Quali sono i 3 beni che non rientrano nell’eredità?
Quali beni non cadono in successione? Quali sono le regole generali della successione? Cosa succede al TFR? Deve essere liquidato in caso di morte del lavoratore e a chi? Vediamolo insieme.
- La successione ereditaria è un fenomeno necessario che comporta l’attribuzione dei beni del patrimonio di un soggetto defunto agli eredi, individuati dalla legge e dallo stesso defunto.
- Non tutti i beni cadono in successione: ci sono beni che, per natura personalissima, non fanno parte dell’eredità.
- Talvolta, poi, pur cadendo i beni in successione, questi possono non essere divisi tramite contratto di divisione ereditaria.
La successione ereditaria è regolata da una molteplicità di norme previste dal codice civile. Gli eredi, per effetto della successione ereditaria, entrano in comunione e sono titolari di una quota sull’intero patrimonio del defunto. Tale quota comprende sia voci attive sia passive, beni mobili o immobili, posizioni contrattuali.
La regola generale prevede che cadano in successione tutti i beni del defunto, sebbene siano previste alcune eccezioni. Sono infatti esclusi dalla successione beni e diritti che sono a carattere personalissimo.
Nel seguente articolo, ti spiegheremo alcune regole essenziali in tema di successione per capire quali siano i beni che rientrano nell’eredità. Dopodiché, esamineremo i beni che non cadono in successione e poi ci soffermeremo su alcune categorie specifiche di diritti che non sono trasmissibili agli eredi.
- Come si compone l’eredità?
- Successione universale: cos’è
- Quali beni cadono in comunione ereditaria?
- Quali sono i tre beni che non rientrano nella successione?
- TFR e successione ereditaria: cosa succede in caso di morte del lavoratore?
- Assegno di mantenimento e morte del beneficiario
- Immobile abusivo: fa parte dell’eredità?
Come si compone l’eredità?
In più occasioni abbiamo parlato approfonditamente della disciplina della successione ereditaria. Questa è un fenomeno che si dice necessario, cioè se un determinato soggetto non dispone dei propri beni tramite testamento, per il momento in cui non sarà più in vita, allora tali beni saranno devoluti per legge, secondo le regole della successione legittima.
La scelta del legislatore è ben chiara: si intende evitare disordini pubblici conseguenti l’abbandono di un patrimonio, soprattutto quando ingente. Dunque, si procede alla devoluzione ad alcuni parenti prossimi del patrimonio, quando non è stato previsto nulla.
Il legislatore tutela ulteriormente la posizione di alcuni familiari, quali coniuge, figli e ascendenti, detti legittimari, ai quali riserva una porzione di patrimonio. Questi hanno anche a disposizione degli strumenti di tutela, come:
- l’azione di riduzione, che serve a rendere inefficaci alcune disposizioni o donazioni, o ridurre la quota di altro erede che leda la posizione di uno dei suddetti legittimari. È un’azione di inefficacia relativa, cioè comporta che la disposizione testamentaria o donazione non produca effetti nei confronti del legittimario;
- l’azione di restituzione, che serve ad ottenere eventualmente la restituzione di un bene che è già stato consegnato.
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Le norme che regolano la tutela dei legittimari appartengono al regime che prende il nome di successione necessaria. Questa non è una terza tipologia di successione, ma una forma di tutela nei confronti dei soggetti che hanno un particolare rapporto di parentela.
Una parte della dottrina critica questo regime, non considerandolo più attuale visione dei rapporti familiari. Si ritiene che tali regole determinino una eccessiva limitazione della libertà dell’individuo di disporre, perché una parte del patrimonio deve essere necessariamente destinata a tali soggetti. Dunque, si sostiene che traspaia una visione eccessivamente paternalistica dei rapporti familiari.
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Successione universale: cos’è
Prima di parlare dei 3 beni che non cadono in successione, ci sembra opportuno specificare quale fenomeno produca la successione ereditaria. Con l’apertura della successione, il patrimonio del defunto cade in comunione ereditaria, cioè sorge una comunione tra tutti gli eredi, nominati per testamento, oppure tra gli eredi legali.
Ciascuno di questi è titolare di una quota del patrimonio, individuata dalla legge o dal defunto. Tale quota è comprensiva sia delle voci attive sia di quelle passive, quindi crediti, debiti e beni materiali, che siano denaro, altre cose fungibili, o cose infungibili, come un immobile, un quadro, ecc.
Una delle caratteristiche principali della quota è che essa comprende anche i beni non conosciuti al momento dell’apertura della successione, cioè se nel frattempo si scopre un bene o un diritto di credito o un debito, questo cade comunque in successione. Ciò in quanto la successione ereditaria è, di norma, a titolo universale, cioè si estende a tutti i beni del patrimonio del defunto.
