Referendum 8 e 9 giugno 2025: per cosa si vota
L’8 e il 9 giugno i cittadini italiani sono chiamati alle urne per votare cinque referendum abrogativi in materia di lavoro e cittadinanza. Scopriamo insieme quali sono i quesiti e cosa potrebbe cambiare qualora dovessero prevalere le ragioni del sì.
- Domenica 8 giugno, dalle 07:00 alle 23:00, e lunedì 9 giugno 2025, dalle 07:00 alle 15:00, si vota per il referendum abrogativo.
- Ci saranno 5 quesiti ai quali rispondere con sì o no.
- Le proposte soggette a referendum saranno approvate se si raggiunge il quorum e la maggioranza dei voti (per il sì) validamente espressi.
Tra poco meno di due settimane, i cittadini italiani saranno chiamati a votare su 5 importanti quesiti sul diritto del lavoro e in materia di cittadinanza. Si tratta di referendum abrogativi: pertanto vi è la possibilità, qualora venga raggiunto il quorum e prevalgano le ragioni del sì, di modificare in modo significativo alcune importanti disposizioni, abrogando parti delle stesse.
Qualora, invece, non si dovesse raggiungere il quorum o dovessero prevalere i voti per il no, le disposizioni interessate dal referendum resterebbero invariate.
In questo articolo scopriremo per cosa si vota, analizzando i quesiti in materia di diritto del lavoro, proposti dalla CGIL e con un forte impatto in materia di licenziamento e sulle condizioni di lavoro in Italia, e il quesito in materia di cittadinanza, che punta a modificare i requisiti per ottenere la cittadinanza italiana.
In particolare, i quesiti in materia di lavoro sono 4 e riguardano:
- l’abolizione del contratto a tutele crescenti;
- la cancellazione del tetto massimo all’indennità per i licenziamenti nelle piccole imprese;
- l’obbligo delle causali per i contratti a termine;
- la responsabilità solidali negli appalti.
1. Referendum 2025: abolizione del contratto a tutele crescenti
Il primo quesito riguarda l’abolizione del contratto a tutele crescenti (D.lgs. 4 marzo 2015, n. 23 e successive modifiche), contenuto nel Jobs Act. Tale decreto è stato più volte oggetto di sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, che hanno rilevato l’incostituzionalità di alcune sue parti o hanno dato interpretazioni restrittive della sua applicazione.
L’attuale formulazione della norma prevede che, in caso di licenziamento, il dipendente a tempo indeterminato di un’impresa con più di 15 lavoratori, assunto dopo il 7 marzo 2015, possa essere reintegrato solo in ipotesi marginali, quali per esempio il licenziamento discriminatorio, gli altri casi di licenziamento nullo previsti dalla legge, il licenziamento orale e l’insussistenza del fatto materiale posto alla base del licenziamento.
Difatti, il Jobs act, entrato in vigore il 7 marzo 2015, ha introdotto il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio. In caso di licenziamento illegittimo, ha previsto il solo indennizzo economico, da un minimo di 6 mensilità ad un massimo di 36.
Se approvato, il referendum comporterebbe l’abrogazione totale del decreto legislativo n. 23/2015, eliminando le tutele crescenti e consentendo di applicare a tutti i lavoratori il sistema di tutele precedente, che prevedeva la reintegra in tutti i casi di licenziamento illegittimo per mancanza di giusta causa o giustificato motivo.
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2. Cancellazione del tetto massimo all’indennità per i licenziamenti nelle piccole imprese
Il secondo quesito riguarda i licenziamenti effettuati nelle piccole imprese, cioè quelle imprese che non hanno più di 15 dipendenti.
In caso di licenziamento illegittimo posto in essere da un’impresa che non supera il requisito dimensionale dei 15 dipendenti, ad oggi il lavoratore licenziato può ottenere al massimo un’indennità pari a 6 mensilità della retribuzione utile per il calcolo del TFR (esclusi i casi di licenziamento nullo perché discriminatorio o per il verificarsi delle altre ipotesi previste dalla legge, oppure inefficace perché orale: in queste ipotesi è prevista la reintegra, più un risarcimento pari a 15 mensilità).
