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Reato di riduzione in schiavitù: cosa prevede il Codice penale

Che cos'è il reato di riduzione o mantenimento in schiavitù? In questa guida ne abbiamo analizzato i tratti distintivi, individuando le differenze con la riduzione in servitù e lo sfruttamento del lavoro.

cosa si intende per riduzione in servitù?
  • La riduzione in schiavitù è un reato che punisce lo sfruttamento e l’assoggettamento del soggetto alla volontà altrui.
  • La riduzione in schiavitù si distingue da altre condotte come la riduzione in servitù e lo sfruttamento del lavoro.
  • Le condotte di riduzione in schiavitù, servitù e sfruttamento del lavoro presentano infatti tratti ben distinti.

La riduzione in schiavitù è stato qualificata come reato solo di recente nel nostro ordinamento. Tuttavia, la problematica è stata già da tempo attenzionata dalla giurisprudenza e dal legislatore sovranazionale.

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha vietato la riduzione o il mantenimento in schiavitù. In conseguenza, anche il legislatore interno ha avuto l’esigenza di introdurre una norma che preveda una sanzione penale per questa condotta.

La norma è stata introdotta con l’art. 600 c.p.. L’articolo in questione ha però punito diverse condotte: la riduzione in schiavitù, servitù e sfruttamento del lavoro. Nel seguente articolo, indicheremo le caratteristiche essenziali e gli elementi distintivi tra le fattispecie citate.

Cosa prevede il reato di riduzione o mantenimento in schiavitù?

Il reato di riduzione in schiavitù è previsto dall’art. 600 c.p. La norma dispone che:

Chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportino lo sfruttamento ovvero a sottoporsi al prelievo di organi, è punito con la reclusione da otto a venti anni.

La norma punisce due distinte condotte:

  1. in primo luogo, la norma punisce un reato di mera condotta, ovvero chi esercita su di una persona poteri assimilabili a quelli del diritto di proprietà;
  2. viene punita, poi, la riduzione mantenimento in schiavitù che si realizza causando nella vittima uno stato di soggezione continuativa, costringendola ad una serie di prestazioni che ne determinino lo sfruttamento.

La dottrina ritiene che tale seconda ipotesi sia da considerarsi quale reato di evento. Ha una struttura non dissimile da altre fattispecie previste dal legislatore, quali, per esempio, il reato di atti persecutori. Anche rispetto a questa fattispecie, il legislatore richiede che la condotta sia causa di un evento relativo al foro interiore della persona offesa.

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reato di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù
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Caratteristiche del reato di riduzione in schiavitù

La disciplina del reato di riduzione in schiavitù prevede alcune specifiche caratteristiche. Il carattere offensivo della condotta si ravvisa:

  • nell’offrire attività lavorativa che presuppone una prestazione gravosa e in condizioni ambientali disagiate con compenso inadeguato;
  • nel costringere a rendere prestazioni sessuali o accattonaggio o compimento di fatti illeciti.

Il reato è a consumazione istantanea. Esso, quindi, si consuma nel momento e nel luogo in cui viene posta in essere la situazione di assoggettamento o lo stato di soggezione continuativa. Si connota per abitualità, quindi si tratta di un reato abituale, perché si presume sia realizzato mediante il compimento di più atti.

Dal punto di vista dell’elemento soggettivo, si ritiene che sia richiesto il dolo generico, quindi, la coscienza e volontà di vessare e sfruttare la persona offesa.

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Qual è la condotta punita?

L’articolo 600 c.p. punisce sia la riduzione in schiavitù sia la servitù. La norma sanziona chiunque assoggetta una persona, ossia i poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà. Questa condotta è la schiavitù, cioè, una persona diventa cosa, viene trattata come se fosse una proprietà.

La condotta di chi riduce in schiavitù è quella di mantenere una persona in uno stato di soggezione continuativa costringendola a prestazioni lavorative e sessuali, ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che comportano lo sfruttamento

Poi la norma dice che riduzione e il mantenimento in soggezione si verificano quando il soggetto agisce con minaccia, violenza, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità psicofisica o di necessità. Costituisce una condotta di riduzione in schiavitù anche quella di chi costringe ad attività mediante la promessa di pagamento di denaro.