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Eccezioni: successione a titolo particolare
Vi sono poi delle eccezioni: infatti, il soggetto defunto potrebbe anche aver istituito determinati soggetti come legatari. Ciò significa che viene attribuito un bene, un diritto di credito, una posizione contrattuale specifica, ma non una quota comprensiva dell’intero patrimonio.
Quindi, il legatario non diventa titolare anche di debiti che appartengono al patrimonio, né può beneficiare della scoperta di nuovi beni nel patrimonio. In tal caso, si è soliti parlare di successione a titolo particolare, perché il soggetto non succede in una quota del patrimonio ma in un solo bene, quindi non entra in comunione ereditaria.
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Quali beni cadono in comunione ereditaria?
Come evidenziato nei precedenti paragrafi, l’intero patrimonio del defunto cade in comunione ereditaria. Quindi, tendenzialmente, beni, diritti di credito, posizioni debitorie, posizioni contrattuali sono trasferite agli eredi.
Sicuramente rientrano in successione anche:
- beni mobili;
- denaro contante;
- gioielli;
- mobili;
- arredi;
- azioni;
- obbligazioni;
- titoli;
- quote societarie;
- titoli al portatore;
- rendite;
- pensioni;
- immobili;
- aerei;
- navi;
- aeromobili.
Sono compresi nell’eredità anche altre particolari situazioni creditorie, quali i crediti residui del lavoratore dipendente, come gli stipendi maturati e non pagati, oppure straordinari, bonus e gratifiche, le quote della tredicesima e della quattordicesima, maturate nel corso dell’anno fino al decesso.
Come qualsiasi altro credito, nell’eredità rientrano anche i rimborsi dei crediti nei confronti dell’Agenzia delle entrate o i canoni di locazione percepiti dal defunto. Inoltre, gli eredi subentrano anche nel relativo contratto di locazione, così come in ogni altro contratto concluso dal defunto.
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Quali sono i tre beni che non rientrano nella successione?
In realtà, esistono molteplici beni e diritti che non cadono in successione ereditaria. Dunque, più che di 3 beni che non cadono in successione possiamo parlare di alcune categorie di beni e diritti. In genere, si tratta di situazioni giuridiche caratterizzate da una forte connotazione personalistica.
In primo luogo, possiamo citare i diritti nascenti da rapporti lavorativi o previdenziali, come per esempio la pensione di invalidità, che ha natura strettamente personale, quindi non viene trasmessa agli eredi del soggetto invalido defunto.
Non rientra nell’eredità anche una seconda categoria, cioè i crediti personali del defunto: un esempio è l’assegno di mantenimento che viene percepito dall’ex coniuge e gli alimenti.
Infine, vi è una terza categoria che si connota per una particolare peculiarità, ovvero una tipologia di crediti che, pur non cadendo in successione, devono comunque essere pagati. Si tratta di crediti che prescindono dalla qualità di eredi, ma comunque devono essere liquidati, anche a chi ha rinunciato all’eredità.
Ricadono in questa categoria:
- la pensione di reversibilità, che viene erogata ai parenti del soggetto defunto;
- l’indennità di anzianità;
- il TFR;
- eventuali polizze vita: il beneficiario di una polizza vita può anche essere un soggetto diverso dall’erede, quindi in questo caso non è imputata a legittima.
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TFR e successione ereditaria: cosa succede in caso di morte del lavoratore?
Il decesso del lavoratore dipendente comporta una serie di adempimenti, tra cui la liquidazione del trattamento di fine rapporto, il TFR. Infatti, la morte è una delle cause di risoluzione del contratto di lavoro. Il datore di lavoro deve comunicare la risoluzione del rapporto e poi devono essere corrisposte agli eredi le somme dovute al lavoratore dipendente con modalità differenti.
Come abbiamo evidenziato, il TFR è erogato con un meccanismo di divisione simile alla successione, senza mai rientrare effettivamente nella stessa.
Mentre i crediti ereditari sono divisi tra gli eredi in base al sistema per quote, il TFR invece segue regole diverse. Il datore di lavoro, quando procede a liquidare il patrimonio, è tenuto a seguire una serie di restrizioni imposte dalla legge e, eventualmente, da accordi contrattuali.
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Chi sono i beneficiari del TFR
I beneficiari del TFR sono individuati dalla legge all’art. 2122 c.c., il quale stabilisce che, in caso di morte del lavoratore, il TFR deve essere liquidato a:
- coniuge del lavoratore defunto;
- figli del lavoratore defunto;
- parenti entro il 3° grado, se conviventi e a carico del lavoratore defunto;
- affini entro il 2° grado, se conviventi e a carico del lavoratore defunto (ovvero i parenti del coniuge).
