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Whistleblowing: cosa significa, come funziona, conseguenze per le aziende

In questo articolo analizzeremo che cos'è il whistleblowing, quali sono le tutele presenti in Italia per il whistleblower, cosa prevede la procedura e a chi si effettua la segnalazione.

whistleblowing
  • Il Whistleblowing è un fenomeno per il quale si consente la segnalazione di illeciti e violazioni compiute all’interno di enti pubblici o privati.
  • Il termine deriva dalla prassi dei poliziotti inglesi di fischiare per dare l’alt, oppure anche dal fischio degli arbitri nei match sportivi.
  • La disciplina italiana è volta a garantire la tutela dei segnalatori e il giusto bilanciamento degli interessi contrapposti. 

Il whistleblowing è una pratica ancora poco conosciuta, sebbene non propriamente recente. Esso venne infatti citato per la prima volta nel 1957 da un quotidiano inglese. Si sostanzia in una forma di controllo che è svolto all’interno degli enti, pubblici e privati, dagli stessi lavoratori.

Si ritiene che il whistleblowing abbia molteplici effetti favorevoli sull’attività lavorativa. Consente di prevenire illeciti, anche reati gravi, che possono comunque minare l’immagine dell’impresa o dell’ente o professionista. Inoltre, proprio perché è una prassi in uso anche nelle Pubbliche amministrazione, introduce ulteriori forme di controllo sui dipendenti e sull’operato della stessa.

Nel seguente articolo ti spieghiamo cos’è whistleblowing. Ci soffermeremo sulla disciplina, che è stata per la prima volta introdotta in Italia nel 2012, con lo scopo di tutelare il segnalatore. Inoltre, ti indicheremo quali sono le regole poste a presidio della riservatezza del segnalato e del segnalatore e le novità normative introdotte dal D.Lgs n. 24/2023

Che cos’è il whistleblowing?

Il whistleblowing è quel fenomeno per cui eventuali condotte illecite nell’ambito dell’attività di un ente pubblico o privato vengono scoperte da un lavoratore. Il whistleblower è, quindi, un soggetto che lavora presso la Pubblica amministrazione o un’azienda privata, o anche un soggetto esterno che si relazione con l’ente, come può essere un consumatore, azionista o cliente.

Questa figura è sostanzialmente un segnalatore di illeciti, la cui presenza all’interno di un ente consente di prevenire truffe, danni alla salute e qualsiasi altra condotta illecita. Ciò comporta anche un miglioramento dell’attività lavorativa, della relativa efficienza e, quindi, ove  ’ente di riferimento sia pubblico, anche del buon andamento della pubblica amministrazione.

Proprio per quest’ultima ragione, il legislatore, nell’ultimo periodo, ha cercato di incentivare questa attività, introducendo anche apposita disciplina. Come dicevamo, la maggior parte dei segnalatori sono interni e rilevano la condotta illecita di colleghi, superiori o altri membri dell’organizzazione.

Il termine whistleblowing deriva dalla frase to blow the whistle, che letteralmente significa soffiare il fischietto, con riferimento all’attività degli arbitri durante i match sportivi, oppure a quella dei poliziotti che tentano di fermare un’azione illegale.

Per la prima volta è stata utilizzata su un quotidiano nel 1958, il Mansfield News-Journal. Molto probabilmente, il giornalista che ha impiegato per la prima volta l’espressione, si riferiva proprio alla prassi dei poliziotti inglesi di usare il fischietto per segnalare l’esecuzione di un crimine.

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Whistleblowing in Italia: evoluzione legislativa

Il whistleblowing è stato per la prima volta disciplinato con la legge n. 190 del 2012, che ha previsto la figura del whistleblower con riferimento, però, ai dipendenti pubblici che sono deputati alla segnalazione degli illeciti. La legge in questione prevedeva, quindi, una tutela specifica per tali soggetti.

In particolare, tale norma stabilisce che il dipendente non possa essere licenziato, sanzionato o sottoposto a misura discriminatoria:

  • nell’ipotesi di denuncia all’Autorità giudiziaria italiana o alla Corte dei conti;
  • qualora riferisca al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio lavoro. 

La legge prevede pure che non possa essere segnalata l’identità del dipendente in questione, salvo rilevi ai fini dell’accertamento della segnalazione stesse. L’identità, tuttavia, può essere rivelata quando sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato.

L’eventuale adozione di misure discriminatorie deve essere opportunamente segnalata al Dipartimento della funzione pubblica, per i provvedimenti di competenza, all’interessato e alle organizzazioni sindacali.

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Non è ammissibile consentire l’esercizio del diritto di accesso, come disciplinato dalla legge sul procedimento amministrativo, la l. 241/1990, rispetto ai documenti concernenti il soggetto del whistleblower. 

Più recentemente, il legislatore ha anche precisato che alcune specifiche società o imprese e professionisti debbano dotarsi di un sistema di segnalazione. Tra questi vi sono:

  • intermediari finanziari iscritti all’Albo Unico;
  • società di leasing;
  • società di factoring;
  • dottori commercialisti, notai e avvocati.

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Whisteblowing: novità 2023

La disciplina del whistleblowing è stata recentemente modificata dal D.Lgs 24/2023, che ha introdotto alcune significative novità. Il decreto ha esteso il novero dei soggetti che possono procedere alla segnalazione.

