Contratto a chiamata: cos’è, come funziona, licenziamento, costi
Cosa spetta con il contratto a chiamata? Quali sono i costi per il datore di lavoro? Quante ore settimanali si possono fare? Ecco cosa sapere su retribuzione, contributi, licenziamento, età, limiti, divieti, ferie, malattia, infortuni.
- Il contratto a chiamata è una tipologia di prestazione lavorativa nella quale un lavoratore è disponibile a svolgere una determinata attività su chiamata da parte del datore di lavoro.
- È disciplinato dal Dlgs n. 81/2015, agli articoli che vanno dal 13 al 18.
- Viene chiamato anche job on call o contratto di lavoro intermittente proprio per il suo carattere discontinuo, che può avere durata settimanale, mensile o annuale.
Il contratto a chiamata in Italia, noto anche come lavoro intermittente, può prevedere il vincolo di rispondere alla chiamata che si riceve da parte dell’azienda, in base alla quale si riceverà un’indennità di disponibilità.
In alternativa, però, troviamo anche un’altra tipologia di contratto a chiamata, la quale non prevede alcun obbligo di risposta: pertanto il lavoratore riceverà un compenso unicamente sulle giornate effettivamente lavorate.
Analizziamo di seguito quali sono le caratteristiche del contratto a chiamata in termini di età, costi, durata, licenziamento, TFR, disoccupazione, ferie e malattia.
Contratto a chiamata: come funziona
Il contratto a chiamata:
- può essere stipulato da qualsiasi tipologia di lavoratore;
- può essere stipulato da qualsiasi impresa, tranne quelle che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi della legge sulla sicurezza nei posti di lavoro (Dlgs 626/1994);
- non può essere stipulato della Pubblica Amministrazione.
Il contratto a intermittenza è attivabile in presenza di ipotesi soggettive per lo svolgimento di qualsiasi attività, ma solo per i soggetti:
- che hanno un’età pari o superiore ai 55 anni;
- che hanno meno di 24 anni, quindi un massimo di 23 anni e 364 giorni: le prestazioni devono essere svolte, in questo caso, entro i 25 anni.
Le prestazioni possono avvenire anche in presenza di ipotesi oggettive e nel rispetto delle disposizioni contenute nei contratti collettivi nazionali o territoriali, oppure per periodi predeterminati, quali le vacanze natalizie, le ferie estive, i weekend.
In via sperimentale, il contratto a chiamata può essere stipulato dai lavoratori in stato di disoccupazione o inoccupazione di lunga durata che abbiano:
- meno di 25 anni;
- più di 45 anni.
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Contratto a chiamata: ore settimanali
Ad esclusione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, il lavoro a intermittenza può essere svolto per un periodo non superiore a 400 giornate di lavoro effettivo in 3 anni solari. Superato tale limite non si può parlare più di lavoro a chiamata, ma si tratterà di lavoro a tempo pieno o indeterminato.
Il lavoro a chiamata ha una durata di 40 ore settimanali, che in alcuni contratti nazionali si abbassano a 38 o 39. Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro dovesse chiedere di lavorare di più, si avrebbe diritto allo straordinario, quindi a un pagamento maggiorato.
Il contratto a chiamata deve essere redatto in forma scritta e al suo interno dovranno essere indicati i seguenti elementi:
- la durata;
- le ipotesi oggettive o soggettive che ne consentono la stipula;
- il luogo in cui si svolgerà la prestazione;
- le modalità della disponibilità garantita dal lavoratore e il preavviso di chiamata, che non può essere inferiore a un giorno;
- il trattamento economico;
- l’eventuale indennità di disponibilità;
- le modalità attraverso le quali il lavoratore può richiedere l’esecuzione della prestazione;
- la rilevazione delle presenze;
- i termini e le modalità di pagamento dello stipendio;
- le misure di sicurezza.
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Quando non si può attivare un contratto a chiamata
Il job on call è vietato:
- per la sostituzione di lavoratori in sciopero;
- nelle aziende che nei 6 mesi precedenti hanno agito con licenziamenti collettivi, oppure quelle in cui è in corso una sospensione o una riduzione di orario per cassa integrazione, come è accaduto durante l’emergenza sanitaria da coronavirus.
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Contratto a chiamata: vantaggi e svantaggi
L’indennità di disponibilità è prevista soltanto nella tipologia di contratto a chiamata nella quale il lavoratore garantisce sempre la propria presenza nel momento in cui riceve una chiamata dal datore di lavoro. Nel periodo in cui il dipendente riceve l’indennità, non potrà dedicarsi ad altre attività lavorative.
L’indennità ha svantaggi e vantaggi per il datore di lavoro:
- da un lato si avrà la garanzia di poter disporre della disponibilità del lavoratore in qualsiasi momento;
- dall’altro, si dovrà pagare il costo fisso dell’indennità, che non è presente nelle forme di contratto a chiamata senza vincoli.
Qualora un dipendente che percepisca l’indennità di disponibilità si rifiutasse di rispondere alla chiamata senza giustificato motivo, allora potrebbe essere licenziato e, al contempo, essere costretto a restituire l’indennità relativa al periodo successivo al suo rifiuto.
