Responsabilità datore di lavoro per danno psicologico: come funziona
Il datore di lavoro è responsabile per il danno psicologico causato da atti di mobbing posti in essere da parte di un dipendente ai danni di un altro? Scopriamolo nel seguente articolo.
- Il datore di lavoro può essere responsabile anche quando il contesto lavorativo è psicologicamente dannoso.
- Lo stesso è tenuto ad adottare tutte le misure idonee a prevenire eventuali conseguenze dannose dello stato psicologico del lavoratore.
- Il lavoratore può agire e chiedere il risarcimento del danno anche per lesione della propria sfera psicologica.
La Corte di Cassazione, di recente, si è impegnata ad esaminare il caso di un lavoratore che ha subito condotte di mobbing, non da parte del datore di lavoro, ma di altri dipendenti sovraordinati.
Tali condotte erano state causa di un danno psicologico per il lavoratore. Sebbene la condotta del datore di lavoro non abbia causato direttamente la lesione, ci si chiede se lo stesso possa essere considerato responsabile del danno al lavoratore.
Nel seguente articolo, ci occuperemo proprio della responsabilità per il datore di lavoro in caso di danno psicologico, analizzando un caso concreto, ovvero di come è possibile liquidare il danno da lesione della sfera psicologica, come si configura e in cosa consiste.
Responsabilità del datore di lavoro per danno psicologico
La giurisprudenza di merito, di recente, si è occupata della responsabilità del datore di lavoro per danno psicologico. La Corte di Cassazione è ormai pacificamente orientata nell’affermare che il datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c., è tenuto ad adottare qualsiasi misura di sicurezza che sia tale da garantire la sicurezza sul posto di lavoro.
Il datore di lavoro deve quindi adottare:
- le particolari misure tassativamente previste dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata:
- anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore.
Secondo l’interpretazione offerta della norma, quindi, non solo il datore di lavoro dovrà tenere in considerazione la tutela della salute fisica del lavoratore, ma anche quella emotiva. Ciò comporta che sia necessario individuare delle misure volte a garantire il benessere sul luogo di lavoro.
Negli ultimi tempi, l’opinione pubblica è divenuta molto attenta ad alcune tematiche, come quella relativa al rischio di burnout, ossia la sindrome da stress e ansia da lavoro. Il datore di lavoro, secondo la giurisprudenza di merito recente, è tenuto ad adottare anche le misure volte a prevenire questo rischio, oltre che ogni altro danno di natura morale e psicologica.
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Il caso esaminato: quando è mobbing
La questione è nata da un caso molto interessante. Un lavoratore lamentava il danno morale o psicologico causato da un particolare contesto lavorativo, fonte di sofferenze psichiche. Il lavoratore ha quindi agito al fine di esercitare azione risarcitoria, volta ad ottenere la corresponsione delle somme dovute.
In un primo momento, la Corte d’Appello ha negato il risarcimento del danno da mobbing, non avendo riscontrato l’intento persecutorio che rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie. Dopodiché si è anche pronunciata la Corte di Cassazione. Prima di vedere come è andata a finire, facciamo prima un passo indietro ed esaminiamo il concetto di mobbing.
Mobbing e vessazioni sul luogo di lavoro
Il mobbing consiste in un comportamento messo in pratica dal datore di lavoro o dai colleghi volto a provocare violenza psicologica nei confronti di un lavoratore, adottando specifiche pratiche di esclusione o emarginazione. Talvolta i dipendenti possono subire violenze tali da decidere di dimettersi dal posto di lavoro.
Le condotte consistenti in mobbing sono per esempio:
- l’esclusione dai meeting, dalle attività formative o di aggiornamento professionale;
- i perenni richiami in pubblico o in privato, anche per situazioni banali;
- l’esercizio esasperato di forme di controllo;
- il tenere nascoste, ad alcuni dipendenti, le informazioni che di solito vengono diffuse a tutti;
- il ridimensionamento del ruolo, attraverso l’assegnazione di mansioni di poco conto a persone brillanti.
