Patto di non concorrenza: tutto quello che devi sapere
Il patto di non concorrenza è un contratto soggetto a specifici requisiti di forma, a pena di nullità. Deve essere circoscritto ad un oggetto al fine di prevenire un'eccessiva compressione dei diritti del lavoratore.
- Il patto di non concorrenza è un contratto con il quale le parti si accordano affinché l’una non ponga in essere un’attività concorrenziale.
- Si caratterizza per alcuni elementi essenziali, quali forma scritta, durata, indennizzo, individuazione oggetto.
- Nel caso di violazione del patto di non concorrenza, l’inadempiente risponde secondo le norme della responsabilità contrattuale o è tenuto a pagare una penale.
Il patto di non concorrenza è un accordo che in genere viene inserito in un contratto di lavoro o può essere stipulato autonomamente. Questo consente di imporre ad una delle parti un’obbligazione di non porre in essere atti in diretta concorrenza con la controparte.
Questo accordo deve essere soggetto al rispetto dei requisiti formali e sostanziali previsti dalla legge. Ciò che più ci interessa, è che sia previsto espressamente l’oggetto. Le parti devono individuare le attività che non possono essere poste in essere, che non necessariamente corrispondono alle mansioni richieste dal contratto di lavoro. L’oggetto è circoscritto anche all’area geografica ed è previsto un termine certo.
Tali previsioni si giustificano in base alla considerazione che questo patto limita significativamente la libertà di iniziativa economica e lavorativa di una delle parti.
- Patto di non concorrenza: codice civile
- Patto di non concorrenza: tipologie
- Patto di non concorrenza tra imprese
- Patto di non concorrenza: lavoratore autonomo e dipendente
- Patto di non concorrenza: durata
- Patto di non concorrenza e corrispettivo
- Patto di non concorrenza in busta paga
- Patto di non concorrenza: dimissioni
- Violazione patto di non concorrenza
- Penale e patto di non concorrenza
- Aggirare il patto di non concorrenza è legale?
- Posso impugnare un patto di non concorrenza?
- Posso non firmare un patto di non concorrenza?
- Tassazione patto di non concorrenza
Patto di non concorrenza: codice civile
Il codice civile disciplina il patto di non concorrenza in due norme, l’art. 2125 cc e l’art. 2596 cc. Il legislatore prevede espressamente i requisiti che il patto di non concorrenza deve possedere affinché sia valido.
Devono essere infatti presenti degli elementi, a pena di nullità, cioè:
- forma scritta;
- definizione dell’oggetto;
- durata predefinita;
- individuazione di un ambito territoriale di operatività;
- determinazione di un corrispettivo.
È sufficiente che il patto abbia forma scritta, non è necessario che sia inserito nel contratto di lavoro. Ciascuno dei due negozi, infatti, ha causa autonoma.
La forma scritta ha la funzione principale di consentire la prova dell’accordo tra lavoratore e datore di lavoro. L’oggetto deve essere adeguatamente circoscritto. Ciò significa che devono essere indicate le attività che l’ex lavoratore non potrà esercitare dopo la cessione del rapporto di lavoro. Tale oggetto deve comunque essere limitato.
Potrebbe essere molto ampio ove si circoscriva l’area territoriale rispetto al quale opera. L’ambito territoriale deve essere individuato con una certa precisione, al fine di evitare un’eccessiva compressione del diritto del lavoratore. Si rammenta che il patto deve sempre essere frutto di un bilanciamento tra interesse del lavoratore ad intraprendere una nuova attività lavorativa e del datore di lavoro a non essere pregiudicato nell’esercizio della propria professione da condotte che, in senso atecnico, sono di concorrenza sleale.
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Patto di non concorrenza: tipologie
Il patto di non concorrenza può assumere varie forme a seconda del contesto in cui opera. Di seguito andremo ad esaminare alcuni casi, come il patto concluso nell’ambito dell’impresa, tra imprese stesse, tra datore di lavoro e lavoratori subordinati o con lavoratori autonomi, o nell’ambito del contratto di agenzia.
