Per cosa si può fare causa al datore di lavoro
Molti lavoratori temono di fare causa al datore di lavoro per paura di ritorsioni o di non trovare un altro impiego. Ma ricordiamo che la legge tutela chi subisce un torto. Difendere i propri diritti sul lavoro significa tutelare la propria dignità, la propria salute e il valore del proprio impegno quotidiano. Nessuno dovrebbe accettare di essere sfruttato o umiliato sul posto di lavoro.
- Nel caso in cui il datore di lavoro non abbia rispettato i diritti del dipendente, dopo aver tentato la conciliazione è possibile avviare una causa davanti al Giudice del lavoro.
- Tra le ragioni che possono giustificare un contenzioso in materia si menziona un licenziamento illegittimo, il mancato pagamento dello stipendio, comportamenti discriminatori, mobbing.
- È inoltre possibile avviare una causa contro il datore di lavoro qualora si verifichino infortuni per il mancato rispetto delle norme sulla sicurezza.
Fare causa al datore di lavoro è una scelta difficile, che spesso arriva dopo mesi o anni di sopportazione, stress e ingiustizie. Molti lavoratori si trovano a subire comportamenti scorretti, umiliazioni o violazioni dei propri diritti, ma non sanno se e come sia possibile agire per ottenere giustizia.
In questa guida vedremo in quali casi si può fare causa al datore di lavoro, come funziona la procedura, e quali sono i principali esempi di cause lavorative, al fine di poter fornire un supporto legale per chi si trovi in una delle situazioni descritte.
Quando è possibile fare causa al datore di lavoro
La legge italiana tutela in modo molto preciso i diritti del lavoratore. Il datore di lavoro non può agire in modo arbitrario o lesivo della dignità della persona.
Si può fare causa ogni volta che vengono violati:
- i diritti economici (retribuzione, straordinari, ferie, TFR, ecc.);
- i diritti contrattuali (mansioni, orario, livello, inquadramento);
- i diritti personali e morali (dignità, salute, integrità psicofisica);
- le tutele previste dalla legge o dal contratto collettivo.
Di seguito illustreremo le situazioni più comuni in cui il lavoratore può rivolgersi al Giudice per ottenere tutela.
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Mancato pagamento dello stipendio
Una delle cause più frequenti riguarda il mancato o ritardato pagamento delle retribuzioni. Il datore di lavoro ha l’obbligo di corrispondere lo stipendio in modo regolare e puntuale. Anche se un minimo ritardo può essere tollerato, cosa ben diversa è se il lavoratore non riceve il salario per uno o più mesi.
In questo caso, il lavoratore può agire in giudizio per ottenere:
- il pagamento degli arretrati;
- gli interessi e la rivalutazione monetaria;
- eventualmente, anche il risarcimento dei danni, se la situazione è prolungata e grave.
Facciamo un esempio pratico: un operaio non riceve lo stipendio da tre mesi. Dopo i solleciti rimasti senza risposta, si rivolge a un avvocato che invia una diffida di pagamento. Se l’azienda non adempie, si può avviare un ricorso per decreto ingiuntivo, ottenendo un titolo esecutivo per recuperare quanto dovuto.
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Licenziamento illegittimo o ingiustificato
Il licenziamento è uno degli eventi più dolorosi nella vita lavorativa. Tuttavia, non tutti i licenziamenti sono legittimi.
Si può fare causa al datore di lavoro se:
- manca una giusta causa o un giustificato motivo;
- non è stata rispettata la procedura prevista dalla legge o dal contratto (il licenziamento avviene, per esempio, in forma orale);
- il licenziamento è discriminatorio (per motivi di sesso, età, religione, salute, maternità, ecc.);
- il licenziamento è ritorsivo, cioè avviene come punizione per aver rivendicato i propri diritti;
- l’illecito disciplinare contestato di fatto non esiste.
Si pensi al caso di una dipendente che venga licenziata subito dopo aver comunicato la gravidanza. Il Giudice riconosce la natura discriminatoria del licenziamento e dispone la reintegra con pagamento degli stipendi arretrati.
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Mobbing e vessazioni sul luogo di lavoro
Altro motivo per cui si può intentare una causa di lavoro è il mobbing. Il mobbing è una forma di persecuzione psicologica che mira a isolare o spingere il lavoratore a lasciare il posto.
Può manifestarsi attraverso:
- umiliazioni ripetute, insulti o denigrazioni;
- esclusione dalle attività lavorative;
- trasferimenti immotivati;
- continue critiche ingiustificate o controlli eccessivi.
Siamo dunque di fronte a comportamenti ostili compiuti ai danni del lavoratore che vengono reiterati nel tempo. Fare causa per mobbing significa chiedere al Giudice di riconoscere il danno psicologico, morale o professionale subito.
Facciamo un esempio. Un impiegato viene progressivamente isolato dal gruppo, escluso dalle riunioni e privato di strumenti di lavoro. Dopo mesi di stress e ansia, si rivolge a un avvocato e ottiene un risarcimento per danno biologico e morale.
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Demansionamento o mansioni inferiori
Il lavoratore ha diritto a mantenere le mansioni e il livello corrispondenti al proprio inquadramento contrattuale.
Se il datore impone il trasferimento e lo svolgimento di compiti inferiori, umilianti o non coerenti con la sua qualifica, si configura un demansionamento, vietato dall’art. 2103 del Codice Civile.
In questo caso si può chiedere:
- il ripristino delle mansioni corrette;
- il risarcimento del danno alla professionalità e all’immagine.
Prendiamo il caso di un impiegato amministrativo con 15 anni di esperienza, che viene spostato a compiti di archivio senza alcuna motivazione. Il Giudice riconosce il demansionamento e condanna l’azienda a risarcire il danno.
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Infortuni sul lavoro e mancanza di sicurezza
Il datore di lavoro è tenuto a garantire la sicurezza del lavoratore e a tutelare la salute dei dipendenti e dei collaboratori. Se non adotta le misure necessarie per prevenire incidenti o malattie professionali, può essere ritenuto responsabile civilmente (e talvolta penalmente) se la condotta integra la fattispecie di reato.
Se il lavoratore si fa male in azienda durante lo svolgimento delle sue attività può fare causa per:
- ottenere il risarcimento del danno non coperto dall’INAIL;
- dimostrare la responsabilità dell’azienda per mancanza di dispositivi, formazione o vigilanza.
Ad esempio: un muratore cade da un ponteggio privo di parapetto. Oltre all’indennizzo INAIL, ottiene un risarcimento dal datore per la mancata adozione delle misure di sicurezza previste dal D.Lgs. 81/2008.
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Come si fa causa al datore di lavoro
Prima di arrivare in Tribunale, è possibile tentare una conciliazione davanti all’Ispettorato Territoriale del Lavoro o tramite il sindacato. Il primo passo è dunque tentare un accordo con l’azienda, in mancanza del quale occorrerà rivolgersi all’Autorità Giudiziaria.
Se il tentativo fallisce, l’avvocato del lavoratore può depositare un ricorso al Giudice del lavoro (Tribunale ordinario). Data la delicatezza dell’argomento, è bene rivolgersi ad un avvocato esperto in diritto del lavoro in quanto questo è il primo passo per capire come muoversi, senza necessariamente arrivare subito a un’aula di Tribunale.
Le fasi principali sono:
- raccolta delle prove (buste paga, email, testimonianze, certificati medici, ecc.);
- deposito del ricorso con l’indicazione dei fatti e delle richieste;
- udienza davanti al Giudice;
- sentenza, che può condannare l’azienda al risarcimento proporzionato alla gravità della violazione o al reintegro sul posto di lavoro.
Si ricorda che il processo del lavoro è generalmente più rapido rispetto ad altri procedimenti civili, proprio per tutelare chi si trova in una posizione di debolezza economica e psicologica.
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