Lavori non eseguiti: quando si ricorre al decreto ingiuntivo?
Nel caso di lavori eseguiti male o non eseguiti, cosa può fare il committente? L'ordinamento prevede una serie di rimedi a disposizione della parte danneggiata. In particolare, nel seguente articolo, ci chiediamo quando ricorrere al decreto ingiuntivo.
- Il contratto di appalto prevede l’onere dell’appaltatore di eseguire correttamente la prestazione e consegnare l’opera priva di vizi.
- Nel caso in cui l’appaltatore sia inadempiente a questa obbligazione, il committente ha la facoltà di risolvere il contratto.
- In caso di lavori mal eseguiti, a specifiche condizioni, è possibile anche ricorrere al decreto ingiuntivo.
Quante volte vi è capitato di far eseguire dei lavori, ma questi risultano poi essere stati eseguiti male? Il contratto di appalto prevede una specifica disciplina dei vizi dell’opera, che impone anche l’onere di intervenire al fine di rimuovere i vizi.
Si può ricorrere al decreto ingiuntivo? Questo istituto prevede delle condizioni specifiche: in primo luogo, il credito oggetto del decreto deve essere liquido ed esigibile.
Nel seguente articolo, ti diremo quali sono i rimedi a fronte di lavori eseguiti male e, soprattutto, quando è possibile ricorrere al decreto ingiuntivo.
Lavori non eseguiti: rimedi
Quando una ditta non esegue i lavori che le sono stati commissionati, è possibile chiedere la restituzione dei pagamenti effettuati in anticipo dal committente. Ma in che modo?
Quando si stipula un contratto di appalto con una ditta, e questa non svolge nessun lavoro pur avendo ricevuto in tutto o in parte il suo compenso, il committente ha due opportunità:
- chiedere la risoluzione del contratto;
- oppure chiedere al giudice di ordinare l’esecuzione in forma specifica dei lavori non eseguiti.
Ti consigliamo, preliminarmente, di leggere il seguente articolo: Appalto: cosa vuol dire e come funziona il contratto
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Risoluzione del contratto per lavori pagati ma non eseguiti
Per ottenere la risoluzione del contratto ci sono due strade.
- a) l’azione in giudizio;
- b) la diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c.
Il committente può chiedere al giudice la risoluzione del contratto per ottenere la restituzione delle somme già versate alla ditta appaltatrice, se questa non esegue i lavori per cui è stata pagata. La risoluzione del contratto comporta lo scioglimento del vincolo contrattuale e la cessazione di ogni suo effetto.
La risoluzione può essere disposta solo dal giudice su istanza della parte che ha diligentemente adempiuto la sua obbligazione. Per esempio, se si chiede a una ditta la riparazione del tetto del nostro immobile, e si versa un anticipo, si può chiedere al giudice di risolvere il contratto e di condannare la ditta alla restituzione dell’anticipo.
È bene chiarire che, solo dopo la risoluzione del contratto, il committente può ottenere la restituzione delle somme versate. L’inadempimento della ditta non è sufficiente. È necessario che un giudice accerti l’inadempimento, emani una sentenza di risoluzione del contratto e in quella stessa sentenza condanni la ditta alla restituzione degli importi anticipati.
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Decreto ingiuntivo per lavori non eseguiti
Molti penseranno che in questi casi sarebbe più agevole usare lo strumento del decreto ingiuntivo, cioè chiedere al giudice di condannare la ditta appaltatrice, senza attivare il giudizio ordinario, mediante il più rapido procedimento monitorio.
Purtroppo, il decreto ingiuntivo può essere utilizzato solo per esigere crediti liquidi e certi.
Il credito del committente che non ha ricevuto i lavori richiesti è un credito restitutorio, incerto ed illiquido. Il credito, in altre parole, è ancora condizionato all’emanazione di una sentenza con effetto costitutivo, cioè la sentenza di risoluzione contrattuale. Quindi, solo dopo la sentenza di risoluzione, la ditta deve restituire l’intero importo ricevuto.
La sentenza di condanna, una volta passata in giudicato, diventa titolo esecutivo per poter ottenere l’esecuzione forzata della restituzione. In altre parole, la sentenza di risoluzione del contratto contiene in sé anche la connessa condanna alla restituzione delle some di denaro percepite dalla ditta. Con questa condanna è possibile, per esempio, ordinare la vendita giudiziale dei beni della ditta appaltatrice, per soddisfare il creditore con i proventi.
