Bidello palpeggia studentessa: è violenza sessuale?
Il bidello che ha palpeggiato la studentessa per meno di 10 secondi, davvero non ha compiuto reato di violenza sessuale? Quali sono le motivazioni del tribunale di Roma? Cosa afferma invece la Cassazione? Abbiamo analizzato la questione per voi.
- Il tribunale di Roma ha assolto in base alla formula il fatto non sussiste il bidello che ha palpeggiato una ragazza per meno di 10 secondi.
- Il reato di violenza sessuale è disciplinato all’art. 609 c.p. e prevede la sanzione per qualsiasi atto sessuale privo di consenso.
- La decisione del Tribunale, alla luce della disposizione e della giurisprudenza di Cassazione, ha sollevato alcuni dubbi interpretativi.
Il caso del bidello che ha palpeggiato una studentessa di un istituto scolastico ha fatto molto discutere negli ultimi giorni. Anche sui social network sono stata avviate campagne di protesta poiché il fatto ha molto colpito l’opinione pubblica.
Nel seguente articolo, cercheremo di descrivere qual è il caso su cui si è pronunciato il Tribunale di Roma. Spiegheremo le ragioni principali, dopodiché tenteremo di verificare se la decisione sia compatibile con il dato letterale della norma e con la giurisprudenza di Cassazione.
- Bidello palpeggia una ragazza: non è molestia?
- Quando è violenza sessuale?
- Le caratteristiche del reato di violenza sessuale
- Violenza sessuale: i casi di minore gravità
- Toccare il sedere di un’altra persona: il caso concreto
- Violenza sessuale: quanto conta la durata?
- Violenza sessuale: è necessaria concupiscenza?
Bidello palpeggia una ragazza: non è molestia?
Il Tribunale di Roma, gli scorsi giorni, ha emesso una sentenza che ha suscitato non poco clamore, destando anche reazioni avverse dell’opinione pubblica. Il caso aveva ad oggetto fatti dell’aprile 2022, che vedevano come protagonista un bidello di una scuola romana.
Mentre i ragazzi, alunni dell’istituto scolastico, salivano le scale, avrebbe palpeggiato per pochi istanti una studentessa diciassettenne. La ragazza racconta di aver sentito una mano nei pantaloni, sotto gli slip e di avere poi avvertito la stessa mano toccarle i glutei e le afferrarle le mutandine, per poi sollevarle di due centimetri.
La ragazza si è girata, vedendo l’uomo, e si è allontanata, senza proferire parola. Il bidello, dal suo canto, ha, invece, affermato: “Amo’, lo sai che scherzavo”. La difesa del bidello si incentra proprio sullo “scherzo”, sostenendo che non c’è concupiscenza dell’uomo.
Il pubblico ministero aveva, invece, richiesto una condanna per violenza sessuale di 3 anni e 6 mesi di reclusione. Il bidello, durante il processo, ha affermato che la condotta era parzialmente diversa e di non aver mai messo le mani sotto i pantaloni.
I giudici, però, credono alla ricostruzione della minore, ma ritengono che il palpeggiamento, non superando i pochi secondi, comunque non oltre i 10 secondi, non denota concupiscenza. Si tratterebbe di una manovra maldestra, che non integra il reato.
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Quando è violenza sessuale?
Cerchiamo di ricostruire insieme le caratteristiche significative del reato di violenza sessuale, per capire se la decisione dei giudici sia plausibile oppure no.
Per stabilire se un palpeggiamento è una violenza sessuale, si devono tenere in considerazione molti fattori, tra cui:
- la volontarietà del gesto;
- la sua durata;
- le modalità insidiose in cui è stato compiuto;
- i motivi che hanno indotto a compiere l’azione;
- come è stata percepita e rilevata dalla persona che ha subito il gesto.
Le caratteristiche del reato di violenza sessuale
Il reato di violenza sessuale è disciplinato all’art. 609 c.p.; nei successivi articoli vi sono diverse forme di violenza o atti di libidine, anche con minori.
La condotta penalmente rilevante è:
- da un lato la c.d. violenza per costrizione, che si realizza impiegando, appunto, violenza, minaccia o abuso di autorità;
- da altro lato, la c.d. violenza per induzione, in cui il disvalore della condotta si incentra sull’abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa, o dall’inganno della vittima che il colpevole ottiene sostituendosi ad altra persona.
