False accuse sul lavoro: come tutelarsi?
Un problema che si verifica spesso sul posto di lavoro, e che viene solitamente sottovalutato, è quello delle false accuse: ecco in cosa può consistere e come reagire se si viene accusati ingiustamente.
- Le false accuse sul luogo di lavoro possono generare serie conseguenze, come ipotesi di mobbing, procedimenti disciplinari o addirittura il licenziamento.
- Per questi motivi, è molto importante sapere come tutelarsi in tali casi.
- Le false accuse in ufficio possono inoltre avere conseguenze penali.
Il posto di lavoro dovrebbe essere un luogo in cui ognuno può esprimere al meglio le proprie potenzialità o, quantomeno, rendere la propria prestazione lavorativa in un clima di serenità.
Al contrario, però, capita purtroppo che spesso, a causa di incomprensioni, antipatie o rivalità, il clima negli ambienti lavorativi si faccia pesante, portando addirittura a false accuse sul lavoro, al fine di screditare o addirittura tentate di liberarsi di un collega poco gradito.
Ma cosa fare se si è vittima di false accuse sul lavoro? Come tutelarsi? Ecco qualche consiglio legale che speriamo possa esserti d’aiuto.
False accuse in ufficio: esempi
Quello delle false accuse sul posto di lavoro è un fenomeno più diffuso di quanto si pensi. Non si tratta di una semplice mancanza di rispetto tra colleghi, in quanto può tradursi in comportamenti che generano notevoli pressioni psicologiche, come il mobbing e la diffamazione.
La disciplina del whistleblowing (introdotto nel nostro ordinamento dalla Legge n. 190 del 2012), che tutela la riservatezza di chi segnala illeciti e corruzione sul luogo di lavoro, ha portato un aumento delle segnalazioni, le quali talvolta possono essere anche infondate.
Ciò ha condotto anche gli studiosi di diritto del lavoro a domandarsi perché tale disciplina non preveda tutele per il soggetto segnalato.
L’unica misura di deterrenza contro il segnalante è la previsione che questi debba essere soggetto a sanzione disciplinare qualora effettui, con dolo o colpa grave, una segnalazione che si rilevi infondata (articolo 6, comma 2 bis, lett. d), Decreto 231/2001).
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Cosa comportano le false accuse sul luogo di lavoro?
Innanzitutto, va considerato che, a seconda della gravità e della frequenza delle accuse, si possono verificare le seguenti conseguenze per i soggetti vittima di false accuse sul luogo di lavoro:
- la vittima può patire una condizione di forte stress, quando le accuse si trasformano in vero e proprio mobbing;
- il bersaglio delle false accuse può ricevere una contestazione disciplinare dal datore di lavoro;
- nei casi più gravi, si può arrivare anche al licenziamento dell’accusato.
Quando le false accuse sul luogo di lavoro possono sfociare in mobbing?
Come abbiamo visto, le false accuse sul luogo di lavoro possono essere qualificate come mobbing. Ciò in quanto il mobbing è un atteggiamento di pressione psicologica esercitata sul posto di lavoro, attraverso comportamenti aggressivi e vessatori da parte di colleghi o superiori.
Tali comportamenti includono anche le accuse volte a screditare il lavoratore di fronte a clienti o superiori. L’obiettivo è quello di eliminare una persona divenuta in qualche modo “scomoda”, inducendola alle dimissioni volontarie o provocandone il licenziamento.
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Accuse non veritiere e colleghi falsi: chi ne risponde?
A rispondere del mobbing causato dai colleghi, anche tramite false accuse, è sempre il datore di lavoro. Difatti, ai sensi dell’art. 2087 c.c., egli è tenuto a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Ciò vuol dire che egli deve non solo garantire un ambiente lavorativo salubre, ma tutelare anche l’equilibrio psicofisico dei propri dipendenti, che può essere minacciato da fenomeni proprio come il mobbing.
