Usufrutto della casa coniugale in caso di separazione
Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale attribuisce un diritto di usufrutto al coniuge? Analizziamo meglio l'istituto dell'usufrutto e quando viene assegnata la casa familiare.
- L’usufrutto è un diritto reale di godimento su cosa altrui. Tuttavia, tale diritto di godimento può essere attribuito anche come diritto personale di godimento.
- L’assegnazione della casa coniugale in caso di crisi (separazione o divorzio) ha posto il problema della natura del diritto che sorga dal provvedimento del giudice.
- Sul punto, sono sorti molti quesiti, anche in tema di assegnazione della casa coniugale in assenza di figlio o su cosa succede in caso di nuove nozze.
Molti sono i temi che hanno interessato la giurisprudenza in materia di separazione e divorzio. Uno dei principali è stato quello relativo all’assegnazione della casa coniugale.
Infatti, il legislatore, con la riforma del 1975, ha previsto la possibilità di assegnazione al coniuge affidatario di figli minori o non autosufficienti della casa familiare, anche se l’altro coniuge è proprietario dell’immobili. Il legislatore ha stabilito presupposti e condizioni per l’assegnazione. Tuttavia, ciò non ha precluso il sorgere di molte questioni controverse.
Nel seguente articolo ci soffermeremo, in primo luogo, sul concetto di usufrutto, per stabilire successivamente se l’assegnazione comporti il diritto di usufrutto sulla casa coniugale. Dopodiché esamineremo la predetta questione e vedremo quale risposta è stata data dalla Corte di Cassazione, prima, e dalla Corte Costituzionale, poi.
Infine, ci soffermeremo su due questioni controverse in tema di assegnazione della casa coniugale, ossia:
- l’assegnazione al coniuge non affidatario;
- le conseguenze in caso di nuove nozze o di una convivenza.
Cos’è l’usufrutto?
Prima di iniziare a trattare il tema dell’usufrutto della casa coniugale, possiamo inquadrare brevemente l’istituto in esame, per capirne le dinamiche e il funzionamento. L’usufrutto ha rappresentato, in passato, un modello diffuso di diritto reale di godimento su cosa altrui. Tale istituto crea una dissociazione tra il diritto di proprietà sul bene e le facoltà di relativo godimento, con la drastica compressione del primo.
L’usufruttuario ha diritto di godere della cosa, conseguendone il possesso e traendo da essa tutte le utilità che essa sia atta ad offrire, ovvero tutti i frutti naturali e civili. La tradizionale definizione della figura del proprietario è quella di nudo proprietario.
L’usufruttuario deve, però, rispettare la destinazione economica della cosa. Non può mutare l’organizzazione produttiva e di sfruttamento della cosa rispetto a quella operata dal proprietario.
Inoltre, è tenuto alle spese ed agli oneri relativi a custodia, manutenzione ordinaria della cosa e riparazioni ordinarie (art. 1004 c.c.), imposte, canoni e rendite fondiarie, nonché agli altri pesi che gravano sul reddito (art. 1008 c.c.). Il nudo proprietario, invece, è tenuto alle riparazioni straordinarie, cioè che superano i limiti della conservazione della cosa e delle sue utilità per la durata della vita umana (art. 1005 c.c.).
È un diritto a carattere temporaneo, cioè ha una specifica durata, che non può essere superiore alla vita dell’usufruttuario o a trent’anni se è concesso in favore di persone giuridiche. L’usufrutto, quindi, non può essere trasmesso in via ereditaria e, se ceduto, si estingue comunque con la morte del soggetto a cui favore sia stato originariamente costituito.
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Come si costituisce l’usufrutto?
L’usufrutto si costituisce per legge o volontariamente e può acquistarsi anche per usucapione. Soppresso l’usufrutto in favore del coniuge superstite, oggi l’unica forma di usufrutto legale è quello dei genitori sui beni dei figli minori.
La riforma del 1975 ha introdotto anche un caso di usufrutto giudiziale, che è l’usufrutto costituito a seguito dello scioglimento della comunione legale a favore del coniuge affidatario dei figli su beni spettanti all’altro coniuge.