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Straining
Oltre al mobbing, sul lavoro possono verificarsi degli episodi che prendono il nome di straining. Con ciò si intende una condotta di tipo vessatorio, con atti volti a umiliare un dipendente, in genere posti in essere da un superiore. Il lavoratore è sottoposto ad una situazione di forte disagio e stress, che si protrae a lungo nel tempo.
La condotta consistente nello straining crea una situazione di inferiorità nella dinamica relazionale che lede la dignità del lavoratore. Si differenzia dal mobbing in quanto lo straining può manifestarsi con un singolo atto lesivo, che causa un danno psicologico.
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Burnout come conseguenza di mobbing e straining
La principale conseguenza del mobbing o dello straining è un forte stato di stress psicologico che può assumere le forme del burnout. Il termine deriva dall’inglese e letteralmente significa bruciato o esausto. L’Organizzazione mondiale della Sanità ha riconosciuto tale figura come una patologia da stress cronico associato al contesto lavorativo.
Si caratterizza per molteplici condizioni, quali affaticamento, delusione, logoramento e improduttività che sfociano in prostrazione e disinteresse per la propria attività professionale quotidiana. Le cause possono essere molteplici: la principale è proprio quella di non vivere in un contesto lavorativo dove sia assicurato il benessere al lavoratore.
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I sintomi del burnout sono:
- senso di esaurimento o depauperamento delle energie: l’esaurimento emotivo è il principale sintomo della patologia in questione. Questo esaurimento emotivo consiste nel sentimento di essere svuotato o annullato dal proprio lavoro. Ad esso, in genere, si associa anche l’affaticamento: le persone colpite si sentono sfinite sul piano emotivo e fisico;
- aumento della distanza mentale dal proprio lavoro: il burnout si manifesta con un atteggiamento di distacco mentale dalle proprie mansioni, con aumento dell’isolamento e ridotta produttività del lavoratore. Sono presenti sentimenti di pessimismo o cinismo rispetto alle proprie capacità e l’utilità dell’attività svolta;
- ridotta efficienza professionale: una delle conseguenze del burnout è la caduta dell’autostima che comporta un sentimento di insuccesso, con conseguente calo della produttività. Il lavoratore percepisce di non essere utile, in conseguenza è sempre meno efficiente.
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Intervento Corte di Cassazione
In riferimento al caso preso in esame, la Corte di Cassazione ha esaminato la questione circa la risarcibilità del danno derivante da violazione dell’art. 2087 c.c. (Tutela delle condizioni di lavoro), per non avere adottato le misure di sicurezza volte a prevenire condotte lesive dell’integrità psichica del lavoratore.
La Corte ha, in primo luogo, evidenziato che il datore di lavoro debba astenersi da adottare scelte e comportamenti di per sé lesivi della sfera emotiva del lavoratore. Si fa divieto di applicazione di condizioni di lavoro stressogene, oltre a tenere comportamenti più gravi come mobbing e straining, molestie o stalking.
Ne consegue che una prima causa di responsabilità del datore di lavoro può derivare da inadempimento contrattuale che si configura ove abbia posto in essere predette condotte e sussista un nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e il danno patito dal lavoratore.
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Danno da violazione dell’art. 2087 c.c.
La Corte di Cassazione ha affermato che si configura una responsabilità del datore di lavoro anche per violazione dell’art. 2087 c.c., se non ha assunto le misure idonee a prevenire condotte lesive della psiche del lavoratore.
La Corte d’Appello aveva, invece, escluso tale possibilità in ragione della mancanza di un comportamento vessatorio del datore di lavoro. La Cassazione ha però osservato che tale pronuncia sembra irragionevole, perché da un lato riconosceva il danno al lavoratore, dall’altro però escludeva la responsabilità diretta del datore di lavoro.
La Cassazione ha affermato che lo stress correlato al lavoro, d’altra parte, è conseguenza della violazione dell’onere di adottare le misure di sicurezza. Quest’onere comporta anche la necessità di adottare misure che garantiscano il benessere generale dei lavoratori sul luogo di lavoro.
