Molestie via social network: quando è reato
I social network hanno inciso su tanti aspetti della nostra vita quotidiana. Purtroppo hanno anche reso molto più semplice compiere reati, come diffamazione o atti persecutori, o porre semplicemente in essere condotte moleste e fastidiosi. Nel seguente articolo analizzeremo la fattispecie delle molestie via social.
- Le molestie via social sono molto aumentate negli ultimi anni, contestualmente a un altro fenomeno, ossia quello dell’aumento dei profili “fake”.
- Le molestie tramite social network sono state di recente al centro dell’attenzione della giurisprudenza. Ci si è chiesti se i messaggi via Facebook o Instagram possano integrare il reato di cui all’art. 660 c.p. (molestia o disturbo alle persone).
- Si ritiene che le molestie via social possano integrare anche altre condotte illeciti, differenti dalle molestie, come la diffamazione.
Cosa succede se si inviano con insistenza messaggi a qualcuno via Instagram o via Facebook? Non è un fatto poco comune ricevere messaggi indesiderati da utenti, magari sconosciuti, sui social network.
Questa condotta, piuttosto fastidiosa, può causare una serie di ripercussioni e integrare anche dei reati. Tuttavia, la giurisprudenza ha talvolta assunto delle posizioni discordanti sul tema.
Nel seguente articolo ti spieghiamo, in primo luogo, quali sono le principali cause che hanno determinato un considerevole aumento delle molestie via social. Infatti, la poca trasparenza di queste app incentiva, molto spesso, condotte illecite.
Dopodiché esamineremo la giurisprudenza della Cassazione sull’invio di messaggi mediante Facebook e Instagram, in relazione al reato di cui all’art. 660 c.p. Esamineremo, inoltre, quali altre fattispecie possono essere integrate laddove si inviino messaggi sgraditi o si pongano in essere altre condotte offensive mediante social network.
Molestie via social: come avvengono
A molti di noi sarà capitato di ricevere commenti insistenti, in genere non graditi, da qualche utente sui social network. Soprattutto negli ultimi tempi, si è sviluppato il fenomeno dei profili fake, cioè contatti che non sono direttamente riconducibili all’identità di una persona. Può quindi accadere di non conoscere chi sia il nostro persecutore, che ci scrive per esempio messaggi ed insulti su Instagram. Proprio per questa ragione, i gestori dei social network sono corsi ai ripari.
Già da tempo Facebook impone di inserire nome e cognome (talvolta anche il numero di cellulare) per iscriversi. Poi, se cambi spesso nome utente, ti può chiedere anche l’identificazione mediante carta di identità. Per Instagram ci sono regole più blande, anche perché ti consente di creare un numero indeterminato di account.
Tuttavia, proprio a partire dallo scorso anno, l’app consente di bloccare l’utente e ogni altro account creato dal medesimo. La regola, in realtà, è facilmente aggirabile. È infatti sufficiente inserire un’email diversa al momento dell’iscrizione su Instagram. L’algoritmo dell’app non ti riconoscerà come lo stesso utente. Queste piccole lacune di sistema hanno quindi favorito il proliferare di account falsi, talvolta incentivando anche reati.
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Utenti fake e interventi dell’Unione europea
Proprio per tale ragione, a livello europeo si sta meditando di introdurre regole più severe per la gestione dei social network. Per esempio, con ogni probabilità, per iscriversi al social si imporrà la regola di inserire la carta di identità. Inoltre, gli account già esistenti, che non procederanno all’identificazione con documento di identità, saranno definitivamente cancellati.
Molti stanno criticando tale scelta, perché potrebbe indurre a una considerevole riduzione degli utenti delle piattaforme che, come sappiamo, oggi vengono impiegate anche per attività commerciali, imprenditoriali e pubblicitarie.
Come spiegano da Meta (società proprietaria di Facebook, Instagram e WhatsApp) in realtà gli account falsi sono un peso dal punto di vista economico per le piattaforme, non comportando alcun ritorno economico, giacché appunto può accadere che più account siano riconducibile a un unico utente fisico.
