Dipendente prolunga la pausa pranzo: il licenziamento è legittimo
Cosa prevede la Giurisprudenza nel caso in cui un dipendente prolunghi la pausa pranzo del pomeriggio: il licenziamento può essere considerato legittimo? Analizziamo un caso concreto.
La sentenza n. 18283 della Corte di Cassazione del 2019 ha stabilito la legittimità del licenziamento di un dipendente che aveva prolungato un po’ troppo la sua pausa pranzo. Casi come quello appena citato rientrano nell’elenco delle tipologie di licenziamenti legittimi che sono stati approvati nel corso del tempo dalla Giurisprudenza.
Ci sono state sentenze relative a situazioni diverse fra loro nelle quali il licenziamento disciplinare è stato considerato legittimo: per esempio, quelle relative alla divulgazione di materiale aziendale da parte dei dipendenti o casi nei quali c’è stato un comportamento eccessivamente negligente.
Vediamo nello specifico qual è stata la dinamica della sentenza n. 18283/2019 e analizziamo più nel dettaglio cosa è previsto dalla legge italiana a proposito del licenziamento legittimo di tipo disciplinare, che può essere un licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo.
- Dipendente licenziato per pausa pranzo prolungata: la sentenza n. 1823/2019
- Licenziamento legittimo: differenza tra giusta causa e giustificato motivo soggettivo
- Licenziamento legittimo per assenze ingiustificate dal lavoro
- Licenziamento legittimo per negligenza o per scarso rendimento
- Licenziamento legittimo di tipo disciplinare: è possibile contestarlo?
Dipendente licenziato per pausa pranzo prolungata: la sentenza n. 1823/2019
Il caso in questione ha coinvolto un lavoratore di Poste Italiane che era stato licenziato per giusta causa. Il dipendente aveva perso il lavoro in quanto non solo aveva allungato eccessivamente i tempi destinati alla sua paura pranzo, ma aveva anche lasciato incustodita la posta e il mezzo in dotazione, e non aveva consegnato due plichi.
Il dipendente aveva quindi deciso di fare ricorso in Cassazione, facendo appello al contratto collettivo nel quale è prevista una sanzione fino a 10 giorni per punire comportamenti come il suo, ovvero i casi di negligenza o inosservanza agli obblighi di servizio. Secondo il ricorrente, dunque, la sua condotta rientrava nella categoria di negligenza e non meritava di essere soggetta al licenziamento.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del dipendente in quanto il comportamento messo in atto dal lavoratore aveva già assunto maggiore gravità poiché, come indicato dalla Corte d’Appello:
- la sua assenza era stata notata anche dalla collettività al punto tale che era stato addirittura presentato un esposto contro il malfunzionamento del servizio dagli abitanti della zona interessata;
- nel tempo speso in pausa pranzo, il dipendente avrebbe potuto invece consegnare tutta la posta e completare le sue mansioni.
Oltre a quello appena esposto, quali sono i casi nei quali è possibile il licenziamento legittimo, per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, nel nostro Paese? Vediamo come funziona e quali sono i più frequenti.
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Licenziamento legittimo: differenza tra giusta causa e giustificato motivo soggettivo
In base a quanto contenuto nel contratto di lavoro, un datore di lavoro ha il diritto di applicare delle sanzioni al proprio dipendente nel caso in cui il suo comportamento non sia conforme a quanto fissato dai vincoli contrattuali. Il licenziamento legittimo è la pena più grave alla quale un dipendente può andare incontro.
Si parla, in questi casi, di licenziamento disciplinare, il quale consiste in una sanzione non conservativa, nel senso che, con la sua applicazione, il dipendente non conserva il suo posto di lavoro. Il licenziamento disciplinate coincide, nella pratica, nella conclusione del rapporto di lavoro per motivi che sono legati al comportamento del dipendente, la cui gravità ha provocato la perdita di fiducia da parte del datore di lavoro.
Il licenziamento disciplinare può avvenire:
- per una giusta causa, ovvero da una motivazione così grave da rendere impossibile la prosecuzione di un rapporto lavorativo, come per esempio il caso di un dipendente sorpreso a rubare;
- per giustificato motivo soggettivo, ovvero nei casi in cui gli inadempimenti contrattuali del lavoratore sono notevoli al punto da creare un danno a un interesse del datore di lavoro e relativi a un obbligo previsto dal contratto, che non viene rispettato.
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Licenziamento legittimo per mancato rispetto di una direttiva
Ci sono dei casi nei quali, in base a quanto affermato negli anni dalla Giurisprudenza, il licenziamento per mancato rispetto di una direttiva può essere considerato legittimo.
