quali la percezione soggettiva dell’evento, il legislatore non si limita a riconoscerne la rilevanza probatoria, ma ne disciplina in modo puntuale presupposti, forme e limiti, tutelando l’affidabilità del dichiarato e garantendo il rispetto del contraddittorio
Stante la centralità della prova testimoniale nel nostro sistema processuale, particolare attenzione è riservata alla dichiarazione resa da persona affetta da infermità di mente.
In linea generale una persona inferma di mente può testimoniare, ma, in alcuni casi, potrebbe rivelarsi necessario disporre una valutazione puntuale dell’idoneità del soggetto a percepire i fatti e a riferirli in modo attendibile.
Cos’è la prova nel processo
Il nostro sistema processuale (civile, penale e amministrativo) si fonda su un principio generale e ineludibile in base al quale l’accertamento dei fatti e delle responsabilità devono essere dimostrati. La prova assume, dunque, una valenza strutturale e non meramente strumentale per l’esercizio della funzione giurisdizionale, perché rappresenta uno strumento processuale attraverso il quale il giudice forma il suo convincimento e cerca la verità o la non verità dei fatti affermati in sede di giudizio.
Nell’ambito dell’ampia definizione del concetto di prova, occorre distinguere fra:
- mezzi di prova attraverso i quali sono introdotti nel processo contenuti conoscitivi direttamente idonei a dimostrare un fatto (testimonianza, materiale documentale, esame delle parti);
- mezzi di ricerca della prova, ovvero attività o strumenti che non forniscono direttamente la conoscenza di un fatto probatorio, ma servono a reperire, scoprire o acquisire quegli elementi che potranno successivamente diventare prova (perquisizioni, ispezioni, sequestri, intercettazioni).
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Tipologie di prove
Il nostro ordinamento processuale prevede una macro classificazione delle prove in base al momento di loro formazione. In particolare, le prove utilizzabili nei giudizi si distinguono in:
- prove precostituite, formatesi al di fuori del giudizio e generalmente prima dell’avvio dell’iter giudiziario e che accedono al processo tramite semplice produzione. Esempi classici di tali tipologie di prove sono documenti, come atti pubblici e scritture private, rilevazioni fotografiche e video;
- prove costituende, che invece si formano all’interno del processo a seguito dell’espletamento di una attività istruttoria la quale, ai sensi dell’art. 189 c.p.c., ha l’obiettivo di raccogliere tutti gli elementi prodotti in sede di giudizio, ai fini della decisione. La testimonianza è una prova costituenda, poiché le dichiarazioni da parte del testimone sono rese in giudizio di fronte al giudice.
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Che cos’è la testimonianza
La testimonianza, secondo autorevole dottrina (Crisanto Mandrioli), è la narrazione di un fatto da parte di un soggetto (testimone), che, generalmente, non è parte del processo, a favore di un terzo (il giudice).
Attraverso la dichiarazione resa dal c.d. teste o testimone, il giudice, infatti, può accedere alla conoscenza di fatti o aspetti rilevanti che, in caso di attendibilità e nel rispetto delle cautele previste ex lege, potrebbero fondare la decisione finale.
Nello specifico, la prova testimoniale consiste nell’esame del teste, il quale rende dichiarazioni, afferenti a fatti determinati oggetto del giudizio.
La testimonianza è, al contempo:
- un mezzo di prova, poiché consente di fornire al giudice elementi utili per formare il proprio convincimento;
- una prova costituenda, perché si forma in dibattimento.
Chi può testimoniare?
In linea generale, chiunque sia a conoscenza di fatti rilevanti per la causa può testimoniare. Da un punto di vista strettamente tecnico vi sono tuttavia sostanziali differenze, che riguardano il rito nell’ambito del quale è assunta la testimonianza.
Nel processo civile, non possono rendere testimonianza le parti stesse, i loro avvocati e chi ha un interesse diretto nella causa (art. 246 c.p.c.). Nel processo penale, invece, chiunque, compresa la vittima del reato e i familiari stretti (dell’imputato o della persona offesa), possono rendere dichiarazione testimoniale. Per completezza, occorre rilevare che tuttavia, per i prossimi congiunti è accordata anche la facoltà di astenersi, ai sensi dell’art. 199 c.p.p.
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Cos’è la capacità di testimoniare?
Oltre alla effettiva conoscenza in ordine agli eventi, al fine di essere esaminato, in qualità di teste, occorre essere in possesso anche della c.d. capacità di testimoniare, ovvero si deve essere potenzialmente in grado di riferire in ordine a fatti di cui si è a conoscenza, riguardanti l’oggetto di un processo.
Ciò significa che ogni persona, in linea di principio, si considera legalmente idonea a rendere dichiarazioni, con la conseguenza che la minore età o la presenza di patologie non precludono la capacità, ma possono richiedere accertamenti specialistici per valutarne l’attendibilità.
Nel caso di minori la testimonianza è ammessa, ma necessita di una più attenta e specifica valutazione. Le medesime conclusioni valgono anche per talune categorie di persone, in relazioni alle quali sono previste limitazioni o diritti di astensione.
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Infermità mentale e testimonianza
La testimonianza di persone affette da una infermità mentale rappresenta un tema delicato e, senza timore di smentita, anche scivoloso, perché mette in gioco esigenze di accertamento della verità e la tutela della dignità della persona e garanzie del giusto processo.
Come anticipato, non vi sono limiti alla testimonianza, poiché la capacità di rendere dichiarazioni in qualità di teste, si considera acquisita da parte di qualsiasi soggetto anche nel caso di persona con infermità mentale.
L’ordinamento, dunque, non conosce un’incompatibilità automatica a testimoniare in caso di infermità mentale, ma si limita a prevedere un’ulteriore garanzia in caso di vizio di mente, rappresentata dalla valutazione dell’idoneità del teste.
Tale verifica può essere disposta dal giudice su richiesta delle parti, o d’ufficio dal giudice stesso al quale l’ordinamento accorda la facoltà di disporre idonei accertamenti, se emergono dubbi sull’integrità fisica o mentale del soggetto.
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Come si accerta la capacità di testimoniare
Per verificare la sussistenza della capacità di testimoniare in caso di infermità mentale, può essere disposta una valutazione puntuale dell’idoneità del soggetto a percepire i fatti e a riferirli in modo attendibile, secondo criteri giuridici consolidati e orientamenti giurisprudenziali, che hanno progressivamente affinato la distinzione tra incapacità a testimoniare e incidenza dell’infermità sul valore probatorio della deposizione
Tale valutazione solitamente viene fatta mediante accertamenti medici, quali le perizie eseguite da parte di tecnici esperti in grado di stabilire quanto dichiarato dal teste possa essere utilizzato ai fini giudiziari. Gli accertamenti possono essere disposti prima e dopo la deposizione.
Tale facoltà è espressamente prevista nell’ambito del processo penale, ai sensi dell’art. 196 c.p.p. Analoga previsione non è, tuttavia, contemplata nell’ambito del processo civile. Non vi sono comunque motivazioni giuridiche che precludono la possibilità, per il giudice, di disporre analoghe valutazioni in caso di testimonianza resa in sede civile.
Tale facoltà, seppure non espressamente prevista, discende dall’applicazione del generale principio dispositivo, in base al quale, pur essendo le parti a dover fornire le prove dei fatti (art. 115 c.p.c.), il giudice esercita poteri istruttori d’ufficio, (art. 421 c.p.c.), che consentono di ammettere d’ufficio ogni mezzo di prova e, conseguentemente, di disporre attività preliminari e propedeutiche.
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