La disposizione, poi, fa un generico riferimento agli atti sessuali, che ha comportato un ampio dibattito per stabilire che cosa essi siano.
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Ad oggi, sono considerati atti sessuali tutti quegli atti che normalmente sono idonei a compromettere l’altrui sfera di autodeterminazione sessuale, nei limiti della “normalità”. Con normalità si intende che siano esclusi quegli atti morbosi e maniacali che, però, secondo il comune sentire non sono a carattere sessuale.
Per esempio, spesso la giurisprudenza ha escluso che condotte di voyeurismo o autoerotismo ed esibizionismo costituiscano atti sessuali, se non c’è un rapporto corporeo diretto. Di recente, però, questo orientamento è stato messo in dubbio dalla giurisprudenza, che ha ammesso che anche atti di autoerotismo potrebbero integrare atti sessuali perseguibili.
Il reato è doloso, quindi è richiesto il dolo generico, cioè la coscienza e volontà di compiere un atto invasivo della libertà sessuale di una persona non consenziente. Non è rilevante l’ulteriore fine del soggetto agente (Cass. Pen. Sez. III 17 aprile 2013, n. 2754).
Dobbiamo poi chiederci:
- quando la condotta è violenta o minacciosa;
- quando c’è abuso di autorità;
- quando c’è abuso delle condizioni di inferiorità.
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1. Quando la condotta è violenta o minacciosa
Per quanto riguarda invece gli ulteriori elementi costitutivi della violenza per costrizione, partendo dalla violenza e minaccia, questi rappresentano tradizionalmente gli strumenti attraverso i quali si porta a compimento una condotta di limitazione dell’altrui libertà sessuale.
La giurisprudenza, peraltro, interpreta questo concetto non in senso assoluto, mostrando di ritenere integrati gli estremi dell’illecito anche al cospetto di forme di violenza morale e di intimidazione psicologica, che compromettano, anche senza annullare totalmente, la libertà di autodeterminazione della vittima.
Per esempio, è stato ricompreso nel concetto di violenza l’approfittamento dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza della vittima, quando la violenza è maturata in ambito familiare. L’idoneità della violenza o della minaccia va valutata secondo criteri concreti, in base alle circostanze del caso.
Quindi, l’intimidazione psicologica può anche essere attuata in situazioni particolari che inibiscono il processo mentale del soggetto leso. In realtà, il requisito della violenza è stato molto criticato. Secondo un orientamento, il concetto di violenza non va inteso nel senso ristretto. Si dovrebbe ritenere che vi è violenza quando manca un consenso validamente espresso.
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2. Quando c’è abuso di autorità
Per quanto riguarda, invece, l’abuso di autorità, questo concetto comprende ogni forma di abnorme approfittamento di una posizione di supremazia nei riguardi della vittima. Il concetto di autorità non è da intendersi come “pubblica autorità”.
Con autorità si intende qualsiasi rapporto su subordinazione esistente, in ogni contesto, sia lavorativo sia familiare. Può anche essere un abuso derivante da un rapporto di coabitazione o ospitalità. Non è, quindi, una posizione di autorità di tipo formale e pubblicistico.
3. Quando c’è abuso di condizioni di inferiorità
Una seconda modalità di attuazione del reato è quella della violenza induttiva, che, in genere, si sostanzia in abuso di condizioni di inferiorità psichica o fisica.
La condotta induttiva è l’approfittamento delle particolari condizioni in cui viene a trovarsi il soggetto passivo e non già nell’intrattenimento di rapporti sessuali con persona malata di mente o in stato di menomazione fisica sul presupposto della sua incapacità a consentire al rapporto sessuale.
Lo stato di inferiorità non si ravvisa solo nei casi di menomazioni o patologie, sia fisiche sia psichiche. L’induzione, a differenza della costrizione e dell’abuso, presuppone anche un’opera di persuasione mediante la quale il soggetto passivo viene convinto a compiere o subire l’atto sessuale. L’abuso consiste nella distorta utilizzazione delle condizioni di menomazione dell’agente.