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Contratto a chiamata: retribuzione e stipendio
La cifra relativa all’indennità di disponibilità è stabilita dai contratti collettivi:
- non può essere inferiore al 20% dello stipendio mensile previsto dai singoli CCNL;
- può essere divisa in quote orarie;
- è esclusa dal computo del T.F.R.;
- l’ammontare effettivo è soggetto a contributi INPS, assicurazione INAIL, tassazione IRPEF, oltre che alle prestazioni di malattia e maternità.
Nel caso in cui il lavoratore fosse temporaneamente impossibilitato a rispondere alla chiamata, dovrà informare il datore di lavoro e specificare la durata del suo impedimento. Qualora non dovesse farlo, perderebbe l’indennità per un periodo di 15 giorni.
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Come dichiarare contratto a chiamata
Tra gli obblighi spettanti all’azienda, c’è anche quello di comunicare l’assunzione di un lavoratore con un contratto a chiamata al Centro per l’Impiego: per farlo, è sufficiente inviare telematicamente il modello UniLav entro 24 ore dal giorno precedente a quello in cui viene avviato il rapporto di lavoro.
Tale comunicazione dovrà essere inviata una sola volta, nel momento in cui si stipula il contratto e non per ogni singola chiamata. Deve essere invece inviata di volta in volta la durata della singola prestazione nel caso in cui sia inferiore a 30 giorni: la comunicazione deve essere inoltrata all’Ispettorato territoriale del lavoro competente.
Nella comunicazione saranno contenuti i dati identificativi del lavoratore e dell’azienda, oltre che la data di inizio e di fine della prestazione. Le modalità di invio del modello apposito sono le seguenti:
- tramite il Portale ClicLavoro;
- tramite l’invio di una mail all’indirizzo PEC intermittenti@pec.lavoro.gov.it;
- tramite SMS al numero 339.9942256, che dovrà contenere il codice fiscale del lavoratore e potrà essere utilizzato per le prestazioni da svolgersi non oltre le 12 ore dalla comunicazione.
Nel caso di mancato invio della comunicazione, è prevista una sanzione amministrativa che va da un minimo di 400 euro fino a un massimo di 2.400 per ogni singolo dipendente assunto con contratto a chiamata.
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Quando è vietato il lavoro a chiamata?
Al fine di tutelare al massimo il lavoratore che fornisca la propria prestazione tramite un contratto a chiamata, ci sono altre regole importanti che devono essere rispettate dal datore di lavoro.
Fra queste rientrano:
- il fatto che le giornate di lavoro, l’indennità di disponibilità che viene erogata e il trattamento economico del lavoratore a chiamata devono essere indicati nel Libro unico del lavoro, così come accade per tutti gli altri lavoratori dipendenti;
- dal 1° luglio 2018, lo stipendio dei lavoratori a chiamata deve essere corrisposto unicamente tramite mezzi tracciabili: i contanti sono assolutamente esclusi;
- l’azienda deve inoltra informare ogni anno le RSA/RSU in relazione al ricorso a eventuali lavoratori a chiamata.
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Contratto a chiamata e NASpI: sono compatibili?
Chi ha un contratto a chiamata ha diritto alla disoccupazione? Ci sono alcuni casi nei quali la disoccupazione NASpI spetta anche ai lavoratori che sono impegnati in un contratto a chiamata. È opportuno fare distinzione fra il contratto con obbligo di disponibilità e quello senza vincolo, quindi quello nel quale non è prevista l’indennità di disponibilità.
Nella prima ipotesi, è possibile il cumulo delle prestazioni solo nel caso in cui il proprio reddito, nel quale deve essere conteggiata anche l’indennità di disponibilità, sia inferiore agli 8.000 euro, oppure quando la prestazione lavorativa abbia durata non superiore ai 6 mesi.
Nel secondo caso, invece, la disoccupazione NASpI resta sospesa nei giorni in cui si lavora, mentre può essere erogata durante i periodi in cui il lavoratore è fermo. Resta da rispettare il requisito reddituale degli 8.000 euro o il fatto che la prestazione non debba superare i 6 mesi.
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Contratto a chiamata – Domande frequenti
I lavoratori con un contratto a chiamata hanno anche diritto alla tredicesima: a cambiare rispetto a un altro contratto sarà il netto il busta paga. Si potrebbe ricevere anche la quattordicesima se prevista dal proprio CCNL.
La disoccupazione è compatibile con il contratto a chiamata soltanto in alcuni casi: ecco quali sono.
Il contratto a chiamata può avere una durata massima di 400 giornate lavorative effettive nel corso di 3 anni solari, ma ci sono alcuni settori per il quali sono previste delle eccezioni.
Sì, sul web è infatti possibile trovare qualche esempio di busta paga per contratto a chiamata.
La ferie e i permessi di lavoro che sono previsti dal CCNL di riferimento si applicano anche ai lavoratori con contratto a chiamata.
Il contratto a chiamata diventa a tempo indeterminato o determinato quando vengono superate le 400 ore di giornate di lavoro effettivo nell’arco di 3 anni solari.
Il lavoratore che non si presenta al lavoro con un contratto a chiamata potrebbe andare incontro alla risoluzione del contratto di lavoro e dover eventualmente restituire l’indennità di disponibilità percepita.
Il contratto a chiamata prevede anche il pagamento della malattia, che però cambia a seconda che il contratto sia con o senza indennità di disponibilità. Ai sensi del principio di non discriminazione, al lavoratore vengono riconosciuti anche infortuni a maternità.
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