Sul punto, si è recentemente pronunciata la Corte di Cassazione con la Sentenza n. 27913 del 4 dicembre 2020, condannando la società datrice di lavoro al risarcimento del danno nei confronti di una dipendente per le condotte vessatorie poste in essere dai colleghi, nonostante il datore di lavoro non avesse preso parte attivamente ai comportamenti persecutori.
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Le false accuse hanno conseguenze disciplinari?
Talvolta, invece, il datore di lavoro può credere alle false accuse dei colleghi e avviare un procedimento disciplinare nei confronti del dipendente coinvolto.
Il procedimento si svolge secondo le seguenti modalità:
- il datore di lavoro trasmette una formale contestazione disciplinare al dipendente non appena ha notizia delle accuse, oppure entro pochi giorni dopo, a seconda delle tempistiche dettate dal contratto collettivo;
- generalmente, il dipendente ha 5 giorni di tempo per rispondere alla contestazione disciplinare, con le proprie giustificazioni, a mezzo delle quali può chiedere anche di essere ascoltato, avvalendosi, se ne ha necessità, di un rappresentante sindacale;
- all’esito del procedimento, il datore di lavoro può decidere se irrogare una sanzione disciplinare, che può essere una sanzione conservativa del posto di lavoro, come una multa o una sospensione, ma nei casi più gravi può essere anche il licenziamento disciplinare.
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Come impugnare una sanzione disciplinare?
Se il procedimento si conclude con una sanzione disciplinare, il dipendente può impugnarla con le modalità descritte dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro applicato al proprio contratto.
In particolare, il lavoratore può contestare il provvedimento:
- dinanzi al Giudice del Lavoro;
- dinanzi al collegio di conciliazione e arbitrato;
- oppure dinanzi a collegi di conciliazione previsti dai contratti collettivi.
Per esempio, il lavoratore può promuovere, nei 20 giorni successivi, anche per mezzo dell’associazione sindacale a cui è iscritto, la costituzione tramite Direzione Provinciale del Lavoro (DPL), di un collegio di conciliazione e arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o nominato dal direttore della DPL.
Se il procedimento disciplinare sfocia in un licenziamento, il dipendente ha 60 giorni di tempo per impugnare il provvedimento in via stragiudiziale, con una formale lettera di impugnativa di licenziamento, mentre nei successivi 180 giorni deve impugnare in via giudiziale il licenziamento con un ricorso dinanzi al Giudice del Lavoro.
In tali fasi, è essenziale rivolgersi quanto prima a un avvocato specializzato in diritto del lavoro.
Come dimostrare la falsità delle accuse?
Ad ogni modo, per poter impugnare un eventuale procedimento disciplinare o per chiedere un risarcimento danni da mobbing, è importante costituirsi delle prove che dimostrino la falsità delle accuse da cui si è colpiti.
In tali casi, non è illecito registrare conversazioni con i propri colleghi che provino di essere accusati ingiustamente, oppure è possibile avvalersi di prove documentali o ancora, può essere molto importante ricorrere alla testimonianza di altri colleghi. Tali elementi possono rivelarsi fondamentali, soprattutto in sede giudiziale.
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Diffamazione sul posto di lavoro
Non va dimenticato, poi, che chi diffonde false accuse nei confronti di colleghi sul luogo di lavoro può essere accusato di diffamazione, che l’art. 595 c.p.
Affinché si verifichi il reato di diffamazione è necessario che la reputazione della persona venga offesa dinanzi a due o più persone, ed il reato è considerato ancora più grave nel caso in cui esso consista nell’attribuzione di un determinato fatto a una persona che non l’ha commesso.
La diffamazione non va confusa però con la calunnia, che, ai sensi dell’art. 368 c.p., si ha quando un soggetto incolpa qualcuno di aver commesso un reato dinanzi alle Autorità giudiziarie, quando è consapevole della falsità di quanto afferma.
Ad ogni modo, anche in caso di diffamazione, è possibile presentare una denuncia alle autorità competenti entro 3 mesi dal momento in cui si viene a conoscenza delle affermazioni diffamatorie.
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