L’usufrutto può avere ad oggetto qualsiasi bene, mobile o immobile, comprese universalità di fatto e quelle di diritto, nonché aziende.
Può avere ad oggetto anche cose consumabili: in questo caso l’usufruttuario può servirsi delle cose, ma deve pagare il valore al termine dell’usufrutto secondo una stima convenuta tra le parti. Se l’usufrutto ha per oggetto beni immobili deve essere trascritto.
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Usufrutto, uso, abitazione e diritti personali di godimento: le differenze
Il codice civile conosce poi altri diritti reali di godimento che hanno un contenuto tendenzialmente simile. Il diritto d’uso consiste nel diritto di servirsi della cosa: se essa è fruttifera, può fare i suoi frutti, nei limiti di quanto occorre per soddisfare i bisogni suoi e della sua famiglia. Il diritto dell’usuario è molto meno ampio di quello dell’usufruttuario.
Per quanto riguarda il diritto di abitazione, questo consiste nel diritto di abitare, usufruendo dell’immobile e degli arredi, una determinata abitazione. La prima differenza con l’usufrutto è che ha ad oggetto un bene specifico. Inoltre, a differenza dell’usufrutto, non è cedibile e non può essere attribuito il bene in locazione.
Tutti e tre i diritti, tuttavia, si connotano per alcuni elementi comuni. Sono diritti reali di godimento a carattere temporaneo, cioè non possono essere perpetui.
Oltre a questi tre diritti che attribuiscono un diritto reale di godimento, gli stessi effetti e facoltà possono anche essere attribuiti da diritti personali di godimento. Qual è la differenza? La differenza è che non sono diritti reali, quindi non ne hanno le caratteristiche (immediatezza, assolutezza, ius sequele, ecc).
Sono diritti che nascono da un rapporto personale tra due parti. Ciò significa che è un diritto che non inerisce un bene, cioè non grava sul bene, ma è attribuito in favore di un soggetto specifico. In genere c’è un contratto da cui sorge un’obbligazione (ma non necessariamente).
Esso costituisce il titolo in virtù del quale il soggetto può esercitare il diritto e che riconosce il diritto di proprietà altrui. In sostanza, sono dei diritti di credito. Sono sottoposti, quindi, ad un diverso regime; per esempio, sono sottratti al principio di tipicità, quindi possono essere costituiti con qualsiasi atto, non devono essere espressamente quelli previsti dalla legge, possono avere qualsiasi contenuto.
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Assegnazione casa familiare: è un usufrutto?
L’assegnazione dell’abitazione coniugale in caso di separazione è un momento delicato della crisi familiare. La casa costituisce il principale centro di aggregazione della famiglia, intorno al quale si costituiscono le relazioni tra i membri della comunità familiare.
Nel corso della crisi coniugale, la questione dell’assegnazione della casa si colloca nell’ambito dei conflitti che sorgono intorno ai provvedimenti riguardanti i figli e alla regolazione dei rapporti economici. Storicamente, uno dei temi più dibattuti in materia di assegnazione della casa familiare, è quello che concerne la qualificazione giuridica del diritto che si costituisce in capo all’assegnatario in forza del provvedimento giudiziale.
Possiamo chiederci se il diritto in questione costituisca un usufrutto della casa coniugale. Nei precedenti paragrafi, infatti, abbiamo parlato di un diritto di usufrutto costituito giudizialmente. Questa, in realtà, non è esclusivo. Alcuni autori, per esempio, hanno detto che si tratta di un diritto reale di abitazione, affine all’usufrutto. Si tratterebbe, in tal senso, di un diritto tipicamente temporaneo, come i principali diritti reali di godimento.
La dottrina ha criticato questa ricostruzione, perché l’assegnazione è effettuata mediante un provvedimento emesso dal giudice. Questa circostanza, nei fatti, è incompatibile con il principio di tassatività dei modi di acquisto dei diritti reali.
Infatti, la giurisprudenza ha escluso che sia configurabile un usufrutto della casa coniugale o un diritto reale di abitazione. È, stato, invece, qualificato come diritto personale di godimento atipico. In tal senso, quindi, non si tratterebbe affatto di un diritto reale, ma di qualcosa più simile a una locazione o un comodato.
