Quando le vessazioni si configurano in un reato?
Le vessazioni possono essere condotte di varia natura. In genere, sono maltrattamenti che si ripetono costantemente nel tempo e che assumono particolare gravità. Possono integrare sia un illecito penale sia civile, comportando anche il risarcimento del danno.
- Il termine vessazione identifica una condotta di maltrattamento intensa e continuata nel tempo.
- Può assumere rilievo penale, integrando diverse tipologie di reato, come i maltrattamenti in famiglia, gli atti persecutori o le molestie.
- Se le condotte vessatorie sono poste in essere sul luogo di lavoro integrano il cosiddetto mobbing.
Le vessazioni sono condotte offensive o lesive reiterate nel tempo, di particolare intensità e gravità. A seconda del contesto o delle modalità, possono assumere rilievo civilistico o penalistico.
Avrai molto probabilmente sentito parlare di mobbing, parola che identifica delle condotte vessatorie poste in essere sul luogo di lavoro. Possono manifestarsi tramite offese, minacce o violenze che hanno come conseguenza l’emarginazione del lavoratore.
In alcune ipotesi può anche trattarsi di meri pettegolezzi o dicerie, purché il ripetersi costante nel tempo incida sullo stato emotivo, oltre che lavorativo, del destinatario.
Se ti interessa conoscere quali sono le conseguenze delle vessazioni, ti invitiamo a proseguire nella lettura. Nel presente articolo intendiamo offrirti alcune informazioni utili su quali sono i casi in cui si verifica un reato.
Vessazioni: significato giuridico
La vessazione è una condotta di maltrattamento continuata nel tempo, che può sfociare in veri e propri tormenti per i destinatari. È un termine spesso utilizzato anche in maniera enfatica o con significato metaforico.
Talvolta il concetto di vessazione può assumere anche significati giuridici. In genere, può integrare una condotta illecita, laddove siano realizzati reati. In questo caso, ne consegue anche il dovere di risarcire il danno. Una medesima condotta, quindi, può integrare sia un illecito penale sia civile.
Le vessazioni possono manifestarsi sotto forma fisica, oppure psicologica, quindi essere perpetrate con l’utilizzo della violenza verbale e di frasi molto aggressive, che possono gravemente danneggiare la salute psichica di chi le riceve.
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Vessazioni verbali e psicologiche: quando è reato
Una delle ipotesi tipiche di condotte vessatorie è quella che avviene mediante telefono. Spesso capita di essere molestati con insistenti chiamate, soprattutto notturne. Il legislatore ha allora previsto una fattispecie tipica, che sembra punire le vessazioni di minore gravità, quali, appunto, il reato di molestia o disturbo alla persona di cui all’art. 660 cp. Ai fini della configurabilità di tale reato, è necessaria un’intrusione nella sfera personale altrui.
L’illiceità penale del fatto è subordinata alla petulanza: con ciò si intende una condotta di insistenza fastidiosa, arrogante invadenza o intromissione inopportuna e continua. Come dicevamo può avvenire a mezzo telefono, sia con chiamate sia con invio di SMS o altre forme di messaggistica, con contenuto offensivo o che prospettino un male ingiusto.
La giurisprudenza ha configurato come reato anche le condotte vessatorie consistenti nelle c.d. telefonate mute, oppure anche la condotta di chi fa ripetuti squilli, sul fisso o sul cellulare di una persona, quindi senza che questa neanche risponda. Rileva, poi, anche la circostanza che la chiamata sia effettuata dopo la mezzanotte.
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Vessazioni e reato di minacce
Le condotte di vessazione possono, in primo luogo, integrare il reato di minaccia di cui all’art. 612 cp. Si tratta di un reato di pericolo, per la cui integrazione è sufficiente la mera esposizione al pericolo, senza che si verifichi necessariamente una lesione.
Quindi, non presuppone la concreta intimidazione della persona offesa, ma anche la sola mera possibilità. Si dice che è sufficiente il male minacciato.
Tali condotte vessatorie non devono neanche necessariamente essere poste in essere alla presenza della vittima. È sufficiente che questa ne venga a conoscenza anche attraverso altri. Per esempio, possiamo richiamare un caso concreto, quello di un uomo che, dopo aver già minacciato direttamente un magistrato, si reca nuovamente in Tribunale proferendo espressioni minacciose nei suoi confronti, al punto tale che il giudice, avvisato dell’accaduto, è costretto a chiudersi nel proprio ufficio.
Tuttavia, è necessario che il reato produca la c.d. limitazione della libertà psichica mediante una condotta minacciosa che può avere forma:
- manifesta, implicita, palese o larvata;
- diretta o indiretta;
- reale o figurata;
- orale o scritta.
Purché sia idonea a coartare la volontà del soggetto destinatario.
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Vessazione e atti persecutori: quando sono integrati
Le condotte vessatorie possono, come evidenziato nel precedente paragrafo, costituire reato di atti persecutori. La fattispecie in esame è disciplinata all’art. 612 bis cp. Tale norma punisce chi, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un determinato evento, ossia:
- perdurante e grave stato di ansia o di paura;
- fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto;
- costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La norma in questione identifica una delle ipotesi tipiche in cui si possono trasformare le condotte vessatorie. Il delitto ha fatto sorgere però diverse questioni interpretative.
1. Quante condotte vessatorie ci vogliono per integrare il delitto?
Ci si è chiesto se le condotte vessatorie consistenti in violenza e minaccia debbano essere semplicemente reiterate o devono connotarsi per abitualità. Nel primo caso, anche solo due condotte sono sufficienti ad integrare il reato, mentre nel secondo devono essere più di due, reiterate nel tempo in modo omogeneo.
Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, affinché sia integrato il requisito dell’abitualità proprio del reato di atti persecutori occorre che le condotte siano reiterate nel tempo. Ne consegue che condotte persecutorie non costituiscano reato se:
- realizzate in pochi giorni;
- realizzate a distanza di tempo.
Altro orientamento, invece, afferma che il reato, trattandosi di una fattispecie di evento, cioè che implica comunque l’integrazione di un danno, non necessariamente richiede l’abitualità. Sarebbe sufficiente la mera reiterazione anche a distanza di tempo, o di sole due condotte a carattere vessatorio.
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2. Il reato di atti persecutori è incostituzionale?
La fattispecie è stata anche posta all’attenzione della giurisprudenza costituzionale, in quanto non sembravano chiari i concetti di evento che richiama. Si sosteneva che fossero aspetti relativi al foro interno della persona offesa, per tale ragione non conforme al principio di determinatezza, quindi non passibili di prova.
Sul punto, la Corte Costituzionale ha, invece, sostenuto che la questione di legittimità costituzionale non era fondata. Il reato si configura infatti come una specificazione del reato di minaccia o molestia. Nel prevedere un’autonoma figura di reato, il legislatore ha introdotto un’ulteriore caratteristica.
Le condotte devono essere realizzate in modo reiterato e idoneo a cagionare almeno uno degli eventi indicati, al fine di circoscrivere la nuova area dell’illecito. Queste condotte, dice la Corte, si connotano per un atteggiamento predatorio. Per quanto riguarda, poi, l’accertamento dell’evento si osserva che, rispetto alla terza ipotesi, questo è un evento che si manifesta all’esterno, quindi è facilmente soggetto ad accertamento.
Per quanto riguarda gli altri due eventi, invece, sono soggetti ad interpretazione costituzionalmente orientata. L’accertamento degli stessi deve essere ancorato a elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavabili da:
- dichiarazioni della stessa vittima;
- comportamenti conseguenti la condotta.
Si procede poi a verificare anche che, in astratto e in concreto, la condotta vessatoria sia idonea a causare suddetto turbamento.
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Condotte vessatorie e mobbing
A volte si suole parlare del c.d. mobbing, termine che indica la condotta vessatoria volta ad intimorire ed emarginare il lavoratore sul luogo di lavoro. Le condotte di vessazione che possono integrare le vessazioni sul lavoro sono molteplici e di varia natura.
Infatti, il lavoratore potrebbe:
- vedersi sottrarre mansioni;
- essere vittima di insulti, pettegolezzi o scherno;
- essere esposto ad intense forme di controllo da parte del datore di lavoro;
- essere bersaglio di violenze fisiche o molestie sessuali;
- essere persino licenziato senza una giusta causa.
In genere, il mobbing può essere di due tipologie, verticale o orizzontale. È verticale quando la condotta vessatoria è imputabile al datore di lavoro o comunque ad altro soggetto gerarchicamente sovraordinato alla persona offesa. Tuttavia, non si deve pensare che il mobbing sia solo discendente.
In alcuni casi, la vessazione proviene anche dal lavoratore gerarchicamente inferiore rispetto a quello superiore, per esempio verso il datore, o, più di frequente, un capo area o un tutor. A tal proposito, si parla di bossing, una forma di mobbing ascendente.
Il mobbing è orizzontale quando invece la condotta vessatoria è posta in essere tra due soggetti in pari posizione. Possiamo, brevemente, fare un esempio di mobbing esaminato dalla giurisprudenza della Cassazione. È stato riconosciuto rilievo penalistico alla condotta del datore di lavoro che aveva tenuto alla proprie dipendenze alcuni lavoratori in condizioni di estremo degrado materiale.
Questi erano ospitati in locali fatiscenti, in pessime condizioni igienico-sanitarie, con somministrazione scarsa o nulla di cibo e privazione del compenso. Quindi, come si evidenzia, sul luogo di lavoro possono esservi condotte di varia natura.
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Vessazioni sul lavoro: quando è reato
Tali condotte vessatorie sul luogo di lavoro possono integrare diverse tipologie di reato a seconda dei casi. Nelle ipotesi estreme, le pratiche persecutorie realizzate ai danni dei lavoratori o comunque nell’ambito di un rapporto di lavoro, possono integrare il reato di maltrattamenti in famiglia, di cui all’art. 574 cp.
Il rapporto deve però connotarsi per la parafamiliarità, ossia deve essere:
- una relazione intensa ed abituale;
- connotata da soggezione di una parte nei confronti dell’altra;
- caratterizzato dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia.
È dubbio, tuttavia, se questo rapporto debba esprimersi nelle forme del lavoro subordinato, in senso civilistico, o è un rapporto di fatto, di soggezione e sudditanza psicologica.
Per esempio, la giurisprudenza ha esaminato il caso dei rapporti tra i gestori di una ricevitoria e una loro dipendente. In questa circostanza, pur trattandosi di lavoro subordinato, non ricorreva il nesso di supremazia e soggezione che ha esposto la parte offesa a situazioni assimilabili a quelle familiari.
Ovviamente, la condotta di mobbing può integrare anche altri reati a seconda delle condotte tenute dell’agente. Molte di queste fattispecie sono state richiamate nella parte iniziale, in tema di rilevanza penale della condotta vessatoria. In altri casi, il mobbing può anche sfociare in violenza sessuale o anche lesioni, dolose o colpose.
Vessazioni sul luogo di lavoro: come tutelarsi
Come abbiamo visto, il mobbing può assumere in vario modo rilievo penale. In casi simili, ti consigliamo di procedere immediatamente a querela, anche in considerazione che alcuni di questi reati non sono procedibili d’ufficio. Quindi, hai un tempo limitato per far valere il tuo diritto, in genere di sei mesi, che diventano per esempio dodici in caso di violenza sessuale.
Tuttavia, il mobbing può comportare anche la risarcibilità del danno in sede civilistica. Si è dibattuto a tal proposito se costituisca una forma di responsabilità contrattuale o aquiliana: la soluzione varia a seconda della condotta evidenziata.
Il datore di lavoro è tenuto ad adottare tutte le misure volte a tenere indenni e tutelare i lavoratori, come disposto dall’art. 2087 cc. Questa costituisce un’obbligazione prevista dalla legge che, se inadempiuta, comporta responsabilità contrattuale.
Nell’esempio che abbiamo fatto nel precedente paragrafo, quello del datore di lavoro che teneva i lavoratori in condizioni di estremo degrado materiale, può essere integrata questa ipotesi di responsabilità contrattuale. In questo caso, il soggetto colpito dalle vessazioni non dovrà provare l’elemento soggettivo della responsabilità, con un’evidente semplificazione in sede probatoria.
Talvolta, però, la condotta può integrare anche responsabilità extracontrattuale, ovvero quando le vessazioni sono realizzate tra soggetti in pari posizione gerarchica. In questa ipotesi, si applica la disciplina dell’art. 2043 cc, che risulta più gravosa per il danneggiato.
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Vessazioni – Domande frequenti
Costituiscono comportamenti vessatori le offese, le minacce, le lesioni che sono di particolare intensità e ripetute costantemente nel tempo.
Le vessazioni possono comportare l’integrazione di illecito penale o civile, con conseguente risarcimento danni.
Per dimostrare le vessazioni subite sul posto di lavoro, devono essere provate condotte, minacciose o lesive, che comportano l’emarginazione del lavoratore.
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