Diritto di sciopero e precettazione: un equilibrio precario
In questi giorni di grandi scioperi a livello nazionale (e globale) si sente spesso parlare di precettazione. Di cosa si tratta e come può impattare un diritto tutelato dalla Costituzione (lo sciopero?). Vediamolo.
- Il diritto allo sciopero in Italia è garantito dall’art. 40 della Costituzione della Repubblica.
- L’esercizio di tale diritto deve essere tutelato nel rispetto, ovviamente, del diritto al lavoro, quindi della sicurezza delle persone, ma anche della produzione economica.
- La legge prevede, però, uno strumento che permette di limitare gli scioperi, che prende il nome di precettazione.
Lo sciopero, ovvero l’astensione collettiva di una pluralità di lavoratori dallo svolgimento delle proprie mansioni lavorative, è garantito dall’articolo 40 della nostra Costituzione, in base al quale può essere esercitato nell’ambito delle leggi che lo regolano.
La legittimità di questa forma di astensione dal lavoro (che a differenza di ferie e malattia non è retribuita) è giustificata dalla natura dell’interesse collettivo da tutelare. Ne è un esempio lo sciopero indetto in un gran numero di città italiane nella giornata del 3 ottobre 2025.
Non lavorare significa bloccare il Paese, non solo in senso prettamente lavorativo – quindi legato alla produzione – ma come sinonimo di protesta contro un Governo e un sistema che, in qualche modo e per qualche motivo, non ci rappresenta e non difende i nostri interessi.
Scioperare è un atto di autotutela, che però non è esente da regole. Ci sono, infatti, delle modalità di esecuzione e delle garanzie da rispettare. Ma è proprio in questi giorni di grandi subbugli, in cui finalmente le coscienze si risvegliano e trovano nello sciopero uno strumento legale per reagire all’immobilismo dei propri governanti, che è balzato sotto gli occhi di tutti (e tutte) l’istituto della precettazione.
Vediamo di comprendere quale sia il confine tra lo sciopero e il ricorso alla precettazione (tanto amato da Matteo Salvini), partendo dall’analisi degli eventuali limiti relativi al diritto dei lavoratori di scioperare.
Quali sono i limiti del diritto di sciopero
I lavoratori che scelgono di aderire a uno sciopero non stanno commettendo né un reato, né un inadempimento contrattuale per il quale potrebbero andare incontro a un eventuale licenziamento. Il loro diritto di scioperare al fine di tutelare gli interessi della collettività si scontra con eventuali limitazioni da rispettare, che derivano dalla necessità di proteggere altri diritti sanciti dalla Costituzione.
Tali limiti sono stati definiti dalla stessa Corte costituzionale, la quale si è ritrovata più volte a dover determinare la conformità delle norme del Codice penale che puniscono alcune tipologie di sciopero (“sciopero per fini contrattuali”, art. 502, “sciopero per fini non contrattuali”, art. 503 e “sciopero a scopo di solidarietà o di protesta”, art. 505) all’art. 40 Cost.
Per esempio, non può essere perseguito né penalmente, né civilmente lo sciopero mirante a ottenere un provvedimento da parte della pubblicità autorità, oppure a impedirlo, riguardante le condizioni dei lavoratori – si parla di sciopero economico-politico. Allo stesso modo non può essere punito uno sciopero prettamente politico (es. per la pace nel mondo), anche se estraneo alle condizioni dei lavoratori.
Può, invece, essere perseguito uno sciopero che abbia come finalità quella di:
- sovvertire l’ordinamento costituzionale;
- impedire oppure ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi con i quali si esprime la sovranità popolare.
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Modalità di esercizio del diritto di sciopero
La giurisprudenza ha valutato, nel corso del tempo, la validità di uno sciopero in relazione alle sue modalità attuative. In particolare, non è vero che lo sciopero debba essere necessariamente organizzato da un sindacato. Si tratta, infatti, di un diritto a titolarità individuale.
Le modalità con le quali si può svolgere uno sciopero legittimo possono poi essere differenti. Così si parla di sciopero a scacchiera, a singhiozzo, sciopero bianco, sciopero dello straordinario e così via.
Cos’è lo sciopero nei servizi essenziali
La sola forma di sciopero che è regolata da una normativa ad hoc è lo sciopero nei servizi essenziali (legge n. 146/1990). Tale legge cerca di trovare un equilibrio tra il diritto di sciopero e altri diritti costituzionali, quali quello alla vita, alla salute, alla libertà, alla sicurezza, alla libertà di circolazione e di comunicazione, all’istruzione, all’assistenza e previdenza sociale.