Si tratta per esempio di quando:
- il lavoratore si rifiuti ripetutamente e senza dare giustificazioni di andare in trasferta, specialmente qualora le attività aziendali fossero di tipo internazionale e le trasferte costituissero una parte fondamentale delle proprie mansioni;
- il lavoratore si rifiuti di svolgere lo straordinario e abbia reazioni fisiche e verbale nei confronti del proprio responsabile;
- il lavoratore si rifiuti di lasciare il posto di lavoro nonostante sia stato sospeso dal servizio e non riceva più una retribuzione.
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Licenziamento legittimo per assenze ingiustificate dal lavoro
Il licenziamento disciplinare è legittimato anche per assenza ingiustificata dal lavoro e può consistere:
- in un giustificato motivo soggettivo, se il dipendente si rifiuta di recarsi sul posto di lavoro in quanto non è intenzionato a svolgere mansioni di livello inferiore, a parità di stipendio;
- in una giusta causa, se il dipendente non comunica all’azienda l’insorgere di una necessità che gli renda impossibile recarsi sul posto di lavoro, ma anche nel caso in cui comunichi false informazioni fiscali.
È possibile rischiare di essere licenziati per giusta causa o per giustificato motivo anche nel caso di:
- falsificazione di dati e documenti aziendali;
- semplice divulgazione di dati e documenti aziendali.
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Licenziamento legittimo per negligenza o per scarso rendimento
Il licenziamento disciplinare è legittimo anche nei casi di negligenza, che possono consistere, per esempio, nella mancata custodia di un bene aziendale, come un PC, oppure nel non aver comunicato all’azienda informazioni di una certa rilevanza.
Altro caso ancora è quello in cui si viene licenziati a causa dello scarso rendimento, ovvero quando, a causa del proprio atteggiamento sul lavoro, viene registrata una certa discrepanza tra gli obiettivi che si dovrebbero raggiungere e quanto effettivamente realizzato da parte del lavoratore.
Lo scarso rendimento può essere legato a motivazioni differenti, come:
- la negligenza sul lavoro;
- un numero di giorno di assenza per malattia ripetuto ed eccessivo.
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Licenziamento legittimo di tipo disciplinare: è possibile contestarlo?
Il licenziamento di un dipendente non può avvenire in forma orale, altrimenti è considerato nullo. Deve essere sempre messo per iscritto in modo tale da poter dare al lavoratore la possibilità di leggere le motivazioni contenute nella comunicazione.
Ogni lavoratore ha il diritto di contestare le ragioni alla base di un licenziamento disciplinare entro 60 giorni di tempo dalla notifica della comunicazione. Può farlo tramite PEC o raccomandata. Se nei 180 giorni successivi il datore di lavoro non ritira il licenziamento, allora il lavoratore può depositare il suo ricorso presso la cancelleria del Tribunale.
A questo punto:
- può essere richiesta la conciliazione: se il datore di lavoro si rifiuta di partecipare, dovrà essere presentato il ricorso entro 60 giorni dal rifiuto;
- se la conciliazione non dovesse avere esito positivo, si deve presentare ricorso entro 60 giorni dal verbale di mancata conciliazione.
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Nel caso in cui il Giudice dovesse dare ragione al lavoratore, giudicando il licenziamento disciplinare illegittimo:
- per i contratti di lavoro iniziati prima del 7 marzo 2015, il datore di lavoro sarebbe tenuto sia a reintegrare il dipendente in servizio, sia a versare al lavoratore un’indennità compresa fra 12 e 24 mensilità;
- per i contratti a tutele crescenti firmati dopo il 7 marzo 2015, invece, in caso di illegittimità del licenziamento il datore di lavoro sarebbe tenuto a pagare due mensilità per ogni anno di anzianità, per un minimo di 4 mensilità e un massimo di 24;
- nelle aziende con più di 15 dipendenti, il minimo diventa di 6 mensilità, mentre il massimo di 36. Non a caso, secondo la Corte Costituzionale, oltre all’anzianità possono essere presi in considerazione anche altri parametri, quali le dimensioni dell’azienda o eventuali carichi di famiglia.
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Licenziamento legittimo – Domande frequenti
Il licenziamento disciplinare, che pone immediatamente fine a un rapporto di lavoro, può avvenire per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo. In questi casi, il lavoratore non ha diritto al termine di preavviso previsto invece in altri casi.
La sentenza n. 18283/2019 della Corte di Cassazione ha dichiarato la legittimità del licenziamento nel caso in cui un dipendente faccia una pausa pranzo prolungata, venendo meno così ai suoi adempimenti lavorativi che avrebbe invece potuto portare a termine nel tempo in più dedicato al pranzo.
Il lavoratore licenziato per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo ha il diritto di opporsi alla comunicazione di licenziamento ricevuta inviando una richiesta al proprio datore di lavoro. Nel caso in cui la richiesta venisse ignorata, ha la possibilità di fare ricorso presso la cancelleria del Tribunale.
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