Il lavoratore può lamentare questa violazione e al contempo non è tenuto a provare che il datore di lavoro non abbia adottato le misure opportune. Sarà, al contrario, il datore di lavoro a dover provare di aver adottato tutte le misure necessarie a prevenire eventuali infortuni. Una volta accertato il danno, questo dovrà essere, in ogni caso, risarcito al lavoratore.
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Conclusioni Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, in sintesi, ha sostenuto che il giudice di merito non abbia considerato la condotta complessiva del datore di lavoro.
Secondo la Suprema Corte, può essere riscontrata una condotta illecita del soggetto quando questo:
- non ha adottato le opportune misure di sicurezza volte a garantire un ambiente sano di lavoro, sia dal punto di vista fisico che psichico;
- ha posto in essere atti esorbitanti e incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto di lavoro.
La Corte ha accertato la violazione degli obblighi derivanti dall’art. 2087 c.c., fatto che ha causato gravi pregiudizi alla salute del lavoratore, creando un ambiente logorante e causa di ansia.
Il lavoratore, nel caso di specie, aveva anche riportato danni fisici, quindi, la Corte ha disposto il risarcimento sia del danno alla salute fisiche che psichica.
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Come si risarcisce il danno psicologico?
Quando il soggetto subisce una lesione della propria sfera intima, possiamo individuare un danno psicologico. In genere, con danno psicologico si possono intendere tre ipotesi di danno:
- danno psichico, ossia quella forma di danno che comporta una riduzione delle capacità cognitive, che viene trattato alla stregua di un danno alla salute di tipo fisico;
- danno morale, ossia il danno consistente nel patema d’animo interiore; in genere, è inteso come uno stato di sofferenza psichica, di tristezza e frustrazione;
- danno esistenziale, ossia il mutamento delle condizioni e alcuni aspetti della propria vita quotidiana a causa dell’illecito.
Queste forme di danno possono essere liquidate in vario modo.
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1. Danno psichico
Se il danno è psichico, è una tipologia di danno alla salute particolare. Per lungo tempo, si è discusso se fosse un danno misurabile, come la menomazione alla salute fisica. Ad oggi, con le conoscenza che si possiedono, le menomazioni della sfera cognitiva sono “misurabili” come le menomazioni alla sfera fisiologica del soggetto. In questo caso, si può applicare il criterio delle tabelle milanesi, quindi, in base al calcolo del punto variabile, che individua il grado di invalidità.
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2. Danno morale
Sul danno morale, si è molto discusso. La più recente giurisprudenza ha affermato che il danno non sia contemplato dalle tabelle milanesi. Deve quindi essere apportata una maggiorazione al danno alla salute, in considerazione del danno morale patito, tramite un aumento forfettario, determinato secondo il criterio equitativo, cioè in base a quanto il giudice ritiene opportuno.
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3. Danno esistenziale
Il danno esistenziale è già valutato nel calcolo del punto variabile delle tabelle milanesi. Il giudice può, poi, procedere alla personalizzazione del danno, in base al criterio equitativo puro. Procederà allora ad aumentare il danno risarcito in considerazioni di particolare circostanza.
In via esemplificativa, se il soggetto è uno sportivo e, a causa dell’illecito, non potrà più svolgere quello sport, il danno potrebbe essere aumentato in modo forfettario.
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Danno psicologico – Domande frequenti
Il datore di lavoro è responsabile del danno psicologico al lavoratore quando pone in essere egli stesso condotte consistenti in mobbing o altre forme di atti persecutori, oppure se non ha adottato le dovute precauzioni.
Tra le misure di sicurezza che il datore di lavoro deve adottare, vi sono anche quelle volte a garantire un ambiente sano di lavoro, per prevenire condotte lesive della psiche dei lavoratori.
Il danno psicologico può assumere varie forme: danno psichico, inteso come riduzione delle capacità cognitive, morale ed esistenziale. A seconda dei casi, il danno è liquidato in modo differente: scopri in che modo nella nostra guida.
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