Una parte della dottrina afferma che la distinzione tra schiavitù e servitù non è più molto attuale. La schiavitù non avrebbe un grande margine applicativo nei moderni sistemi che non consentono la reificazione della persona e, quindi, che la persona sia oggetto di diritti proprietari.

In realtà, questo vale fino a un certo punto. La norma non punisce la proprietà in senso giuridico, ma il fatto che non è possibile esercitare un potere equivalente al diritto di proprietà sulla persona. Quindi, l’idea di base è che la persona non possa essere trattata come se fosse una cosa oggetto di proprietà.

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che cos'è la riduzione in schiavitù?

Differenze tra schiavitù e servitù

Nella servitù, la persona offesa non è completamente schiava. Si trova, invece, in una situazione in cui non ha concrete alternative esistenziali, ma può mantenere una libertà d’azione, una libertà personale. Può trattarsi anche di una persona che di fatto ha libertà personale e di muoversi, ma non ha libertà di scelta.

Per esempio, pensiamo a un clandestino che, a causa della condizione di clandestinità, è in una situazione di vulnerabilità. In questo caso, il reo potrebbe, con violenza e minaccia, costringerlo ad atti sessuali o attività di accattonaggio.

La schiavitù invece è diversa, perché è un’attività necessariamente continuata: lo schiavo è tale perché è reificato con una condotta che si protrae nel tempo. Non ha più una libertà di autodeterminazione, probabilmente non ha più neanche una libertà personale.

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Cos’è lo sfruttamento del lavoro

La condotta di riduzione in schiavitù e servitù si distingue anche dallo sfruttamento del lavoro. Nello sfruttamento di lavoro, la libertà di autodeterminazione (quindi di poter fare diversamente) è compressa, ma non è annullata. Quindi, la persona che viene sfruttata è un soggetto degradato che ha bisogno e del quale ci si approfitta, ma non è un soggetto che è totalmente assoggettato.

Ciò significa che, pur non essendo schiavo, non ha comunque alternative perché, per esempio, è stato privato dei documenti, perché è in qualche modo ricattato. Nello sfruttamento del lavoro c’è, dunque, una riduzione della libertà di scelta, dovuta all’essenza di effettive alternative lavorative.

La persona offesa nel reato di riduzione in servitù è un soggetto che, pur non essendo privato della libertà personale, ogni mattina si reca a lavoro, ma non ha scelta alternativa. Nel caso dello sfruttamento del lavoro, invece, la persona offesa ha una scelta, sia pure alterata dal bisogno economico in cui si trova. Quindi, non è soggiogato: è semplicemente un soggetto che è in stato di bisogno, e il reo ne approfitta per sfruttarlo.

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Riduzione in schiavitù – Domande frequenti

Che cos’è la riduzione in schiavitù?

La condotta di riduzione in schiavitù è lo sfruttamento e assoggettamento di un soggetto, che viene trattato come una cosa di proprietà del reo.

Che cos’è la riduzione in servitù?

La riduzione in servitù costituisce una condotta che implica uno sfruttamento, senza che la persona offesa sia del tutto priva della libertà.

Che cos’è lo sfruttamento del lavoro?

La condotta di sfruttamento del lavoro presuppone che il reo sfrutti uno stato di bisogno della persona offesa per imporgli un’attività lavorativa.

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Avv. Clelia Tesone
Avvocato civilista
Laureatasi in Giurisprudenza con la votazione di 110 e Lode presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” e con approfondita conoscenza delle materie del Diritto Civile e del Diritto Amministrativo. Ha brillantemente conseguito l’abilitazione alla professione di avvocato, a seguito dell’espletamento della pratica forense in diritto civile e il tirocinio ex art. 73 d.l. 69/2013 presso la Procura della Repubblica di Napoli Nord.
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