Il codice civile presenta diverse norme in tema di concorrenza. Si distinguono dal patto di non concorrenza le varie ipotesi di divieto di concorrenza previste dal legislatore. La principale differenza è che questi divieti non devono essere espressamente pattuiti, ma sono effetto ordinario di alcuni rapporti giuridici.
Per esempio, l’art. 2390 cc prevede il divieto nel rapporto tra amministratori e società di capitali; dispone infatti che:
Gli amministratori non possono assumere la qualità di soci illimitatamente responsabili in società concorrenti, né esercitare un’attività concorrente per conto proprio o di terzi, né essere amministratori o direttori generali in società concorrenti, salvo autorizzazione dell’assemblea.
Il divieto di concorrenza è previsto anche nell’ambito del trasferimento di azienda (all’art. 2557 cc). La norma dispone che il cedente non può porre in essere un’attività equivalente a quella svolta per il tramite dell’azienda ceduta per un periodo di 5 anni dalla cessione. In tal modo, il legislatore ha inteso evitare che sia pregiudicata la fase di avvio sotto la nuova gestione.
Patto di non concorrenza tra imprese
Tale accordo può anche essere concluso tra due imprese, purché siano rispettate le relative prescrizioni formali e sostanziali. In questo caso, le due imprese si impegnano ad esercitare le proprie attività senza porre in essere reciproci atti concorrenziali.
Come nei casi precedenti, il patto deve essere limitato dal punto di vista geografico e temporale. Ha, in genere, una durata di 5 anni. Non è valido nel caso in cui determini uno svuotamento delle attività che possono essere svolte.
La Cassazione ha anche precisato il campo di operatività della fattispecie. È stato detto dalla Corte che le imprese possono concludere un accordo in modo tale da evitare che si generi confusione tra i loro prodotti.
Questi accordi non devono sfociare in patti limitativi della concorrenza. Al contrario, deve essere finalizzato a favorire un corretto svolgimento dell’attività di impresa, eliminando possibili fattori di turbamento.
Patto di non concorrenza: lavoratore autonomo e dipendente
Il Patto di non concorrenza tra datore di lavoro e lavoratore subordinato è quello che abbiamo finora esaminato, ossia quello che ha base normativa nell’art. 2125 cc. Esso consente al datore di lavoro di evitare che il lavoratore dipendente ponga in essere condotte di concorrenza sleale. È necessario che sia previsto un termine ed erogato uno specifico indennizzo.
Si distingue dal patto di non concorrenza stipulato con un lavoratore autonomo. Esso è una forma peculiare di patto, che trova disciplina nell’art. 2596 cc:
Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto. Esso è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni. Se la durata del patto non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto è valido per la durata di un quinquennio.
Prevede una forma base del patto disciplinato dall’art. 2125 cc che si arricchisce di alcuni elementi.
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Patto di non concorrenza: durata
Uno dei requisiti fondamentali per circoscrivere il patto di non concorrenza è la durata. L’art. 2125 cc prevede il limite temporale. Questo è:
- 5 anni per coloro che svolgevano attività direttive;
- 3 anni per tutti gli altri lavoratori.
Si prevede poi una sorta di inefficacia relativa della clausola che ha limiti superiori a quelli indicati dalla legge. Ciò significa che il termine si riduce a quello legale se è maggiore di quanto previsto dalla suddetta norma.
Patto di non concorrenza e corrispettivo
Il patto di non concorrenza determina una compromissione considerevole della libertà di iniziativa economica e lavorativa del lavoratore. Proprio per questa ragione, il legislatore ha previsto l’obbligo a carico del datore di lavoro di versare al lavoratore un corrispettivo, come previsto dall’art. 2125 cc.
Il valore è determinato in base ad un principio di congruità ai sacrifici imposti al lavoratore. Si terrà conto anche del contesto di riferimento e delle mansioni svolte dal lavoratore. Se la somma prevista non è adeguata, ciò potrebbe anche essere causa di nullità del patto.