La legge stabilisce che, dalla data della domanda di risoluzione, l’inadempiente non può più rimediare alla precedente violazione del contratto con una tardiva esecuzione della prestazione da lui dovuta (art. 1453, comma 3, c.c.): vale a dire che l’altro contraente può legittimamente rifiutare la prestazione che gli venga offerta dopo che sia già stata presentata al giudice la domanda di risoluzione.
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Risoluzione stragiudiziale
Un rimedio più veloce ed economico per ottenere la risoluzione del contratto è quello della diffida ad adempiere, disciplinata dall’art. 1454 c.c. Anche in questo caso, il committente deve chiedere l’assistenza di un avvocato. Questi, però, potrà decidere di non citare la ditta in giudizio, ma di comunicarle la volontà di risolvere il contratto se i lavori non vengono eseguiti entro un breve termine.
Il committente, tramite il suo avvocato, può intimare per iscritto alla ditta di svolgere i lavori e rispettare il contratto, entro un congruo termine. Con la precisazione esplicita che, decorso inutilmente detto termine, il contratto si intenderà senz’altro risoluto. Il termine non può essere inferiore a quindici giorni, salvo che per la natura del contratto o che per gli usi risulti congruo un termine minore. Decorso il termine senza che il contratto sia stato adempiuto, questo è risoluto di diritto (1454 cc).
In questa ipotesi, si ottiene una risoluzione del contratto in via stragiudiziale, senza sostenere i costi e i tempi del processo. Gli effetti sono simili a quelli di una sentenza di risoluzione: la ditta inadempiente deve restituire le somme indebitamente ricevute. Con la risoluzione, il vincolo contrattuale è stato già scelto e l’obbligazione restitutoria è già sorta come effetto della risoluzione.
A differenza della sentenza, però, con la risoluzione stragiudiziale manca una esplicita condanna giudiziale alla restituzione, perché in questo caso il giudice non è mai intervenuto nel procedimento. Anche in questa ipotesi, qualsiasi eventuale contestazione sarà decisa con una sentenza di accertamento, che constaterà se esistevano oppure no i presupposti (inadempimento, colpa del debitore, gravità della violazione contrattuale, congruità del termine assegnato con la diffida, ecc.) per considerare risolto il contratto.
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Esecuzione in forma specifica dei lavori non eseguiti
Se la ditta non esegue i lavori, il committente che ha già pagato può anche chiedere al giudice che i lavori vengano eseguiti da un’altra ditta, a spese della ditta inadempiente. Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento (1453 c.c.). Si tratta della cosiddetta azione di manutenzione del contratto, con la quale il committente chiede che la controparte sia condannata ad eseguire la prestazione cui è tenuta.
Il committente potrà pretendere sia l’esecuzione della prestazione che originariamente gli spettava, sia il risarcimento del danno che gli deriva per aver ricevuto l’adempimento in ritardo. Se la ditta doveva riparare il tetto della casa, ma non ha adempiuto nei termini, e da questo ritardo deriva un danno alla casa (ad es. infiltrazioni), la ditta dovrà sborsare di tasca propria i soldi per la riparazione del tetto e quelli necessari per eliminare i danni che la casa ha subito.
Vediamo i rapporti tra azione di risoluzione del contratto e azione di adempimento. Se viene prima proposta azione di adempimento, a chi agisce non è preclusa la facoltà di cambiare idea e di chiedere successivamente la risoluzione del contratto, ove ciò appaia in seguito più conveniente (art. 1453, comma 2, c.c.). Viceversa, una volta chiesta la risoluzione, non si può più chiedere l’adempimento.
La condanna della ditta all’esatto adempimento avviene tramite una sentenza di condanna del giudice. Ovviamente, nessuno può obbligare con la forza la ditta ad seguire i lavori. Quindi, come abbiamo anticipato, la sentenza di condanna a fare qualcosa viene eseguita facendo svolgere i lavori ad una altra ditta e facendo ricadere i costi sulla ditta inadempiente (2931 c.c.). Per recuperare suddetti costi sarà possibile ricorrere al decreto ingiuntivo.
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Lavori eseguiti solo in parte: cosa cambia
Un discorso parzialmente diverso merita l’ipotesi di lavori eseguiti solo in parte. Se la ditta appaltatrice che dovrebbe costruire un immobile, non lo completa ma lascia il lavoro in sospeso, il committente può chiedere sempre la risoluzione del contratto. In questo caso, però, gli effetti non possono essere gli stessi di quelli visti in precedenza.
