Riforma pensioni Quota 103: cosa significa e come funziona

Una domanda piuttosto gettonata quando si parla di pensionamento è quella relativa alla possibilità di continuare a lavorare dopo la pensione.
Sono in molti, infatti, a chiedersi come se sia possibile il trattenimento in servizio fino a 70 anni, fino a che età si può lavorare nel pubblico impiego o ancora come funziona il licenziamento per raggiunti limiti di età pensionabile.
Vediamo di seguito quali sono le possibilità offerte dalla legge italiana e fino a che età si può lavorare.
La Riforma Fornero ha portato all’introduzione di una novità all’interno del sistema pensionistico italiano, la quale prevede la possibilità di continuare a lavorare anche oltre l’età pensionabile.
Nonostante il lavoratore abbia il diritto di svolgere la propria attività anche dopo aver raggiunto di requisiti minimi di accesso alla pensione, non si tratta di un automatismo che può essere pretesto.
Nello specifico, la sentenza n. 20089 del 30 luglio 2018 della Corte di Cassazione ha stabilito che è possibile il trattamento in servizio fino a 70 anni ma solo in presenza di un comune accordo tra il lavoratore e il suo datore di lavoro.
Come anticipato nelle righe precedenti, la Riforma Fornero non ha concesso al lavoratore il diritto di poter stabilire in modo unilaterale di poter continuare a lavorare una volta raggiunti i requisiti pensionistici.
Anche nelle sentenza n. 17589 del 2015, infatti, le Sezioni Unite hanno confermato che le disposizioni contenute nella Riforma Fornero, nonostante incentivino la prosecuzione dell’attività lavorativa dopo i 70 anni, non prevedono un diritto soggettivo del lavoratore, il quale non potrà decidere indipendentemente da quella che è la volontà del suo datore di lavoro.
Si legge infatti che la legge Fornero “non attribuisce al lavoratore un diritto di opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro, né consente allo stesso di scegliere tra la quiescenza o la continuazione del rapporto, ma prevede solo la possibilità che, grazie all’operare di coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di settanta anni, si creino le condizioni per consentire ai lavoratori interessati la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i limiti previsti dalla normativa di settore”.
L’articolo 24, comma 4 del DL 201/2011 ha, dunque, semplicemente garantito la possibilità di poter proseguire la propria attività lavorativa fino a 70 anni al fine di ottenere un assegno pensionistico più elevato e compensare in qualche modo gli effetti del sistema di tipo contributivo.
Allo stesso modo, nei casi in cui l’età pensionabile sia inferiore ai 67 anni, esiste, ai sensi dell’articolo 6 della legge 26 febbraio 1982, n. 54, la possibilità di poter richiedere la prosecuzione del rapporto di lavoro fino a 65 anni di età.
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Fino al raggiungimento dell’età pensionabile – che attualmente corrisponde ai 67 anni – il dipendente gode della protezione prevista dallo Statuto dei Lavoratori contro il licenziamento illegittimo.
La situazione cambia nel momento in cui si raggiungono i requisiti anagrafici e contributivi necessari per la pensione di vecchiaia: ha quindi inizio la libera recedibilità del rapporto di lavoro, ovvero la possibilità di procedere con il licenziamento ad nutum.
Il licenziamento non è invece previsto nei casi in cui il lavoratore abbia maturato i requisiti previsti per la pensione anticipata, come per esempio Quota 100. In tale ipotesi, dunque, la garanzia di stabilità non viene meno e il licenziamento ad nutum non è possibile.
Nel caso dei dipendenti pubblici il limite di permanenza in servizio corrisponde a 65 anni: in questa casistica è possibile superare tale limite solo per raggiungere il primo diritto a pensione, ma in linea generale quanto previsto dalla legge Fornero non è valido.
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La pensiona d’ufficio è quella che riguarda i dipendenti pubblici, il cui requisito anagrafico corrisponde a 65 anni.
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