Cosa si intende per imponibile previdenziale e a cosa serve
L’imponibile previdenziale è una nozione molto importante: si lega infatti ai contributi da versare, quindi a quanti anni si dovrà lavorare prima di poter andare in pensione.
La lettura della busta paga non è sempre di facile interpretazione, soprattutto per chi ha iniziato a lavorare da poco. Tra i dati presenti al suo interno troviamo per esempio gli elementi fissi della retribuzione (paga base, indennità di contingenza, superminimo), l’imponibile IRPEF, le detrazioni fiscali, gli scatti di anzianità.
Per quanto riguarda il cosiddetto imponibile, si tratta di un elemento importante, non solo per i contributi da versare, ma anche perché permettere di capire quanti soldi si hanno realmente a propria disposizione rispetto allo stipendio lordo.
In particolare, si può distinguere tra:
- imponibile previdenziale;
- imponibile fiscale.
Vediamo più nel dettaglio quali sono le differenze e come si calcola l’imponibile, non solo per i lavoratori dipendenti, ma anche per quelli in partita IVA.
1. Imponibile previdenziale
L’imponibile previdenziale è quello a partire da quale vengono calcolati i contributi INPS versati ogni mese dal datore di lavoro e dal lavoratore dipendente. I contributi versati dal datore di lavoro non sono visibili in busta paga, mentre quelli versati dal lavoratore si trovano sotto la voce “contributi”.
Nel calcolo dell’imponibile previdenziale, non vengono considerati elementi quali malattia, maternità, assegni per il nucleo familiare. Tali importi vengono corrisposti dall’INPS, quindi non si prevede che vi si applichino dei contributi da versare.
Solitamente, la percentuale di imponibile previdenziale corrisponde al 9,19% della retribuzione annua lorda del lavoratore (RAL), ma per gli apprendisti corrisponde al 5,84%.
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Come si calcola l’imponibile previdenziale?
Quali sono le voci che compongono l’imponibile previdenziale? Si tratta della somma delle retribuzioni percepite dal lavoratore dipendente nell’ambito del proprio rapporto di lavoro e che sono indicate in busta paga.
Comprende dunque:
- le retribuzioni fisse, quali paga base, indennità di contingenza, EDR (elemento distinto della retribuzione), eventuale superminimo, scatti di anzianità, ecc.;
- le retribuzioni accessorie, come i compensi percepiti a titolo di provvigione, le somme ricevute a titolo di patto di non concorrenza, le partecipazioni agli utili.
Non rientrano, invece, nell’imponibile INPS le somme:
- relative al trattamento di fine rapporto (TFR);
- percepite alla cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare le dimissioni volontarie dei lavoratori;
- ricevute a titolo di risarcimento danni;
- e i contributi destinati alle forme di previdenza complementare.
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2. Imponibile fiscale
L’imponibile fiscale corrisponde all’imponibile IRPEF (Imposta sul reddito delle persone fisiche), che è uguale all’imponibile previdenziale al netto dei contributi previdenziali e assistenziali già trattenuti al lavoratore. In altri termini, si dovranno trattare i contributi dall’imponibile previdenziale.
Il calcolo dell’IRPEF avviene in modo diverso rispetto all’imponibile previdenziale: non basta infatti applicare un’unica percentuale, ma si dovrà fare riferimento a specifici scaglioni di reddito.
Quelli previsti per il 2024 sono i seguenti:
- sotto i 15.000 euro: si applica una percentuale del 23%;
- tra 15.000 e 50.000 euro: l’aliquota IRPEF è pari al 35%;
- l’ultimo scaglione prevede una percentuale del 43% da applicare sui redditi superiori a 50.000 euro.
Considerato che gli scaglioni IRPEF partono dal reddito annuale, ma le trattenute fiscali in busta paga avvengono su base mensile, si dovrà dividere per 12 lo scaglione annuale per ottenere lo scaglione mensile. Su quest’ultimo si applicheranno le relative percentuali di tassazione, ottenendo la cosiddetta “imposta lorda”.
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Imponibile previdenziale e partita IVA
Prendiamo adesso il caso della partita IVA. L’imponibile previdenziale è l’importo a partire dal quale si procede al calcolo dei contributi. Questi ultimi non sono uguali per tutti i titolari di partita IVA.
Bisogna infatti prendere in considerazione la cassa previdenziale al quale il professionista è iscritto. Nel caso di un lavoratore senza Albo professionale, si tratterà della gestione separata INPS. Per gli avvocati, per esempio, è invece la Cassa forense, così come per un artigiano è la Gestione artigiani e commercianti.
Alcune casse previdenziali prevedono il pagamento annuale di alcuni contributi fissi, che si è tenuti a versare indipendentemente dal proprio guadagno effettivo. Come si calcolano i contributi previdenziali con la partita IVA?
Bisogna distinguere tra:
- regime ordinario;
- regime forfettario.
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Regime ordinario
Nel caso del regime ordinario, si dovrà partire dal totale dei propri incassi sottraendo quelle che sono state le proprie spese annuali. Facciamo l’esempio di un avvocato che:
- ha incassato 80.000 euro in un anno;
- ha speso 15.000 euro.
L’imponibile previdenziale sarà pari a 80.000 – 15.000 euro = 65.000 euro. La percentuale di contributi da versare alla cassa forense si applicherà dunque su 65.000.
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Regime forfettario
Nel regime forfettario non vengono prese in considerazione le spese sostenute, ma i costi vengono calcolati in modo forfettario tramite l’applicazione di una specifica percentuale – che varia in relazione al lavoro che si svolge – sul guadagno annuale. Tale percentuale prende il nome di coefficiente di redditività.
Nel caso di un copywriter con la partita IVA in regime forfettario, per esempio, il coefficiente di redditività corrisponde al 78%. Per calcolare l’imponibile previdenziale si dovrà moltiplicare tale coefficiente per il fatturato annuale.
Supponiamo che tu sia un copy e abbia incassato 50.000 euro in un anno. Il tuo imponibile previdenziale sarà pari al 78% di 50.000, ovvero 39.000 euro. Su tale cifra, si applica poi la percentuale di contributi da versare all’INPS, che per il 2024 è pari al 26,07%.
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