Tra i servizi essenziali rientrano, per esempio, la sanità, l’igiene pubblica, la protezione civile, i trasporti, le poste, le telecomunicazioni e l’informazione radiotelevisiva. La legge ha affidato alla contrattazione collettiva il compito di individuare le prestazioni indispensabili e fare in modo che non vengano interrotte del tutto a causa di uno sciopero.
Le prestazioni indispensabili possono poi essere identificate anche dai:
- sindacati, attraverso i codici di autoregolamentazione sindacale;
- regolamenti di servizio emanati direttamente dalle aziende.
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Preavviso sciopero servizi essenziali
Una regola fondamentale riguarda l’obbligo, per chi organizza lo sciopero, di comunicarne la durata, la motivazione e le modalità attuative, nel rispetto di un preavviso minimo di 10 giorni.
Sarà necessario rivolgere tale comunicazione alle Autorità competenti, vale a dire la Prefettura oppure l’ufficio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e anche alle imprese o amministrazioni che erogano il servizio essenziale in questione. Queste ultime hanno a loro volta il compito di informare l’utente entro 5 giorni dalla data fissata per lo sciopero.
Violare le norme in vigore comporta l’applicazione di alcune sanzioni. Per esempio, per i sindacati può trattarsi della sospensione dei diritto ai permessi sindacali e ai contributi previsti dalla legge n. 300/1970, art. 23 e 26, e dell’esclusione dalla contrattazione collettiva per 2 mesi.
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Come funziona la precettazione
Se lo sciopero è un concetto abbastanza diffuso nelle menti della collettività, lo stesso non si può dire per la precettazione (art. 8 Legge 146/90), la quale è comparsa in parecchi articoli e persino su alcuni manifesti di protesta negli scorsi giorni.
Le autorità pubbliche, quindi il Prefetto o il Presidente del Consiglio dei Ministri (oppure un Ministro da lui delegato), hanno la facoltà di precettare i lavoratori (e la lavoratrici), non solo subordinati, ma anche autonomi. Quando?
Nell’ipotesi in cui vi sia un fondato pericolo che lo sciopero arrechi pregiudizio ai diritti della persona garantiti dalla Costituzione, quindi che rappresenti un rischio per la salute e la sicurezza delle persone e della produzione. Prima di farlo, le Autorità devono comunque tentare di convincere le parti a desistere e intraprendere un tentativo di conciliazione.
In caso di esito negativo, devono emanare un’ordinanza motivata, almeno 48 ore prima della sciopero, in cui si invita i lavoratori e le imprese a garantire le prestazioni indispensabili. Tale ordinanza può inoltre prevedere:
- la riduzione della durata dello sciopero;
- il suo spostamento a una data differente;
- l’unificazione di scioperi indetti separatamente.
L’ordinanza in questione, deve essere comunicata a chi promuove lo sciopero, anche tramite affissioni nei luoghi di lavoro, oltre che alla stampa nazionale e locale. Esiste comunque la possibilità di opporsi alla precettazione rivolgendosi al TAR.
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Violazioni precettazione
Qualora non fosse rispettata e le violazioni venissero segnalate dalla Commissione di garanzia (composta di esperti designati dai Presidenti di Camera e Senato), si andrebbe incontro alle seguenti sanzioni amministrative:
- da 258 a 516 euro per i lavoratori;
- da 2.582 a 25.822 euro per ogni giorno di violazione, per i sindacati dei lavoratori;
- la sospensione dall’incarico da 30 giorni fino a un massimo di 1 anno per i responsabili degli enti erogatori.
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Sciopero legittimo e precettazione: il 3 ottobre 2025
Lo sciopero dello scorso 3 ottobre 2025 è stato legittimo, anche se non ha rispettato le regole relative al preavviso. Questo perché deriva da una situazione di estrema e improvvisa gravità, che rende di conseguenza impossibile la necessità di dare il preavviso.
Allo stesso modo, è possibile precettare uno sciopero legittimo se lo si considera necessario per evitare un danno veramente grave alla collettività. In questo caso specifico, la “minaccia” di ricorrere alla precettazione ha avuto più un colore politico che non una ragione fattuale.
Secondo la Commissione di garanzia, comunque, lo sciopero generale nazionale del 3 ottobre non è stato legittimo perché non ha rispettato il termine di preavviso. C’è da dire, però, che il preavviso non si applica ai casi in cui l’astensione dal lavoro sia motivata dalla difesa dell’ordine costituzionale.
E di fronte a quello che sta succedendo a Gaza da 2 anni (che sono 730 giorni), la collaborazione con un paese che non rispettano i diritti umani, né il diritto internazionale e che bombarda senza più tregua una popolazione ormai allo stremo, ha già oltrepassato i limiti costituzionali da un bel pezzo.
Hai paura di subire delle ripercussioni per aver partecipato allo sciopero del 3 ottobre? Ti consigliamo di fare le tue domande a un avvocato esperto in diritto del lavoro.
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