In particolare, possono fare da segnalatori:

  • dipendenti pubblici;
  • lavoratori subordinati di soggetto del settore privato;
  • lavoratori autonomi;
  • collaboratori, liberi professionisti e consulenti;
  • volontari e tirocinanti (anche non retribuiti);
  • azionisti e persone con funzioni di amministrazione, direzione, controllo, vigilanza o rappresentanza.

Questi possono, quindi, provvedere alla segnalazione di violazioni e illeciti di cui siano venuti a conoscenza nel contesto lavorativo. Non è necessario che sussista un rapporto giuridico con l’ente, pubblico o privato, né che esso sia ancora in vita o abbia cessato l’attività.

La segnalazione può essere effettuata all’organo interno, oppure ad autorità esterne, o persino tramite divulgazione pubblica. Tuttavia, non è il whistleblower a scegliere il canale per la segnalazione: deve infatti sempre essere preferito il canale interno, poi eventualmente quello esterno.

Il canale di gestione interno, in genere, è gestito da una persona o un ufficio interno all’ente, ma non si esclude che possa essere gestito anche da soggetti esterni. In ogni caso, il soggetto che gestisce le segnalazioni deve essere autonomo e adeguatamente formato.

Per quanto riguarda i Comuni non capoluoghi di Provincia, così come i soggetti del settore privato che nell’ultimo anno hanno impiegato lavoratori subordinati inferiori a 250 persone, possono condividere i canali di segnalazione interna e la relativa gestione.

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Whistleblowing e tutela della riservatezza

Il decreto del 2023 ha inoltre introdotto alcune novità in tema di tutela della riservatezza, in modo tale anche da incentivare le segnalazioni e rendere note le violazioni e gli illeciti di cui si ha notizia. Infatti, il soggetto potrebbe anche essere indotto a non segnalare per timore di ripercussioni negative.

L’art. 12 prevede che vi sia un obbligo di riservatezza in capo al soggetto deputato alla gestione della segnalazione circa l’identità del segnalante. I dati personali non possono essere rivelati senza il consenso espresso del segnalante.

Se dalla segnalazione deriva un procedimento disciplinare, il soggetto segnalato comunque deve chiedere il consenso per la rivelazione dei dati del segnalatore, al fine di potere esercitare il proprio diritto di difesa. Ciò, però, comporta che se il consenso non viene concesso, la segnalazione diventa inutilizzabile.

La disciplina del trattamento dei dati personali risente anche delle disposizioni del GDPR; infatti, la base giuridica di questo trattamento è rinvenibile nel GDPR.

Inoltre, si prevede pure che i soggetti indicati come potenziali segnalatori devono ricevere le relative informazioni, in particolare sulla gestione delle segnalazioni. Preferibilmente, l’informativa deve anche essere pubblicata sul sito Internet dell’ente, pubblico o privato che sia.

Il D.Lgs. n. 24/2023 prevede poi che venga redatta anche una valutazione di impatto sulla protezione dei dati  (DPIA) – si indica la crittografia quale strumento per garantire un certo livello di tutela della riservatezza dei dati.

L’art. 14 del decreto prevede che i dati debbano essere conservati per 5 anni dalla data di comunicazione dell’esito finale della procedura di segnalazione.

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Whisteblowing: la tutela del segnalato

Altra questione di cui si è occupato il Decreto del 2023 è la tutela riservata al segnalato. Infatti, pure rispetto a quest’ultimo deve essere garantita la tutela della riservatezza. 

L’art. 13 co 3 rinvia ad alcune disposizioni del GDPR, che esclude l’esercizio di alcuni diritti, tra i quali il diritto di accesso. Questi non possono essere esercitati se ne può derivare un pregiudizio effettivo e concreto alla riservatezza dell’identità della persona segnalata.

Se si consentisse al segnalato di esercitare tali diritti, infatti, sarebbe violata la riservatezza del segnalante, esponendolo ad eventuali ripercussioni.

Infine, anche per quanto riguarda l’utilizzo delle segnalazioni, questo è limitato a quanto strettamente necessario – non possono essere impiegati i dati che non sono necessari al trattamento.

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Whistleblowing – Domande frequenti

Che cos’è il whistleblowing?

Il whistleblowing è la prassi per la quale i lavoratori possono segnalare eventuali illeciti compiuti durante la propria attività in azienda, senza rischiare di subire delle ripercussioni.

Quali sono le tutela previste per il whistleblowing?

Il legislatore, rispetto al whistleblowing, prevede una serie di misure per evitare ritorsioni nei confronti del segnalatore: in primo luogo si garantisce la privacy, cioè non è possibile divulgare i dati del segnalatore, non può essere licenziato o sottoposto a misure discriminatorie.

A chi segnala il whistleblower?

Il whistleblower provvede alla segnalazione ad organi interni all’ente, pubblico o privato, oppure alle autorità giudiziarie, o, eventualmente, procede alla pubblica divulgazione dei fatti di cui è entrato a conoscenza.

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Avv. Clelia Tesone
Avvocato civilista
Laureatasi in Giurisprudenza con la votazione di 110 e Lode presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” e con approfondita conoscenza delle materie del Diritto Civile e del Diritto Amministrativo. Ha brillantemente conseguito l’abilitazione alla professione di avvocato, a seguito dell’espletamento della pratica forense in diritto civile e il tirocinio ex art. 73 d.l. 69/2013 presso la Procura della Repubblica di Napoli Nord.
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