Abbiamo visto che in caso di inadempimento totale, cioè di mancata esecuzione dei lavori, la ditta inadempiente dovrà restituire quanto ha ricevuto dal committente. In caso di lavori sospesi, si deve tener conto che, almeno in parte, l’opera è stata realizzata. Il lavoro è stato in parte eseguito, anche se non completato.
Quindi la legge afferma che il giudice può risolvere il contratto solo se accerta che l’inadempimento non abbia scarsa importanza (art. 1455 c.c.), in quanto la gravità delle conseguenze di una sentenza di risoluzione si giustifica soltanto di fronte ad una violazione altrettanto grave.
Qualora l’inadempimento sia di scarsa importanza, non potrà essere richiesta la risoluzione del contratto, ma solo il risarcimento del danno. Nel caso in cui, per esempio, l’immobile sia stato pagato per intero in anticipo, il danno sarà commisurato ai costi che il committente dovrà sostenere per completare l’opera.
Se però l’inadempimento è di rilevante importanza, la risoluzione sarà accolta dal giudice. Anche in questa evenienza, se si ottiene una sentenza di risoluzione, sarà possibile recuperare quanto dovuto mediante decreto ingiuntivo.
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Lavori male eseguiti
Un’ipotesi del tutto diversa da quelle fin qui esaminate è quella dell’opera interamente eseguita, ma in maniera difforme rispetto a quella prevista o che presenta vizi rispetto alle caratteristiche attese.
Va detto che la ditta appaltatrice deve eseguire i lavori a regola d’arte. Anzi, il committente ha il diritto di pretendere che siano apportate varianti al progetto quando ciò sia necessario per l’esecuzione dell’opera a regola d’arte. Ma è possibile che la ditta appaltatrice non sia così diligente. Si pensi al caso della ditta che effettivamente ripara il tetto gocciolante, salvo poi scoprire poco dopo che il gocciolamento persiste.
Anche in questo caso, sarà indispensabile farsi assistere da un avvocato. Sarà inevitabile azionare un giudizio dinanzi al giudice. Quest’ultimo dovrà accertare la causa del vizio della cosa, quindi, nominerà un consulente tecnico, chiamato proprio a verificare se i lavori sono stati eseguiti a regola d’arte e in conformità al contratto. Il consulente verificherà anche se il vizio e la difformità della cosa rispetto al contratto dipendono da imperizia della ditta appaltatrice.
Nel caso in cui il consulente accerti che la ditta non ha eseguito i lavori a regola d’arte, allora il giudice condannerà la ditta al risarcimento dei danni. In questa ipotesi, essi andranno commisurati alle somme che il committente deve sopportare per contattare un’altra ditta per eliminare i vizi.
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Se i lavori sono eseguiti male posso non pagare?
Possiamo poi analizzare un caso opposto, cioè l’ipotesi in cui i lavori siano eseguiti male e il committente decida di non pagare il corrispettivo. Se l’impresa committente ricorre al decreto ingiuntivo per ottenere il pagamento, questo è legittimo?
Come precisato talvolta dalla giurisprudenza di merito, il pagamento alla ditta che ha mal eseguito i lavori è comunque dovuto. Il decreto ingiuntivo è, in ogni caso, legittimo. D’altra parte, il committente non è privo di tutela. Infatti, è possibile far valere la garanzia prevista dall’art. 1167 del Codice civile, che obbliga la ditta ad intervenire per eliminare i vizi.
In questa eventualità, l’appaltatore è tenuto al ripristino senza richiedere un ulteriore pagamento, in base alla garanzia prevista dalla legge. Tuttavia, il pagamento di quanto stabilito nel contratto di appalto è comunque dovuto.
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Decreto ingiuntivo per lavori non eseguiti – Domande frequenti
Il credito restitutorio, a fronte di lavori non eseguiti, è incerto e illiquido. È necessario ottenere prima una sentenza di risoluzione, per poi ricorrere al decreto ingiuntivo.
Il committente non può non pagare l’appaltatore in caso di lavori male eseguiti, ma potrà ottenere un ulteriore intervento atto a eliminare i vizi presenti.
L’appaltatore può ricorrere al decreto ingiuntivo se il committente non paga, a fronte di lavori mal eseguiti o eseguiti solo in parte.
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