Talvolta, per evitare rivendicazioni dal lavoratore, è inserita una clausola di rivalutazione nel patto. In tal modo, si adegua il contratto ad eventuali sopravvenienze.
In genere, tale somma è erogata durante l’intero rapporto, quindi con periodicità mensile. Esso, poi, finirà per concorrere alla definizione del trattamento di fine rapporto. Se non è erogato in forma periodica, può essere versato in un’unica soluzione.
Patto di non concorrenza in busta paga
Il patto di non concorrenza può essere utilizzato anche come un incentivo del lavoratore, perché come abbiamo evidenziato, questo presuppone il versamento di un corrispettivo. Questo, come già evidenziato, deve essere congruo al sacrificio effettuato. Il valore deve essere stabilito anche in considerazione dell’area territoriale di operatività.
Tale corrispettivo può essere versato pure periodicamente, direttamente in busta paga. Tuttavia, questa modalità è stata espressamente contestata da un orientamento, soprattutto della giurisprudenza di merito. Infatti, si ritiene che l’indennità deve essere specifica nel suo ammontare. Nel caso in questione, però, non può essere preventivamente determinato perché legato a fattori variabili quali la durata del rapporto di lavoro.
La questione è stata esaminata anche dalla Cassazione, la quale ha evidenziato che se il corrispettivo è versato in busta paga, non necessariamente è indeterminato. È però indispensabile che siano individuati dei parametri oggettivi di calcolo. Si ritiene, inoltre, che si deve verificare caso per caso se questa modalità di pagamento può comunque comportare la determinabilità dell’importo complessivo da versare.
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Patto di non concorrenza: dimissioni
A seguito delle dimissioni, il patto di non concorrenza produce il suo principale effetto. In capo al lavoratore sorge il dovere di non porre in essere atti di concorrenza nei confronti del precedente datore di lavoro. Egli è tenuto ad una serie di obblighi, in primo luogo di fedeltà.
Il lavoratore non deve:
- trattare affari per conto proprio o di terzi che siano lesivi per l’interesse dell’ex datore di lavoro;
- divulgare notizie relative all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa;
- utilizzare le informazioni ricevute in modo da arrecare un pregiudizio all’impresa.
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Violazione patto di non concorrenza
Cosa succede in caso di violazione delle norme derivanti dal patto di non concorrenza? Può accadere che sia violato il patto, benché questo, in quanto contratto, faccia sorgere un’obbligazione in capo al lavoratore o all’impresa con cui si conclude l’accordo. In questo caso il datore di lavoro può attivare, in sostanza, i rimedi contrattuali.
In primo luogo, può esercitare la risoluzione per inadempimento, che comporta la restituzione dell’indennità versata, oltre che al risarcimento del danno.
Laddove il datore tema eventuali conseguenze negative pregiudizievoli, può anche ricorrere al giudice per ottenere tutela cautelare ai sensi dell’art. 700 c.p.c.. Questa può essere richiesta da
chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile.
Tuttavia, potrebbe anche accadere che ad essere inadempiente sia, invece, il datore di lavoro: il lavoratore può agire al fine di ottenere la risoluzione e il risarcimento del danno, oltre all’indennizzo dovuto.
Penale e patto di non concorrenza
Oltre alla risoluzione e al risarcimento del danno nel rispetto delle norme della responsabilità contrattuale, il mancato rispetto del patto di non concorrenza può anche comportare il pagamento di penali.
Come ogni altra clausola penale, questa è soggetta a giudizio di congruità da parte del giudice, che può anche decidere di ridurla.
La Cassazione è intervenuta su questa facoltà prevedendo l’apprezzamento in ordine alla eccessività dell’importo fissato con la clausola penale dalle parti contraenti per il caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui giudizio è incensurabile in sede di legittimità, se correttamente basato sulla valutazione dell’interesse del creditore all’adempimento con riguardo all’effettiva incidenza dello stesso sull’equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale, indipendentemente da una rigida ed esclusiva correlazione con l’entità del danno subito (sent. n. 22247 del 2021).
Aggirare il patto di non concorrenza è legale?
Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, la violazione del patto di non concorrenza comporta sia responsabilità contrattuale, con la possibilità di ottenere il risarcimento del danno e la risoluzione del contratto, sia l’erogazione di penali.
Quindi, in linea di principio, non è possibile aggirare il patto di non concorrenza, perché comporta inadempimento. Tuttavia, possiamo fare una precisazione.
Questo atto è circoscritto per oggetto, al fine di evitare forme di invalidità. Quindi, sono elencate le attività che non possono essere svolte, che possono essere sia le stesse mansioni a cui il soggetto è preposto nell’ambito del rapporto di lavoro, sia altre attività che si reputano lesive.
Tali limiti però rispondono a un principio di congruità del sacrificio richiesto, che viene in parte compensato con l’indennità. Tuttavia, un orientamento lo interpreta anche nel senso che non può essere precluso il diritto del lavoratore ad un inquadramento lavorativo superiore a quello che era in precedenza esercitato. Ciò, infatti, comporterebbe lesione del diritto di iniziativa lavorativa ed economica del soggetto, non consentendo la progressione lavorativa dello stesso.
Posso impugnare un patto di non concorrenza?
Il patto di non concorrenza può essere impugnato laddove ricorra una delle cause di nullità, cioè mancanza degli elementi essenziali che abbiamo elencato. Le ipotesi più comuni sono la mancanza del termine e dell’oggetto determinato, che viene individuato sia rispetto all’area geografica di operatività sia per le attività ritenute pregiudizievoli, elencate dal patto.
Come sottolineato già nei precedenti paragrafi, l’accordo può essere nullo anche nel caso in cui l’indennità non sia proporzionata al sacrificio. Talvolta, nel patto, sono inserite clausole che consentono la risoluzione unilaterale in caso di inadempimento o vizi: in questo caso non sarà possibile impugnare il patto. Recentemente la Cassazione ha disposto che queste clausole siano nulle.
L’art. 2125 cc prevede espressamente che il patto deve essere soggetto ad un termine certo, mentre in questo caso sarebbe totalmente rimesso all’arbitrio imponderabile del datore di lavoro. Quindi, si è concluso che lo scioglimento è ammesso solo quando consensuale tra le due parti.
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Posso non firmare un patto di non concorrenza?
Altra questione riguarda la firma del patto. Ci si chiede se sia necessaria la sottoscrizione da parte del datore di lavoro e del lavoratore.
La normativa sul patto di non concorrenza non parla di sottoscrizione. Tuttavia, questo è un contratto come qualsiasi altro. Quindi è soggetto anche alla disciplina generale del negozio giuridico. In questo caso, è necessario l’accordo di entrambe le parti che, essendo soggetto a forma scritta a pena di nullità, deve essere sottoscritto come qualsiasi altra scrittura privata.
Il patto può anche essere stipulato e sottoscritto all’esito del rapporto di lavoro. La giurisprudenza ha precisato poi che, se il lavoratore viene minacciato dal datore di lavoro, nel senso che se non conclude il patto è ritirata l’offerta di lavoro, è prevista l’annullabilità del negozio per vizio della volontà.
Tassazione patto di non concorrenza
Come abbiamo evidenziato nei precedenti paragrafi, il lavoratore percepisce un’indennità derivante dal patto di non concorrenza; se questo è erogato in busta paga, è considerato a tutti gli effetti ordinaria contribuzione dello stesso e sottoposto al relativo regime fiscale.
Tuttavia, la giurisprudenza della Cassazione ha precisato che, anche ove erogato a seguito del rapporto, come prestazione occasionale, questa è equiparata alla fattispecie precedente e, in quanto tale, sottoposta al relativo regime di tassazione.
Patto di non concorrenza – Domande frequenti
La forma scritta del patto di non concorrenza implica che l’accordo debba essere firmato.
Il patto di non concorrenza è nullo quando mancano gli elementi essenziali formali e sostanziali.
Il patto di non concorrenza deve avere un termine certo, che è massimo di 5 anni per i dirigenti, di 3 anni per tutti gli altri casi.
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