Trust: cosa sono, quando sono validi e perché si fanno

L’articolo 587 del Codice civile stabilisce che: “Il testamento è un atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse.
Le disposizioni di carattere non patrimoniale, che la legge consente siano contenute in un testamento, hanno efficacia, se contenute in un atto che ha la forma del testamento, anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale”.
Per anni, la dottrina ha sostenuto che la clausola di diseredazione non potesse essere inserita all’interno del testamento in quanto si tratta di un contenuto non patrimoniale. Nel tempo, ci si è invece allontanati sempre più da questa concezione iniziale e oggi la diseredazione è considerata ammissibile.
La diseredazione ha come effetto principale il fatto che il patrimonio della persona che viene esclusa dalla successione venga poi spartito tra gli altri eredi, anche se tale clausola non attribuisce un patrimonio in modo diretto.
Il quadro normativo attuale prevede comunque la possibilità di inserire all’interno di un testamento anche disposizione che non hanno carattere patrimoniale, come per esempio quelle relative alla propria sepoltura.
Ai sensi della sentenza n. 8352/2012 della Corte di Cassazione, il testatore può manifestare la propria volontà di escludere dalla successione alcuni dei successibili.
Nella pratica, sarà possibile:
Risulterà, invece, più complicato diseredare i legittimari.
Come anticipato nelle righe iniziali, il tema della diseredazione è stato oggetto di un acceso dibattito in base al quale, ancora oggi, sono diffusi tre diversi orientamenti.
In base al primo, la diseredazione è possibile in relazione alla libera volontà testamentaria del testatore di poter disporre del proprio patrimonio: questo orientamento viene definito “positivo”.
Il secondo, invece, è un orientamento negativo per il quale la diseredazione espressa non è possibile sulla base di una interpretazione letterale e restrittiva dell’articolo 587 c.c.
Il terzo orientamento si pone come una via di mezzo tra i primi due e si basa sul concetto di “istituzione implicita” per la quale la diseredazione è legittima in quanto rappresenta un’istituzione positiva e implicita dei successori ex lege.
Nel momento in cui un legittimario viene diseredato, tramite l’introduzione della relativa clausola sul testamento, avrebbe comunque il diritto di agire in riduzione per ottenere la parte che gli spetta per legge.
Oggi, lo strumento che viene generalmente utilizzato per procedere con la diseredazione è il legato sostitutivo di legittima, disciplinato dall’articolo 551 c.c., in base al quale è possibile sostituire la legittima con un legato, il cui valore patrimoniale non deve essere necessariamente correlato alla quota di legittima.
In particolare, l’articolo 551 c.c. prevede che:
“Se a un legittimario è lasciato un legato in sostituzione della legittima, egli può rinunziare al legato e chiedere la legittima.
Se preferisce di conseguire il legato, perde il diritto di chiedere un supplemento nel caso che il valore del legato sia inferiore a quello della legittima, e non acquista la qualità di erede. Questa disposizione non si applica quando il testatore ha espressamente attribuito al legittimario la facoltà di chiedere il supplemento.
Il legato in sostituzione della legittima grava sulla porzione indisponibile. Se però il valore del legato eccede quello della legittima spettante al legittimario, per l’eccedenza il legato grava sulla disponibile”.
Nonostante non sia possibile diseredare un figlio inserendo un’apposita clausola nel testamento, la legge prevede delle condizioni ben precise per le quali è possibile escludere dalla successione anche il proprio figlio: i casi di indegnità vengono esplicitati nell’articolo 463 del Codice civile e sono tassativi.
Un figlio sarà ritenuto insegno – e sarà dunque escluso dalla successione – se:
Il figlio potrà essere escluso dalla successione solamente nel momento in cui sarà emessa una sentenza nella quale viene dichiarata una della cause di indegnità presenti nell’elenco di cui sopra. Tale azione dovrà essere avviata entro il termine di prescrizione di 10 anni.
Nell’ipotesi in cui la sentenza che accerti l’indegnità del figlio venga emanata entro 10 anni, avrà un effetto retroattivo. Di conseguenza:
La legge consente anche la possibilità, per il padre, di perdonare il figlio ritenuto indegno, tramite una dichiarazione che dovrà essere contenuta in un atto pubblico o direttamente nel testamento.
Ciò è possibile ai sensi dell’articolo 466 c.c., nel quale si legge che:
“Chi è incorso nell’indegnità è ammesso a succedere quando la persona, della cui successione si tratta, ve lo ha espressamente abilitato con atto pubblico o con testamento.
Tuttavia l’indegno non espressamente abilitato, se è stato contemplato nel testamento quando il testatore conosceva la causa dell’indegnità, è ammesso a succedere nei limiti della disposizione testamentaria”.
La riabilitazione potrà dunque essere: