Possono non rinnovarmi il contratto se sono incinta?
Cosa dice la legge sulla tutela delle lavoratrici in gravidanza e quali sono i tuoi diritti e le tutele previste in caso di contratto a termine
- Non esiste un obbligo di rinnovo di un contratto di lavoro a termine in capo al datore di lavoro, anche se la donna lavoratrice è incinta.
- La lavoratrice non può non essere confermata esclusivamente a causa della gravidanza.
- Se il mancato rinnovo del contratto è dovuto alla gravidanza della donna lavoratrice, è onere di questa dimostrarlo al giudice.
La gravidanza è un momento di grande emozione, ma, a volte, per le donne lavoratrici, può spesso rappresentare un motivo di preoccupazione legata al proprio lavoro e questo soprattutto quando si ha un contratto in scadenza. In tali casi, la domanda ricorrente, che probabilmente ogni donna lavoratrice si pone è: possono non rinnovarmi il contratto perché sono incinta?
Nel nostro Paese, negli anni, sono state varate diverse misure atte a tutelare le donne lavoratrici incinte. Ciò nondimeno, molto spesso, vi sono lacune normative, che alimentano il convincimento, nelle mamme lavoratrici, di non avere garanzie sul proprio futuro lavorativo.
Per questo motivo è importante informarsi su quali siano i diritti delle lavoratrici incinte e conoscere la normativa che tutela la maternità in Italia per sapere cosa dice la legge in caso di gravidanza.
- Quali sono le tutele delle donne lavoratrici in stato di gravidanza
- Mancato rinnovo e licenziamento
- Quando si può licenziare una donna incinta
- Licenziamento in gravidanza con contratto a tempo determinato
- Quando il mancato rinnovo del contratto è discriminatorio
- Cosa fare in caso di mancato rinnovo
- Come dimostrare che il mancato rinnovo è discriminatorio
Quali sono le tutele delle donne lavoratrici in stato di gravidanza
Le garanzie riconosciute a una donna lavoratrice incinta sono espressamente disciplinate dall’art. 54 del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (c.d. Testo Unico sulla maternità e paternità).
Tale norma stabilisce espressamente che le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine del congedo per maternità, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino.
Ne consegue che un eventuale licenziamento in tale periodo è da ritenersi illegittimo e, conseguentemente, nullo, salvo nel caso in cui vi siano validi motivi di cui si dirà meglio in seguito. Altrettanto contro la legge è anche il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale o per la malattia del bambino da parte della lavoratrice.
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Mancato rinnovo e licenziamento
Per comprendere cosa succede alla donna lavoratrice in gravidanza da un punto di vista lavorativo, se ha un contratto in scadenza è importante, preliminarmente, distinguere il licenziamento dal mancato rinnovo. In linea generale, nel caso in cui una donna lavoratrice sia stata assunta con un contratto a tempo determinato, il datore di lavoro può non rinnovare il contratto e interrompere il rapporto di lavoro.
Il mancato rinnovo è una facoltà concessa dal datore di lavoro, che non viene meno anche nel caso di gravidanza. In altri termini, non vi è un obbligo, in capo dal datore, di rinnovare il rapporto di lavoro alla naturale scadenza del contratto. Questa regola non viene meno anche nel caso di gravidanza, con la conseguenza che il contratto a tempo determinato di una donna incinta può anche non essere rinnovato.
Il diritto di non confermare la lavoratrice incinta sembra porsi in contrasto con il divieto di licenziamento, previsto dall’art. 54 del citato decreto. In realtà non è così, poiché il licenziamento è diverso dal mancato rinnovo. Il licenziamento, infatti, presuppone l’interruzione anticipata di un contratto ancora in corso di validità, con la conseguenza che, se il licenziamento è avvenuto a causa della gravidanza, questo è illegittimo. Diverso è, invece, il mancato rinnovo, che si verifica alla naturale scadenza del contratto.
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Quando si può licenziare una donna incinta
Chiarita la differenza sostanziale fra licenziamento e mancato rinnovo, è bene precisare subito che il divieto di licenziamento di una donna incinta non è assoluto, ma ammette deroghe, in casi particolari. E infatti, anche se una donna è in stato di gravidanza, il licenziamento può essere, tuttavia, legittimo.
Tali ipotesi, in cui è facoltà del datore di lavoro licenziare una donna lavoratrice, anche se in dolce attesa, sono disciplinate dall’art. 54 del citato Testo unico sulla maternità e paternità.
La norma autorizza il licenziamento nel caso di:
- colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
- cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta;
- ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine;
- esito negativo della prova.
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Licenziamento in gravidanza con contratto a tempo determinato
Anche se, come chiarito, il mancato rinnovo di un contratto – nel caso di una donna incinta – non è di per sé illegittimo, esso diventa tale quando la non conferma è motivata esclusivamente dallo stato di gravidanza della lavoratrice. E infatti, se la mancata continuazione del lavoro è dovuta esclusivamente alla dolce attesa della donna, la situazione cambia radicalmente, perché la decisione del datore di lavoro è illegittima e, dunque, nulla.
Ciò in quanto, in tali casi, si configura una discriminazione di genere, vietata dal Testo unico sulle pari opportunità (Decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198), cosi come modificato e rafforzato dalla legge 5 novembre 2021, n. 162, che ha introdotto l’obbligo di certificazione della parità di genere per le imprese e ha rafforzato le disposizioni sulle pari opportunità.
In tal caso (come si vedrà, complesso da dimostrare), la lavoratrice ha diritto alla tutela giudiziaria e a un eventuale risarcimento del danno, poiché la gravidanza non può costituire un motivo per escludere dal rinnovo o dalla prosecuzione del rapporto di lavoro.
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Quando il mancato rinnovo del contratto è discriminatorio
La legge, pur prevedendo che è illegittimo non rinnovare il contratto di lavoro di una donna incinta, in alcuni casi non è del tutto rispettata o, meglio, “raggirata”. Molto spesso, infatti, anche se formalmente il datore di lavoro dichiara che la mancata conferma non è legata allo stato di gravidanza della lavoratrice, nella realtà dei fatti la decisione di non rinnovare il contratto dipende proprio da tale condizione.
Ciò in quanto una donna che aspetta un figlio, ha, quantomeno inizialmente, il diritto al congedo e ad altre forme di permesso, che consentono alla donna di potersi assentare dal posto di lavoro (per esempio, permessi per allattamento). Questo si traduce, per il datore di lavoro, nell’obbligo di corresponsione dello stipendio durante i primi mesi di maternità e il pagamento di un ulteriore compenso nei confronti del lavoratore o lavoratrice assunta, seppure temporaneamente, per la sostituzione di maternità.
Per tale motivo, il datore di lavoro non procede al rinnovo, pur dichiarando ufficialmente che la mancata conferma non è connessa o non è dovuta al solo stato di gravidanza della lavoratrice. In tali casi, è la lavoratrice a dover dimostrare che il mancato rinnovo è dovuto esclusivamente allo stato di gravidanza.
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Cosa fare in caso di mancato rinnovo
Dimostrare che il mancato rinnovo del contratto è dovuto allo stato di gravidanza non è un compito affatto semplice. Molto spesso la donna, inesperta e in un particolare e delicato momento, come quello della gravidanza, non può essere in grado di dimostrare la discriminazione subita.
Per tale motivo, la prima cosa da fare è rivolgersi a un avvocato esperto in diritto del lavoro. L’assistenza di un professionista è necessaria, non solo per la fase di raccolta del materiale probatorio, ma anche nell’eventuale fase successiva.
Nelle controversie afferenti al rapporto di lavoro, si apre una prima fase stragiudiziale, in cui le parti tentano di addivenire a una risoluzione bonaria della controversia, che può prevedere un reintegro della lavoratrice o anche un accordo per un eventuale richiesta di risarcimento. In entrambi i casi, solo un legale può consigliare come procedere.
Nel caso in cui la situazione non si risolva, può essere attivata la fase giudiziaria, di fronte al giudice, durante la quale occorre obbligatoriamente farsi assistere da un avvocato.

Come dimostrare che il mancato rinnovo è discriminatorio
In linea generale, per riuscire a dimostrare l’illegittimità della mancata conferma del contratto di lavoro, è utile dimostrare che:
- lo stato di gravidanza e la sua concomitanza con la decisione del datore. In tal caso, si deve raccogliere la documentazione medica necessaria per certificare la gravidanza. Questo per convincere il giudice che la tempistica del mancato rinnovo coincide con la scoperta della gravidanza;
- vi sono elementi precisi e concordanti che facciano presumere l’esistenza della discriminazione. La donna non è infatti tenuta a fornire la prova chiave che il mancato rinnovo sia dovuto alla gravidanza, ma deve “solo” fornire circostanze che rendano verosimile che la gravidanza sia stata la vera causa (per esempio, la donna deve dimostrare l’inesistenza di ogni problematica, prima di tutto relativa a proprie mancanze comportamentali o lavorative, che possano, in qualche modo, giustificare il mancato rinnovo);
- non vi sono motivi afferenti alla performance lavorativa precedente, che giustifichino il mancato rinnovo.
Cosa deve fare il datore di lavoro
Il datore di lavoro che non rinnova il contratto di una lavoratrice incinta è onerato a dimostrare che la decisione non sia dipesa dalla condizione della donna, ma che la mancata conferma è avvenuta per motivi oggettivi e non collegati alla gravidanza, quali, a titolo esemplificativo, un calo di vendite, una riorganizzazione aziendale o, ancora, la non necessarietà della posizione ricoperta dalla donna lavoratrice.
Se il datore di lavoro non è in grado di fornire prove documentali in ordine alla sussistenza di motivi oggettivi, il mancato rinnovo può essere considerato nullo e la lavoratrice può avere diritto alla reintegra sul posto di lavoro o al risarcimento dei danni.
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