Imputazione coatta: cosa significa e come funziona l’impugnazione
L’imputazione coatta è un istituto previsto dal nostro codice di procedura penale, all’art. 409, comma 5. Si inserisce nel procedimento di archiviazione e prevede che il GIP (giudice per le indagini preliminari), nonostante la richiesta di archiviare le indagini presentata dal Pubblico Ministero, possa ordinare a quest’ultimo di formulare l’imputazione.
- L’imputazione coatta è disciplinata dal comma 5 dell’art. 409 del c.p.p. e prevede che il GIP obblighi il P.M. ad esercitare l’azione penale anche se l’accusa aveva proposto l’archiviazione.
- L’imputazione coatta non può essere abnorme, pertanto, il GIP non può chiedere al P.M. di formulare l’imputazione coatta per un’ipotesi di reato diversa da quella per cui era stata richiesta l’archiviazione.
- Contro l’imputazione coatta abnorme, è previsto il ricorso per Cassazione.
L’imputazione coatta è un istituto giuridico previsto dall’art. 409, comma 5, c.p.p., che limita il potere discrezionale del PM nell’esercizio dell’azione penale.
Il giudice, infatti, non ha il potere di disporre direttamente l’imputazione, che è un’esclusiva prerogativa del P.M., e non può sostituirsi ad esso. Pertanto, se l’ufficio di accusa ritiene di non dover proseguire l’azione penale e il GIP non è d’accordo, può ordinare al PM di formulare l’imputazione entro un termine stabilito.
L’istituto mira a rafforzare il potere di controllo del giudice, che non potrebbe estrinsecarsi solo nella possibilità di suggerire indagini nuove perché non sempre ci sono indagini ulteriori da suggerire.
Di conseguenza, in presenza di indagini preliminari complete in cui, secondo l’opinione del GIP, sono presenti agli atti tutti gli elementi per instaurare un processo, il giudice, a fronte di una richiesta di archiviazione che ritiene errata, può solo utilizzare l’istituto dell’imputazione coatta. Vediamo come funziona.
Imputazione coatta: come funziona la procedura
Il giudice non può indicare quale reato contestare, né influenzare il contenuto dell’accusa, ma può solo ordinare che si proceda in questa direzione. É il P.M., invece, che deve provvedere a formulare l’imputazione, perché titolare dell’azione penale.
La formulazione dell’imputazione coatta è, infatti, prerogativa esclusiva del pubblico ministero; il giudice ha il ruolo fondamentale di organo di controllo.
Nel caso dell’imputazione coatta, i poteri del giudice sono solo due:
- emanare l’ordinanza ex art. 409, co. 5, che dà impulso all’azione del P.M. (che aveva richiesto
l’archiviazione); - emettere il decreto di cui all’art. 128 delle norme di attuazione del c.p.p. che fissa l’udienza
preliminare.
L’imputazione coatta non determina automaticamente l’apertura del processo, ma il giudice, quando non accoglie la richiesta di archiviazione, dispone con ordinanza che, entro dieci giorni, il pubblico ministero formuli l’imputazione, quindi lo obbliga ad esercitare l’azione penale con la richiesta di rinvio a giudizio. Entro due giorni dalla formulazione dell’imputazione, il giudice fissa con decreto l’udienza preliminare.
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In quale fase del procedimento può essere formulata l’imputazione coatta?
Svolte le indagini preliminari, il P. M. deve decidere se esercitare l’azione penale. Se gli indizi raccolti durante le indagini preliminari, non sono tali da far ritenere al P.M. che saranno sufficienti a sostenere l’accusa, lo stesso chiederà l’archiviazione delle indagini al GIP.
In questa fase, il GIP non si limita ad accogliere la richiesta del P.M. passivamente, perché potrebbe interpretare, diversamente dall’ufficio d’accusa, gli indizi raccolti nella fase delle indagini preliminari.
Cos’è l’imputazione coatta “abnorme”
Un’imputazione coatta è definita abnorme quando il GIP – che può obbligare il PM ad esercitare l’azione penale, ma mai entrare nel merito della formulazione dell’imputazione che resta prerogativa all’organo d’accusa – formula un’ipotesi di reato diversa da quella per la quale è richiesta l’archiviazione.
La Suprema Corte di Cassazione, sul punto, si è espressa diverse volte. Le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto secondo cui
è inibito al giudice per le indagini preliminari ordinare al pubblico ministero la formulazione della imputazione nei confronti della persona indagata per ipotesi di reato diverse da quelle per le quali è stata richiesta l’archiviazione, dovendo in tal caso il giudice limitarsi a ordinare l’iscrizione nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. degli ulteriori reati che abbia ravvisato nelle risultanze delle indagini portate a sua conoscenza (Corte di Cassazione – Sez. V Pen. – Sent. n. 7738 del 22/02/2024).
Le SS.UU. ribadiscono che, a seguito di richiesta di archiviazione non accolta, deve sempre esser salvaguardato il diritto di difesa. In ragione di ciò, l’imputazione coatta presuppone necessariamente che l’indagato sia posto nelle condizioni di predisporre una effettiva difesa, e quindi di avere coscienza dei fatti per i quali si procede (Sezioni Unite della Corte di Cassazione sent. 40984, 22.03.2018, pronuncia su rimessione della VI Sezione).
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Imputazione coatta: impugnazione
L’ordinanza con cui il giudice ha rigettato la richiesta di archiviazione, disponendo contestualmente che il P.M. formulasse l’imputazione per reati diversi, può essere impugnata con ricorso in Cassazione per vizi di legittimità. La formulazione dell’imputazione coatta è stata argomento di discussione sia in dottrina, sia in giurisprudenza, da parte di chi ritiene che l’istituto giuridico sia in contrasto con le disposizioni della nostra Carta fondamentale.
Una parte dei giuristi sostiene che una norma che consente al GIP di disporre l’imputazione coatta è una lesione del principio di obbligatorietà dell’azione penale, poiché il nostro codice di procedura penale stabilisce che è il pubblico ministero a dover esercitare l’azione penale, e quindi sarebbe violata nel caso in cui fosse il GIP.
Chi sostiene il contrario, invece, ritiene che l’art. 409 comma 5 del c.p.p. prevede solo un controllo sulla richiesta di archiviazione, che è il legittimo potere conferito al giudice e che si cerca di tutelare. La Suprema Corte di Cassazione penale (Sez. IV sentenza n. 40710 del 6 novembre 2024) ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per Cassazione proposto dall’indagato avverso l’ordinanza del GIP che, non accogliendo la richiesta di archiviazione, aveva disposto la formulazione dell’imputazione ex art. 409, comma 5, c.p.p. per il medesimo reato oggetto della richiesta di archiviazione, essendo in tal caso legittimato all’impugnazione il solo pubblico ministero.
L’abnormità del provvedimento di imputazione coatta, che legittima anche l’indagato all’impugnazione, è configurabile esclusivamente quando il GIP ordini la formulazione dell’imputazione per un reato diverso da quello oggetto della richiesta di archiviazione, in quanto tale provvedimento incide sulla possibilità per l’indagato di interloquire sull’accusa e sulla sua legittimità, nonché sulla possibilità di difendersi per impedire di essere sottoposto a processo.
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Cosa succede dopo l’imputazione coatta?
Dopo la formulazione dell’imputazione coatta da parte del P.M., l’indagato assume la qualifica di imputato, e si apre la fase processuale. L’imputato dovrà comparire all’udienza preliminare se il reato per cui si procede la prevede o all’udienza dibattimentale in tutti gli altri casi.
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