I parenti entro il 3° grado sono:
- genitori e figli: parenti di 1° grado;
- nonni, nipoti (figli dei figli), fratelli e sorelle: parenti di 2° grado;
- bisnonni, pronipoti (figli dei nipoti), nipoti (figli di fratelli o sorelle), zii (fratelli o sorelle dei genitori): parenti di 3° grado.
Gli affini entro il 2° grado sono i soggetti che fanno parte della famiglia del coniuge. Si tratta quindi di:
- suocero o suocera del titolare, figlio o figlia del coniuge: affini di 1° grado;
- nonno o nonna del coniuge, nipote (figlio del figlio del coniuge), cognato o cognata: affini di 2° grado.
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Come si ottiene la liquidazione del TFR?
I suddetti soggetti devono richiedere la liquidazione del TFR al datore di lavoro. Dovrà essere fatta richiesta con raccomandata con ricevuta di ritorno o con PEC.
Alla richiesta devono essere allegati i seguenti documenti:
- stato di famiglia;
- certificato di morte del lavoratore;
- atto notorio che attesti lo stato di convivenza di parenti e affini;
- copia del testamento e, in caso di successione legittima, atto notorio.
In presenza di figli minorenni rappresentati dal giudice tutelare, deve essere presentata la copia della delibera del giudice.
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Assegno di mantenimento e morte del beneficiario
Nei precedenti paragrafi abbiamo anche citato l’assegno di mantenimento tra i beni che non fanno parte dell’eredità. Perché non cade in successione? L’assegno di mantenimento è un’obbligazione personale, al pari degli alimenti: ciò comporta che, in caso di morte del beneficiario, non si trasferisce ai suoi eredi.
In pratica, non solo il credito non è trasferito agli eredi, ma in caso di morte di colui obbligato al pagamento, la posizione debitoria non si trasferisce al pari della posizione creditoria.
Quindi, può accadere che:
- se muore il coniuge obbligato al versamento del mantenimento, il relativo debito si estingua e non passi agli eredi;
- se muore il coniuge beneficiario del mantenimento, invece, i suoi eredi non potranno chiedere il versamento delle somme dovute a titolo di mantenimento.
In entrambi i casi citati, il diritto avente ad oggetto l’assegno di mantenimento cessa definitivamente con la morte dell’obbligato o del beneficiario. Quindi, l’erede del beneficiario perde ogni diritto economico, così come il beneficiario stesso in caso di morte del coniuge, non potrà agire nei confronti dello stesso.
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Immobile abusivo: fa parte dell’eredità?
Possiamo infine porci un’ultima domanda, cioè se beni, come beni immobili, cadano in successione quando siano costruiti in assenza di un permesso di costruire, ovvero siano abusivi. La giurisprudenza si è occupata della questione sotto molteplici punti di vista. In primo luogo, si deve chiarire che l’immobile abusivo cade ordinariamente in successione.
Tuttavia, anche se è trasmissibile agli eredi, non può essere oggetto di divisione. Per quale ragione? Molto semplicemente la legge prevede una norma – l’art. 46 del Testo unico sull’edilizia – la quale impone che non sia possibile procedere ad un atto traslativo con efficacia costitutiva di un immobile se non c’è menzione del titolo abilitativo.
Laddove sia concluso tale negozio, esso è nullo, salvo che sia integrato successivamente il titolo abilitativo. La giurisprudenza ha dovuto rispondere all’interrogativo su se la divisione ereditaria sia un atto tra vivi che ha efficacia traslativa, quindi efficacia costitutiva, cioè costituisca un diritto in capo alle parti.
La conclusione a cui è giunta la giurisprudenza è che l’atto di divisione della comunione ereditaria è:
- un atto tra vivi, perché produce immediatamente effetti, cioè gli effetti non sono prodotti in conseguenza della morte;
- un negozio costitutivo, perché comporta la modifica del diritto degli eredi; da comunione, il soggetto diventa titolare del diritto di proprietà esclusivo del bene assegnato.
Dunque, essendo integrate le due condizioni per l’operatività del 46 TU sull’edilizia, il bene immobile abusivo, pur cadendo in successione, non può essere diviso, quindi resta in comunione.
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Beni che non rientrano nell’eredità – Domande frequenti
Alcuni beni non cadono in successione ereditaria: si tratta di beni personalissimi quali diritti di credito, come l’assegno di mantenimento o la pensione di invalidità
In caso di morte del lavoratore, la legge stabilisce che il TFR debba essere liquidato a coniuge del lavoratore defunto, figli, parenti entro il 3° grado, se conviventi e a carico del lavoratore defunto, affini entro il 2° grado.
L’immobile abusivo cade in successione, ma non può essere oggetto di divisione ereditaria.
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