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Violenza sessuale: i casi di minore gravità
Per altro verso, l’esigenza di mitigare la particolare severità del trattamento sanzionatorio (che comporta una sanzione detentiva compresa tra i 5 e i 10 anni) ha indotto il legislatore a introdurre una riduzione della pena per i casi di minore gravità. Tuttavia, stabilire quando si ha questa ipotesi è assai complesso, la formulazione della norma appare anche molto generica.
Al fine di stabilire se si tratti di fatti di minore gravità, si tengono in considerazione una serie di fattori:
- il grado di compressione della libertà sessuale della vittima;
- la valutazione globale del fatto;
- il dato soggettivo dell’agente;
- il grado di coartazione esercitato;
- l’età della vittima;
- il danno arrecato;
- le condizioni fisiche e psichiche;
- la reiterazione della condotta.
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Toccare il sedere di un’altra persona: il caso concreto
Ciò posto, possiamo ora procedere ad un’analisi del fatto concreto alla luce delle caratteristiche salienti del reato di violenza sessuale.
In particolare, la decisione del Tribunale di Roma si fonda su due fattori:
- la repentinità del fatto, quindi la circostanza che il palpeggiamento sia durato pochi secondi;
- l’assenza di concupiscenza, cioè non vi era desiderio sessuale dell’uomo, ma il suo era un mero “scherzo”.
Violenza sessuale: quanto conta la durata?
Dall’esame del reato di violenza sessuale e dalla relativa giurisprudenza di Cassazione, può essere desunta una serie di conclusioni, soprattutto per quanto riguarda la durata dell’atto.
La norma, in primo luogo, non fa alcun riferimento alla durata dell’atto. Rispetto alla questione dalla disposizione non si evince l’esigenza che sia garantita una durata minima dell’atto stesso. Proprio per questa ragione che si ricordano alcune pronunce, di cui una sullo schiaffo alle natiche, altre su contatti fugaci.
In queste circostanze, è stato evidenziato che la durata è del tutto irrilevante, purché l’atto sia direzionato verso zone erogene. Dunque, può anche essere fugace e repentino, proprio come uno schiaffo.
Pertanto, i palpeggiamenti assumono rilievo penale anche se “a mano morta” o anche quando il soggetto è vestito. Dunque, la circostanza che il palpeggiamento avvenga sopra i vestiti è del tutto irrilevante ai fini della punibilità del fatto.
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Violenza sessuale: è necessaria concupiscenza?
Un altro fattore preso in considerazione dal Tribunale di Roma è l’assenza di concupiscenza, che comporterebbe il venir meno dell’elemento soggettivo del dolo. Il bidello, infatti, avrebbe posto in essere la condotta per mero “scherzo”, quindi non vi è nessun interesse di carattere sessuale nell’atto.
Anche questo passaggio si pone, in realtà, in contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza di Cassazione e anche con il dato letterale della norma. Infatti, l’art. 609 c.p. non richiede che vi sia desiderio sessuale dell’agente, ma solo la volontà della condotta.
La stessa Cassazione, in più occasioni, ha sostenuto che è del tutto irrilevante che l’atto sia posto in essere per mero scherzo. Di recente, si è occupato proprio di un caso di atto su un minore, ad opera del padre, che aveva palpeggiato il figlio, in segno di orgoglio paterno.
La difesa aveva sostenuto che mancasse l’elemento soggettivo, perché l’atto non era stato compiuto al fine di soddisfare un desiderio sessuale. Tuttavia, Anche in questa occasione la Cassazione ha affermato che non è necessario il desiderio sessuale. È sufficiente infatti che l’atto sia diretto verso zone erogene e possa limitare la libertà sessuale del destinatario.
Si è trattata di violenza sessuale?
In conclusione, dopo aver esaminato la norma e la relativa giurisprudenza, possiamo trarre alcune conclusioni. In base a quanto affermato dalla stessa Cassazione, anche la condotta che sia fugace e non mossa da desiderio sessuale, può comunque costituire reato. Potrebbe al più costituire un’ipotesi meno grave di violenza sessuale.
Reato di palpeggiamento – Domande frequenti
Il reato di violenza sessuale viene punito con la reclusione da 6 a 12 anni.
Secondo il Tribunale di Roma il bidello non ha commesso violenza sessuale perché non vi era desiderio sessuale e il palpeggiamento è durato meno di 10 secondi.
Per la cassazione, la durata e la concupiscenza non escludono la configurabilità del reato di violenza sessuale.
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