Rinvio a giudizio: cosa vuol dire, come funziona e quali sono i tempi
Il nostro codice di rito penale, all’art. 416, disciplina la presentazione della richiesta del Pubblico Ministero al Giudice, ovvero la c.d. richiesta di rinvio a giudizio. Vediamo, nel concreto, come si svolge.
- L’azione penale è esercitata dal Pubblico Ministero con la richiesta di rinvio a giudizio o la citazione diretta a giudizio. Il Giudice, a seguito della richiesta di rinvio a giudizio del P.M., fissa con decreto la data dell’udienza preliminare.
- Il GUP, al termine dell’udienza preliminare, può rinviare a giudizio o emettere sentenza di non luogo a procedere, ex art. 425 c.p.p.
- Con il rinvio a giudizio, l’imputato dovrà subire un processo penale e sarà chiamato a rispondere in dibattimento del reato descritto nel capo di imputazione.
In Italia l’azione penale, è esercitata esclusivamente dal P.M., quando non sussistono i presupposti per la richiesta di archiviazione.
Nel momento in cui il P.M. viene a conoscenza della notizia della commissione di un reato, o “notitia criminis”, per mezzo di una denuncia da parte di un soggetto o per mezzo della segnalazione della Polizia Giudiziaria che svolge le indagini, deve valutare, in presenza di determinati requisiti stabiliti dalla Legge, se:
- prorogare le indagini preliminari;
- richiedere l’archiviazione;
- esercitare l’azione penale.
La richiesta di rinvio a giudizio è l’atto con cui il P.M. formula l’imputazione e deposita l’atto nella cancelleria dell’ufficio GIP/GUP entro il termine di conclusione delle indagini preliminari. Nelle prossime righe, esamineremo il suo funzionamento.
Richiesta di rinvio a giudizio: per quali reati?
La richiesta di rinvio a giudizio è un atto con cui il P.M. esercita l’azione penale per:
- i reati di competenza della Corte d’Assise;
- i reati di competenza del Tribunale Collegiale;
- i reati di competenza del Tribunale monocratico diversi da quelli menzionati nell’art. 550 c.p.p.
Il P.M. procede, invece, con la citazione diretta a giudizio, per:
- le contravvenzioni;
- i delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni o con la multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva.
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Rinvio a giudizio o archiviazione?
Quando le indagini preliminari, svolte dalla Polizia giudiziaria e dirette dal Pubblico Ministero, non forniscono prove sufficienti per sostenere l’accusa, il P.M. chiede l’archiviazione.
Il GIP (Giudice per le indagini preliminari), che è garante dell’indagato in questa fase procedurale, può:
- accogliere la richiesta e disporre l’archiviazione;
- non accogliere la richiesta del P.M. e disporre ulteriori indagini;
- disporre l’imputazione coatta.
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Cosa sono le indagini preliminari
Le indagini preliminari sono la fase iniziale del procedimento penale; hanno un termine stabilito di durata che è di un anno, per le contravvenzioni, e un anno e sei mesi per i delitti indicati nell’art. 407 c.p.p. Le indagini preliminari possono essere prorogate, ma la proroga può essere autorizzata per una sola volta e per un tempo non superiore a sei mesi.
Concluse le indagini preliminari, il P.M. deve necessariamente avvisare l’indagato che si sono svolte delle indagini a suo carico e che si sono concluse. In pratica, lo avvisa ex art. 415 bis c.p.p. che la documentazione relativa alle indagini espletate è depositata presso la segreteria del pubblico ministero e che l’indagato e il suo difensore hanno facoltà di prenderne visione ed estrarne copia nel termine di 20 giorni.
L’avviso di conclusioni delle indagini contiene tutti gli avvertimenti imposti dal nostro codice di procedura penale, tra cui la facoltà di presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni, ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio.
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Rinvio a giudizio dopo le indagini preliminari
Notificato l’atto ex art. 415 bis c.p.p. all’indagato e al suo difensore – se già ne è stato nominato uno – decorsi 20 giorni, il P.M. potrà chiedere il rinvio a giudizio – che altrimenti sarebbe nullo.
La fase di conclusione delle indagini preliminari è particolarmente importante perché l’indagato, per la prima volta, potrà difendersi portando all’attenzione, dell’ufficio di accusa, tutti gli elementi di prova a suo favore ed evitare che venga fissata l’udienza preliminare davanti al GUP, che gli farà assumere la qualifica di imputato.
Per le stesse motivazioni di garanzia nei confronti dell’indagato, la figura del giudice per le indagini preliminari (GIP) e quella del giudice dell’udienza preliminare (GUP), pur appartenendo allo stesso ufficio devono corrispondere a due persone differenti per garantire l’imparzialità della decisione.
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Udienza preliminare: in cosa consiste
L’udienza preliminare è la fase immediatamente successiva alla richiesta di emissione del decreto che dispone il giudizio. Il GUP, letta la richiesta di rinvio a giudizio depositata dal P.M., fissa la data dell’udienza preliminare, che si svolge in camera di consiglio con la presenza necessaria del PM e del difensore dell’imputato. Prevede che si discuta sul rinvio a giudizio dell’imputato.
Il GUP, al termine dell’udienza preliminare, valutata la richiesta del PM, nonché sentita l’arringa difensiva, decide se rinviare a giudizio dinanzi ad altro giudice l’imputato per essere giudicato a seguito di giudizio ordinario.
Durante l’udienza preliminare, l’imputato deve decidere se chiedere un rito alternativo, come per esempio il rito abbreviato, perché è l’ultima fase processuale in cui può richiederlo. A quel punto, il processo si svolge dinanzi al GUP che, al termine, emette sentenza, mentre se decide di proseguire con rito ordinario, si apre la fase dibattimentale dinanzi ad altro giudice.
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Qual è la funzione dell’udienza preliminare
L’udienza preliminare, potrà terminare con una sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. se sussiste una causa che estingue il reato o per la quale l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, o perché gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna.
L’udienza preliminare, infatti, è un’udienza “filtro” che ha la funzione di consentire al GUP di effettuare una verifica preliminare – a fini esclusivamente procedurali – della fondatezza dell’accusa, per evitare che si celebrino processi inutili sulla base di un’imputazione labile.
Con l’emissione del decreto che dispone il giudizio ex art. 429 del c.p.p. (rinvio a giudizio), si apre una nuova fase processuale e l’imputato sarà giudicato dal giudice del dibattimento, o dal Collegio a secondo del reato.
Tra la data del decreto che dispone il giudizio e la data fissata per il giudizio deve intercorrere un termine non inferiore a venti giorni. Lo scopo di questo termine è permettere all’imputato e al suo difensore di preparare adeguatamente la linea difensiva.
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Cosa succede dopo il rinvio a giudizio?
Terminata l’udienza preliminare, se il GUP ha rinviato a giudizio, si apre la fase processuale dibattimentale, in cui si assumono le prove documentali e testimoniali, nel contraddittorio tra le parti. Al termine, il giudice di primo grado emette una sentenza di condanna o assoluzione.
Il rinvio a giudizio è presente nel certificato dei carichi pendenti?
L’indagato, che con il rinvio a giudizio assume la qualifica di imputato, quindi troverà iscritta l’imputazione anche nel proprio “certificato dei carichi pendenti”. Per saperne di più sull’argomento, leggi la nostra guida Carichi pendenti: cosa sono e quanto durano.
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