Se dovesse vincere il sì, tale limite sarebbe abolito e i giudici avrebbero la facoltà di determinare l’importo del risarcimento senza limiti predefiniti.
Secondo la CGIL, sono circa 3 milioni e 700mila i dipendenti delle piccole imprese in Italia, i quali potrebbero senz’altro beneficiare di tutele maggiori in caso di licenziamento illegittimo qualora dovessero prevalere i voti per il sì.
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3. Obbligo delle causali per i contratti a termine
Il terzo quesito punta alla reintroduzione delle causali nei contratti a termine, cioè l’indicazione dei motivi (specificamente previsti dalla legge) per i quali si ricorre al contratto a tempo determinato.
Attualmente, in seguito a numerosi interventi legislativi sul tema, l’obbligo di indicare la causale è previsto solo qualora la durata del contratto a tempo determinato superi i 12 mesi.
Se dovesse essere raggiunto il quorum e dovessero prevalere i voti per il sì, gli articoli 19 e 21 del D.lgs. n. 81 del 2015 verrebbero modificati e diventerebbe obbligatorio indicare la causale, a prescindere dalla durata dei contratti a tempo determinato.
I promotori del referendum ritengono che reintroducendo l’obbligo di indicazione delle causali si possa ridurre efficacemente il precariato. Si stima che in Italia circa 2 milioni e 300 mila persone abbiano contratti di lavoro a tempo determinato.
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4. Responsabilità solidale negli appalti
Il quarto quesito chiede l’abrogazione delle norme contenute nel Testo Unico in materia di Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (D.Lgs 81/2008), e in particolare dell’art. 26 co. 4 che impedisce, in caso di infortunio verificatosi nello svolgimento di un appalto, di estendere la responsabilità all’impresa appaltante o subappaltante.
Oggi la responsabilità solidale negli appalti in caso di infortunio non è prevista. Se dovesse vincere il sì, in caso di infortunio di un lavoratore, invece, la responsabilità si estenderebbe anche al committente dell’appalto durante lo svolgimento del quale si è verificato l’infortunio. Tuttavia, vi è anche chi sostiene le ragioni del no, preoccupato di eventuali ricadute, soprattutto in settori come l’edilizia.
Se hai bisogno di ulteriori informazioni o chiarimenti circa i quesiti in materia di lavoro del referendum del 8 e 9 giugno 2025, potrebbe tornarti utile scrivere a un avvocato esperto in diritto del lavoro.
5. Referendum 8-9 giugno: cittadinanza
Il quinto quesito, invece, è in materia di cittadinanza. Al momento, per avere la cittadinanza italiana le persone maggiorenni nate in un paese extra-UE devono risiedere legalmente in Italia per almeno dieci anni.
Il quesito propone di abrogare l’art. 9 comma 1 lett.b della Legge n. 92 del 1991 nella parte in cui prevede l’obbligo di residenza in Italia per dieci anni, per tornare alla previsione precedente, con la quale si stabiliva che gli anni di residenza necessari fossero cinque.
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I cittadini residenti all’estero potranno votare?
Hanno diritto di voto tutti i cittadini italiani iscritti all’AIRE, Anagrafe Italiani Residenti all’Estero. Possono votare anche i cittadini italiani temporaneamente (almeno tre mesi) all’estero per motivi di salute, lavoro o studio, a condizione che ciò venga comunicato ai consolati di riferimento entro il trentaduesimo giorno antecedente la data di svolgimento della consultazione elettorale, tramite moduli e piattaforme presenti online sul sito del Ministero degli Esteri.
In caso di voto all’estero, il plico con il materiale elettorale deve pervenire all’indirizzo di residenza dichiarato nelle liste AIRE 18 giorni prima del voto e il cittadino deve inviare il plico non oltre il decimo giorno dalla data del voto.
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