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Infatti, ogni gestore di social network ha dei dipartimenti di controllo che periodicamente verificano quali sono gli utenti attivi e quali sono gli utenti non attivi, procedendo ad eliminare gli account di utenti non attivi.
Avrai probabilmente già sentito notizie del tipoKim Kardashian perde 5 milioni di utenti su Instagram. Ecco, in realtà, non sono gli utenti che per qualsiasi ragione smettono di seguire la star di turno, ma è Meta che provvede a cancellare gli utenti non attivi.
Tale scelta di cancellare account è sia finalizzata a rendere più trasparenti i social, sia a migliorare le prestazioni e la velocità, eliminando gli account parassiti. Quindi, tutto sommato, anche questa scelta dell’Unione europea, anche se ha fatto storcere il naso a qualcuno, ha molti vantaggi poiché:
- garantisce una maggiore trasparenza, prevenendo fenomeni criminali tramite social network;
- aiuta i gestori delle app di comunicazione a migliorare le prestazioni e a ridurre gli adempimenti derivanti dall’esigenza di cancellare gli account non attivi.
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Molestie via social: cosa dice la Cassazione?
In tema di molestie via social è intervenuta anche la Cassazione, per cercare di stabilire che reato integra. Ricordiamo, infatti, che il reato di molestie in quanto tale, previsto dall’art. 660 c.p. prevede che:
Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito, a querela della persona offesa, con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516. Si procede tuttavia d’ufficio quando il fatto è commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità.
La domanda che ci si è posti era se anche le molestie via social rientrino in questa fattispecie, giacché la norma punisce le molestie:
- in luogo pubblico o aperto al pubblico;
- o tramite telefono.
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Elementi costitutivi del reato di molestie
Per stabilire se le molestie via social integrano il reato di cui all’art. 660 c.p. dobbiamo fare una breve ricapitolazione della fattispecie in esame. Ai fini della configurazione del reato di molestie è necessaria un’intrusione nell’altrui sfera personale connotata da una significativa estensione temporale.
La petulanza, richiamata dalla norma, si sostanzia in un atteggiamento di insistenza fastidiosa, arrogante invadenza, intromissione inopportuna e continua. Il biasimevole motivo, pur diverso dalla petulanza, è ugualmente riprovevole in se stesso o in relazione alla persona molestata.
La sussistenza di tali presupposti va verificata in concreto con riferimento all’elemento costitutivo che connota la condotta dell’agente che deve essere, appunto, realizzata per petulanza o altro biasimevole motivo.
Inoltre, si deve ritenere configurabile il reato anche se l’agente esercita, o crede di esercitare, un proprio diritto, in modo tale, tuttavia, da rivelare l’esistenza di uno specifico malanimo. Deve però essere escluso il reato quando la condotta si sostanzia nell’esercizio del diritto e viene solo percepita dal destinatario come molesta, fastidiosa, se strumentale all’esercizio del diritto. Quindi, in sostanza, la condotta non deve avere questo rapporto di strumentalità con l’esercizio del diritto.
Per esempio, la Cassazione ha escluso si potesse costituire il reato di molestie in un caso particolare, dove al soggetto agente era stato in parte precluso di usufruire di una servitù di passaggio per accedere all’area condominiale di parcheggio. In questo caso, la Corte ha escluso che si trattasse di molestia la condotta dell’agente consistente nel lasciare alzata la sbarra elettronica installata all’ingresso, ciò perché comunque la condotta risultava strumentale all’esercizio del diritto.
È necessario, poi, che siano poste in essere plurime condotte di disturbo, quali:
- l’invio di messaggi scritti telefonici, SMS, a contenuto offensivo, in rapida successione e in ora diurna;
- lo squillo ripetuto dell’apparecchio telefonico;
- l’ossessivo riferimento mediante messaggi ad abitudini sessuali.
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Luogo pubblico o aperto al pubblico e mediante mezzo telefonico
Infine, fondamentale all’esame delle molestie via social è capire cosa si intenda per luogo pubblico o aperto al pubblico e mediante mezzo telefonico.