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È possibile assegnare la casa coniugale senza i figli?
Concluso che l’assegnazione non fa sorgere un diritto di usufrutto sulla casa coniugale, possiamo porci qualche altro interrogativo interessante. Tra le diverse questioni esaminate, la dottrina e la giurisprudenza hanno puntato la loro attenzione sulla possibilità di assegnare la casa familiare in assenza di figli o al coniuge non affidatario.
Il problema si pone in quanto l’assegnazione della casa familiare costituisce, prima di tutto, un valore economico di cui si deve tener conto. Quindi, questa misura potrebbe rivelarsi equa se il coniuge assegnatario si trovi in difficoltà economiche.
In passato, si è detto che l’assegnazione della casa familiare è ammessa anche in questo caso. Questa assegnazione costituirebbe anche un modo per soddisfare in natura l’obbligo di mantenimento. Tale orientamento però è stato superato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite.
L’art. 337-sexies, che prevede la disciplina dell’assegnazione, ha recepito un orientamento ormai consolidato, secondo il quale l’assegnazione della casa familiare deve essere decisa in funzione del preminente interesse del figlio minore o non autosufficiente alla conservazione dell’ambiente nel quale si è svolta la vita della famiglia unita.
Sulla base di questa norma, la Cassazione ritiene che non sia possibile provvedere all’assegnazione della casa coniugale in assenza di un figlio da tutelata.
Secondo la giurisprudenza, affinché il giudice possa disporre l’assegnazione della casa coniugale a uno dei genitori separati o divorziati, è necessario che, oltre alla casa, vi sia l’affidamento dei figli minorenni o la convivenza con i figli maggiorenni, non autosufficienti.
Questo si spiega perché la funzione dell’istituto è proprio quella di tutelare i figli e l’interesse di questi a permanere nell’ambito domestico.
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Cosa succede in caso di nuove nozze o convivenza?
L’art. 337 sexies c.c. prevede che il diritto di godimento della casa familiare venga meno nel caso in cui l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa coniugale.
Le ipotesi estintive appena menzionate hanno però posto una pluralità di problemi ermeneutici che sono stati sollevati con riferimento all’art. 155 quater c.c., ora collocato nell’art. 337 sexies c.c.
La formulazione letterale della norma, infatti, sembrava suggerire la sussistenza di un rapporto causale diretto tra le nuove nozze (o la convivenza) e la decadenza dal diritto che stiamo esaminando. La norma sembra, tendenzialmente, essere a favore del coniuge che ha visto sacrificare il diritto dall’assegnazione della casa coniugale in sede di separazione e divorzio.
D’altra parte, è stato anche constatato che un’applicazione letterale della norma può, talvolta, comportare anche un esito irragionevole, soprattutto dove l’esigenza del minore a conservare l’habitat domestico, inteso quale centro degli affetti, possa essere compromessa in conseguenza della formazione del nuovo legame.
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Pareri Corte di Cassazione e Corte Costituzionale
La questione è stata sottoposta alla Corte di Cassazione e alla Corte Costituzionale. Secondo la Corte di Cassazione, l’insorgere del nuovo rapporto di convivenza o matrimonio non può pregiudicare il diritto del minore. In questa prospettiva, l’ex coniuge, anche se contrae nuove nozze o va a convivere, dovrebbe conservare il diritto sulla casa coniugale.
Successivamente, la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità della norma, nella parte che comportava l’automatica decadenza dal diritto in caso di nuove nozze o convivenza.
In sintesi, la giurisprudenza ha ritenuto che l’esigenza di tutela del figlio sia prevalente rispetto a quella dell’ex coniuge, che vede compromesso il proprio diritto di proprietà sulla casa coniugale.
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Usufrutto casa coniugale – Domande frequenti
Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale attribuisce al coniuge un diritto personale di godimento. Dunque, non costituisce un diritto reale di godimento.
In caso di nuove nozze o convivenza non viene meno il provvedimento di assegnazione della casa coniugale.
Il coniuge non affidatario non può ottenere l’assegnazione della casa coniugale, in quanto si tratta di un provvedimento in favore dei figli minori o non autosufficienti.
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