Un luogo pubblico o aperto al pubblico è qualsiasi luogo a cui può accedere un soggetto o in qualsiasi momento – luogo pubblico – o in determinati momenti oppure limitatamente ad alcune categorie – aperto al pubblico. Per esempio, la giurisprudenza ha considerato come luoghi aperti al pubblico anche l’androne di un palazzo condominiale.
Le molestie mediante mezzo telefonico sono sia quelle perpetrate mediante chiamate sia messaggi (SMS). Non è invece considerata molestia mediante mezzo telefonico l’invio di email, perché il destinatario può decidere di non accedere all’email – quindi la condotta è priva del carattere di invasività. L’uso della messaggistica elettronica non costituisce comunicazione telefonica, né è assimilabile ad essa.
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Molestie via social: il caso esaminato dalla giurisprudenza
Il caso esaminato dalla Cassazione di molestie via social aveva come protagonista una madre che aveva contattato i figli naturali via Facebook e Instagram, inviando messaggi anche ai genitori adottivi.
La donna era stata condannata in secondo grado per il reato di molestie e disturbo della persona, per poi proporre ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ha però annullato senza rinvio la sentenza in questione, quindi ha prosciolto la donna dalle accuse.
La Cassazione ha, infatti, ritenuto che non fossero integrati gli elementi della fattispecie tipica del reato di molestia. In particolare, ha ritenuto che nel caso delle molestie tramite telefono, la condotta molesta è improvvisa e indipendente dalla volontà del destinatario.
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La natura molesta della condotta deriva da:
- l’istantaneità della comunicazione molesta;
- la circostanza che essa giunga in un momento improvviso non regolabile dal soggetto che riceve la comunicazione;
- dal fatto che risulti accessorio il mezzo utilizzato – per esempio è integrato il reato di molestie anche quando si utilizzano SMS. Inoltre è una condotta a dolo specifico, cioè l’agente deve essere mosso da petulanza o da altro biasimevole motivo.
Queste caratteristiche non sono riscontrate dalla giurisprudenza nel caso dei messaggi via Facebook. Ciò è stato detto in base all’osservazione per cui le notifiche dei messaggi in arrivo possono essere attivate per scelta libera dal soggetto che le riceve.
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Le molestie via social possono integrare altri reati?
Ciò detto, dobbiamo però osservare che le molestie via social possono integrare altri reati diversi da quello dell’art. 660 c.p. Quali sono? Le condotte reiterate e i messaggi invasivi possono per esempio integrare il reato di atti persecutori.
La fattispecie in questione, infatti, è un reato di evento, quindi può essere integrato da:
- condotte reiterate, consistenti in almeno due atti;
- che creano uno stato di ansia o turbamento nella persona offesa, comportano un mutamento delle abitudini di vita o pericolo per l’incolumità propria o di altri soggetti.
Quindi, se integrate tali condizioni, non è possibile escludere che il reato di atti persecutori venga integrato, non necessitando l’accertamento di ulteriori elementi quali la condotta petulante o altro biasimevole motivo.
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Si possono, poi, valorizzare alcune caratteristiche concrete della condotta, come offese, anche pubbliche, oppure richieste sessuali, invio di foto ritraenti parti intime, ecc.
La condotta di molestie talvolta integra anche il reato di diffamazione. Per esempio, è piuttosto frequente che l’agente, per arrecare un nocumento ad altri, offenda sulla propria pagina social, o sulla pagina altrui, la persona offesa. In questo caso, la giurisprudenza ha ritenuto che sia integrata la condizione fondamentale della diffamazione, cioè l’aver comunicato l’offesa a più persone.
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Molestie via social – Domande frequenti
L’invio di messaggi via Facebook e Instagram non integra il reato di cui all’art. 660 c.p., perché questo presuppone una condotta invasiva dell’agente che non può essere bloccata da parte del destinatario.
Le molestie via social possono integrare altri reati, come il reato di atti persecutori oppure il reato di diffamazione.
Le condotte moleste via social sono considerevolmente aumentate a causa dello scarso controllo dei social, che consentono la creazione di account fake, cioè non immediatamente riconducibili a determinate persone.
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